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Il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

Il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

L’art. 603-bis prevede al suo interno due distinte fattispecie delittuose: da un lato, il reato di “intermediazione illecita”, imputabile al caporale che “recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori”; d’altro lato, il reato di “sfruttamento del lavoro” che punisce, sempre con la pena della reclusione, il datore di lavoro che utilizza o assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione, “sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”. Nonostante gli elementi costitutivi siano gli stessi per entrambe le fattispecie, giova precisare che l’elemento dello sfruttamento, come vedremo, assume una diversa sfaccettatura a seconda della natura dell’incriminazione in esame. Per quanto riguarda la prima fattispecie, si tratterebbe di un reato d’azione o di pura condotta a dolo specifico: il delitto, quindi, si perfeziona soltanto se l’intermediario recluta lavoratori in stato di bisogno allo specifico fine di sottoporli a sfruttamento presso un datore di lavoro. In tale ipotesi, lo sfruttamento si configura come elemento costitutivo del reato sotto il profilo psicologico o soggettivo, cioè va a connotare il dolo come specifico. Per quanto concerne, invece, il reato di “sfruttamento del lavoro”, quest’ultimo è pacificamente qualificato come reato di evento a dolo generico. Nel dettaglio, ai fini del perfezionamento del delitto in esame è necessario che alla condotta datoriale di utilizzazione, assunzione o impiego di forza lavoro in stato di bisogno, eventualmente perpetrata tramite l’attività di intermediazione, consegua un evento: l’assoggettamento dei lavoratori a prestazioni lavorative effettuate in condizioni di sfruttamento. In tal caso, quindi, lo sfruttamento attiene all’elemento costitutivo del reato sotto il profilo oggettivo, essendo, appunto, l’evento dell’incriminazione.

Prima di procedere alla disamina di ulteriori aspetti, occorre sottolineare che se è vero che la condotta di reclutamento non desta particolari problemi - intendendosi con tale termine il mero procacciamento di manodopera - non altrettanto può dirsi per la condotta del datore di lavoro, dovendosi specificare cosa debba intendersi per “utilizza, assume o impiega manodopera”. In mancanza di un’opinione condivisa e univoca, ritengo che l’assunzione e l’utilizzazione siano riconducibili ai casi di caporalato grigio in cui, come visto, sussiste un contratto di lavoro apparentemente legale; per esclusione, il termine impiego ricorrerà in tutti i casi di caporalato nero caratterizzati dalla mancanza di un contratto. E’ però opportuno soffermarsi sul termine “utilizza”, fortemente discusso in dottrina e ancora privo di una definizione univoca e condivisa. A mio parere, l’utilizzazione, a differenza dell’ assunzione e dell’ impiego, non può mai prescindere dall’ intermediazione essendo necessariamente collegata all’istituto della somministrazione di lavoro in cui si assiste a un fenomeno di “codatorialità” o di “sdoppiamento” della figura datoriale in formale e sostanziale.

In forza di questo istituto, il contratto di lavoro è a carico di un datore di lavoro diverso da quello che, tramite un contratto di somministrazione avente natura commerciale, utilizza la manodopera. Peraltro, essendo il somministratore già punito dal delitto di “intermediazione illecita”, la previsione legislativa di quest’espressione sarebbe diretta ad evitare che rimanga privo di sanzione penale l’utilizzatore della manodopera. Giunti a questo punto, si potrebbe allora sostenere che entrambe le fattispecie delittuose verrebbero astrattamente a perfezionarsi per effetto di una singola condotta occasionale di reclutamento o di utilizzo, assunzione o impiego di manodopera. Così argomentando, però, si arriverebbe a conclusioni inaccettabili punendo con l’art. 603 - bis condotte occasionali che si concretano in mere violazioni della normativa del diritto del lavoro, in totale spregio al principio secondo cui il diritto penale deve intervenire soltanto come extrema ratio. Per evitare tale evenienza, è stato correttamente osservato che i delitti previsti dall’ art. 603-bis presentano il carattere dell’abitualità che discende dallo stesso elemento costitutivo dello sfruttamento, non integrabile con mere condotte occasionali. Infatti, come d’altronde precisato durante i lavori parlamentari conclusisi con l’approvazione della l. n. 199 / 2016, “non si sfrutta il lavoratore con un singolo atto, ma attraverso condotte che ne conculcano per una durata significativa i diritti fondamentali che vengono in gioco nel momento in cui viene prestata l’attività lavorativa”. Si è quindi di fronte a fattispecie delittuose riconducibili alla categoria del reato abituale, e non permanente: come risaputo, nel reato permanente vi è un’unica condotta che si protrae nel tempo senza cesure temporali, mentre il reato abituale presuppone una pluralità di condotte omogenee reiterate, seppur con intermittenza, in un lasso di tempo apprezzabile.

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Il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

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Informazioni tesi

  Autore: Cesare Scati
  Tipo: Laurea magistrale a ciclo unico
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi di Parma
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Stefano Delsignore
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 113

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Parole chiave

intermediazione
tipicità
bene giuridico
confisca
controllo giudiziario
603-bis
indici di sfruttamento
amministrazione giudiziaria

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