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La dominazione spagnola in Sicilia: eredità linguistiche

Il dialetto siciliano

Nel corso del tempo, la Sicilia, come tutte le regioni, ha mantenuto tradizioni, strutture sociali ed economiche. Grazie a questo fenomeno, il dialetto ha potuto essere tramandato così com’era andato formandosi, sulla base di un latino con caratteristiche diverse di zona in zona.
Le differenze linguistiche di partenza sono quelle determinate dalle lingue esistenti nelle varie zone d’Italia prima della conquista romana, che formano le lingue di sostrato. La loro influenza, ad esempio, è riscontrabile in meridione nel passaggio da b in posizione intervocalica a f, derivante dal sostrato osco.
Questo stesso sostrato è la causa, sempre nei dialetti meridionali, del passaggio dei nessi consonantici –nd–, ed, –mb– a –nn– ed –mm–.
I segni del superstrato, provocati dalle lingue che si sono sovrapposte al latino, invece, hanno determinato la suddivisione dei diversi dialetti in Italia. Le lingue che hanno provocato le influenze maggiori sono quelle germaniche, il greco, il bizantino e l’arabo.
Successivamente alle grandi invasioni germaniche, tracce importanti sono state lasciate dai franchi, i longobardi, i normanni, gli angioini, gli spagnoli, ecc, relative ai segni di adstrato. Questo spiega, per esempio, perché il siciliano presenti numerosi prestiti linguistici dall’arabo, dal francese e dai suoi dialetti (Grassi, Sobrero, Telmon, 2003: 86– 89).
Quando si parla di dialetto siciliano bisogna tenere presente, in primo luogo, che, nonostante si tratti di un dialetto piuttosto omogeneo, presenta al suo interno delle rilevanti differenze tra le varie zone e mantiene una certa continuità linguistica con i territori della Calabria meridionale.
La Sicilia, infatti, sebbene sia un’isola, non ha sofferto di isolamento culturale, infatti, già dal Medioevo numerosi sono i contatti con la Provenza, grazie ai quali ha sviluppato la sua cultura e conosciuto una notevole influenza linguistica, così come dai rapporti con gli angioini, i normanni e dalle popolazioni del nord della penisola (Grassi, Sobrero, Telmon 2003: 111).
Nella prima classificazione scientifica dei dialetti realizzata da Ascoli e riportata da Grassi, Sobrero e Telmon (2003: 42), il siciliano viene annoverato nel gruppo dei dialetti che si discostano dal tipo toscano, ma, assieme ad esso, sono identificabili come appartenenti ad una categoria di dialetti neolatini, assieme al veneziano, al corso e a quelli delle provincie napoletane.
Se, invece, si tiene conto della classificazione in base alle etnie, il siciliano rientra nel gruppo dei dialetti centro–meridionali, caratterizzati dal sostrato italico, e al sottogruppo dei dialetti siculo–calabro–salentini (Grassi, Sobrero, Telmon 2003: 43).
Le classificazioni più recenti, comunque, identificano il siciliano come uno dei dialetti dell’area meridionale estrema della penisola. Le caratteristiche comuni identificate in quest’area sono:
1. il sistema del vocalismo tonico a cinque vocali;
2. la retroflessione o caucuminalizzazione di l, r, t, d, n, sia semplici che in gruppo consonantico;
3. l’esplicitazione delle infinitive dopo i verbi modali;
4. l’uso esclusivo del perfetto (Grassi, Sobrero, Telmon 2003: 70– 71).
Il siciliano, tuttavia, presenta anche altre caratteristiche di cui si dirà in seguito.
Storicamente, la Sicilia è stata divisa in due aree (orientale ed occidentale) ed è stata caratterizzata dalla presenza di elementi di natura greca –interessanti soprattutto dal punto di vista linguistico in questo contesto– anche in età romana.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La dominazione spagnola in Sicilia: eredità linguistiche

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Informazioni tesi

  Autore: Jessica Zagami
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Lingue straniere per la comunicazione internazionale
  Relatore: Maria cristina Bordonaba Zabalza
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 177

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bilinguismo
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