Le Alture della Discordia: il Golan tra Siria e Israele

Ben presto, le negoziazioni di Shepherdstown si arenarono. Alcuni aspetti sensibili delle trattative erano trapelati alla stampa israeliana e araba, mettendo sotto pressione entrambe le parti. In particolare, di fronte alla continua resistenza interna a un eventuale ritiro israeliano dal Golan, il Primo Ministro era riluttante al rischio di sottoporre la questione al vaglio di un referendum nazionale e decise quindi di interrompere le discussioni.

L’ultima possibilità per concludere l’accordo sirio-israeliano fu lasciata ad un vertice tra Clinton e Asad, convocato a Ginevra per il marzo del 2000. Il Presidente americano presentò alla sua controparte una bozza di accordo, redatta da Dennis Ross e Barak, nella quale si chiedeva che Israele mantenesse una porzione di 400-500 metri sulla sponda nord-orientale del lago di Tiberiade, che suggeriva quindi la definizione di un confine finale ben oltre sia la linea del ’67, sia i confini del 1923. Clinton fece sapere ad Asad che Barak non poteva assumersi il rischio politico di aderire ad un accordo che prevedesse il ritiro ai confini pre-bellici e, di conseguenza, la possibilità di concludere i negoziati sfumò.

Nella primavera del 2000, Barak chiuse improvvisamente le trattative con la Siria. Secondo successivi rapporti israeliani, egli aveva agito unilateralmente, senza prima consultare il Consiglio dei Ministri e senza alcuna discussione interna in merito agli interessi vitali di Israele; oggi ci sono prove del fatto che persino alcuni alti ufficiali israeliani, noti per le loro posizioni irremovibili sulla questione del ritiro, erano intenzionati a firmare un accordo basato sulle richieste siriane di delimitazione del confine.

L’intransigenza di Barak di assentire alle richieste della Siria rifletteva principalmente il prevalere dell’opinione pubblica interna sui permanenti bisogni di sicurezza israeliani. Meno di tre mesi dopo la conclusione del summit ginevrino, Asad morì a seguito di una grave patologia cardiaca che da tempo lo affliggeva.

La successione di suo figlio Bashar precedette senza intoppi, ma lo stesso non si può dire dell’indomani: il nuovo leader siriano era giovane e inesperto, era privo della legittimità politica di cui aveva goduto il padre, aveva difficoltà a consolidare il suo potere e ad imporre la propria autorità. Bashar, in breve, non sembrava affatto preparato a districare la matassa delle questioni che doveva affrontare come Presidente della Siria.