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Modelli di graphic journalism

Il fumetto di propaganda

Nel paragrafo precedente si è mostrato come il fumetto possa costituire uno strumento di comunicazione politica a tutti gli effetti, sia nel caso in cui gli emittenti del messaggio siano soggetti non istituzionali (il caso di ATTAC Italia e “Centro Donna” LISA), sia laddove si tratti di veri e propri attori dello scenario politico, riconducibili ad incarichi istituzionali, e il cui utilizzo del medium interviene a soddisfare diverse esigenze di contatto con il cittadino-elettore, che vanno dalla comunicazione pubblica (come avviene per la Regione Umbria) per arrivare alla promozione di un candidato in campagna elettorale. Pur nei suoi esiti estremamente variegati, la casistica sin qui descritta rivela un comune denominatore nel fatto che il ricorso al fumetto di natura politica configura un evento comunicativo episodico e temporaneo, che nasce e si spegne in maniera del tutto contingente attorno ad un tema di stretta attualità. Al contrario, pur rispondendo ad una medesima esigenza di semplificazione di questioni politiche e ideologiche complesse, i fumetti apparsi nella Cina maoista e nel Cile di Salvador Allende, che ora andremo ad analizzare, si inseriscono all’interno di una strategia comunicativa di lungo termine, che mira a suscitare il consenso dei cittadini, in particolare quelli di estrazione popolare, attorno alle politiche governative. Si noti che la locuzione “fumetto di propaganda” calza perfettamente a due ordinamenti statali e contesti storici profondamente diversi, dei quali soltanto uno, quello della Cina rivoluzionaria di Mao Tse Tung, può essere etichettato come dittatoriale.

Salvador Allende, infatti, anch’egli ispirato dalla dottrina marxista, fu democraticamente eletto alla guida del Cile il 4 settembre 1970 grazie al sostegno dell’Unità Popolare (Unidad Popular), alleanza di partiti di centrosinistra, e restz in carica fino al colpo di stato del 1973 ad opera dell’esercito con il beneplacito degli Stati Uniti, cui seguì la lunga dittatura militare del generale Augusto Pinochet. Nel periodo in cui Unidad Popular restz al governo, sotto l’impulso dell’Istituto di Studi marxisti dell’Università del Cile, la rivista “La Firme” pubblicz e distribuì gratuitamente una serie di fumetti nel formato degli albi americani. Il programma del periodico è delineato in un editoriale che non lascia dubbi riguardo la sostanza politica e altamente ideologica dei contenuti veicolati:

“Compagni, la nostra rivista deve trasformarsi in uno strumento di discussione e di analisi sui grandi problemi nazionali…”La Firme” non é fatta perchè il lettore la guardi, la legga, la giudichi buona o cattiva. Se non siete d’accordo con qualcuna di queste prese di posizione dovete discuterla con altri compagni. Se l’approvate pienamente dovere diffonderla”.

Si tratta inequivocabilmente di vignette politiche impregnate di una forte dose di umorismo e nelle quali il disegno caricaturale serviva a spiegare ad un pubblico popolare le riforme introdotte Allende, ponendo al centro le tematiche che animavano il dibattito politico cileno del periodo: la lotta anti-monopolitistica, le nazionalizzazioni, la riforma agraria, il problema dell’alcolismo e molto altro ancora. Portata alle stampe dalla casa editrice statale Quimantú fino al maggio 1973, “La Firme” si avvaleva di alcuni dei più talentuosi disegnatori del tempo, mentre le sceneggiature erano affidate alla nota sociologa e attivista Marta Harnecker. Così lo scrittore e giornalista cileno Luis Sepùlveda ricorda l’importanza storica della rivista:


“No es una exageraciyn sostener que en “La Firme” se sintetizy el esfuerzo creativo de un pueblo, el chileno, que quiso ser protagonista de su propio destino”.

L’avventura editoriale di “La Firme” diventa per Umberto Eco, che ne scrive la prefazione alla raccolta italiana, l’occasione per riflettere sul diverso approccio della sinistra europea e sudamericana al fumetto come mezzo di comunicazione e veicolo di messaggi politici. Nel vecchio continente, la nona arte viene praticamente ignorata dalle élites culturali progressiste a causa delle proprie origini capitaliste e statunitensi almeno fino al profilarsi, al culmine della stagione sessantottina, del fumetto underground indipendente. Tutt’altra parabola quella vissuta dalle historietas del centro e sud America, dove la cultura post-colombiana subisce più profondamente l’influenza dei codici espressivi statunitensi e non ha paura di attingere al filone commerciale del fumetto per avvicinarsi ad un pubblico socialmente umile e spesso poco scolarizzato. I fumetti cileni di Unidad Popular devono quindi essere considerati come strumenti di educazione popolare, alla cui base troviamo un intento in primo luogo pedagogico, oltre che propagandistico:

“la gente è abituata a questo linguaggio, quindi un messaggio politico, per raggiungere tutta la gente, deve usare questo linguaggio [•••] Sia chiaro che questi fumetti non sono fumetti di satira e di protesta: sono fumetti di persuasione e convincimento”.

Non a caso, due qualità imprescindibili dei comics nati all’ombra dell’amministrazione Allende sono leggibilità e gradevolezza. Una strada che diverge profondamente da quella imboccata dal fumetto caro alla sinistra europea, “non parla certo ai poliziotti e nemmeno agli operai”. In definitiva, a fronte della vocazione aristocratica della tradizione europea, la sinistra cilena contrappone una volontà divulgativa e propagandistica che, come anticipato, accomuna il contesto sudamericano a quello della Repubblica Popolare Cinese, nella quale il fumetto per adulti é un tassello importante all’interno della strategia del consenso che investe capillarmente ogni strato della società. Benché le attestazioni più antiche di produzioni figurative cinesi, con serie di immagini tra loro concatenate da un filo narrativo, risalgano alla gloriosa dinastia Ming (XIV-XV secolo) o, in epoca ancora precedente, alle raffigurazioni edificanti della tradizione confuciana e buddista, il fumetto cinese qui preso in considerazione emerge con vigore a partire dal 1949, quando i comunisti giunti al potere sviluppano una produzione volta alla formazione ideologica e all’elevazione culturale del popolo. Prima e dopo la Rivoluzione culturale lanciata da Mao, i fumetti cinesi traggono ispirazione da drammi teatrali o film, che a loro volta sono solitamente adattamenti di romanzi:


“il fumetto é dunque il punto terminale di un’operazione programmata per raggiungere capillarmente le masse: dove non le raggiunge il romanzo, di lettura faticosa e per moltissima gente ancora oggetto culturale inaccessibile, e dove non le raggiungono il teatro e il cinema, ad esempio nelle campagne isolate che ricoprono i due terzi della Cina, arriva il fumetto”.

Da qui si spiega l’impressione di arretratezza tecnica e piattezza espressiva che le vignette cinesi suscitano nel lettore che vi si accosti con i parametri stilistici e
narrativi occidentali. Tuttavia, come ricorda Umberto Eco nell’introduzione alla raccolta I Fumetti di Mao del 1971, “non si deve mai affrontare a cuor leggero un’esperienza estetica etnologicamente lontana da noi nel tempo e nello spazio”.
Rispetto ai suoi coetanei oltreoceano, il fumetto cinese manca di dinamismo grafico, nonché di quella originalità stilistica che nel comics statunitense ed europeo intrattiene un rapporto di filiazione diretta con le esperienze più avanzate dello sperimentalismo figurativo (si pensi all’influenza delle avanguardie artistiche primonovecentesche su molti disegnatori occidentali). Qui, invece, il disegno non si discosta mai da convenzionalità e semplicità, tanto nel tratto quanto nei temi: niente suspense, niente ironia, rifiuto di una concezione supereroistica ed esaltazione
dell’uomo qualunque:

“l’eroismo non costituisce una fuga in avanti rispetto alla banalità della vita quotidiana, un’evasione verso una forma superiore di vita: esso trova nell’esistenza di tutti i giorni il suo compimento”.

Si tratta scelte di forma e contenuto che trovano spiegazione alla luce dello scopo ultimo di queste storie illustrate: educare politicamente il popolo alla dottrina maoista. Ecco allora che per capire fino in fondo i fumetti della Cina popolare è necessario volgere lo sguardo non verso una remota tradizione iconografica imperiale, bensì verso l’intenso dibattito culturale che il processo rivoluzionario ha innescato nella storia più vicina. Nel maggio del 1942, in un convegno a Yenan, lo stesso Mao aveva definito un insieme di direttive riguardo la politica culturale cinese:

“trasformare la letteratura e l’arte in una parte integrante del meccanismo generale della rivoluzione, in uno strumento potente di unificazione e di educazione popolare, in un’arma temibile che ci permetterà di sconfiggere il nemico e di annientarlo”.

Piuttosto che arroccarsi nelle torri d’avorio dei generi da sempre considerati “nobili” e appannaggio delle élites – quali il teatro classico, la poesia, la letteratura, la pittura su seta e così via – scrittori e artisti avevano il dovere di scendere dal loro piedistallo e abbracciare quei generi minori che, come il fumetto, erano in grado di stabilire un ben più proficuo rapporto con il popolo. Infine, il fumetto della Repubblica Popolare Cinese raddoppia la propria valenza pedagogica, promuovendo assieme ad un’educazione specificamente politica delle masse anche una formazione per così dire scolastica dell’individuo. Negli stessi anni in cui si pubblicano gli albi, infatti, il regime maoista ha già messo in moto una riforma della scrittura dalle scuole elementari si estende all’intera società e il cui scopo é arrivare ad una graduale romanizzazione dell’alfabeto cinese -basato sugli ideogrammi invece che sui fonemi – consentendo così di ridurre l’elevato tasso di analfabetismo diffuso tra gli strati più bassi della popolazione, in gran parte dovuto alla difficoltà di memorizzare serie molto lunghe di caratteri ideografici. I balloons dei fumetti si inseriscono perfettamente in questa logica di semplificazione comunicativa. Infatti, se ai romanzieri si raccomanda di redigere i propri testi senza usare più di tremila parole, la soglia massima scende a millecinquecento caratteri per le notizie di un quotidiano, mentre per leggere e comprendere un fumetto è sufficiente padroneggiare non più di un migliaio di ideogrammi, che è la quantità di caratteri di solito appresa fin nei cicli scolastici elementari.

Questo brano è tratto dalla tesi:

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Informazioni tesi

  Autore: Sara Marmifero
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2013-14
  Università: Università degli studi di Genova
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Informazione ed Editoria
  Relatore: Marina Milan
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 223

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