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Il tragico e l'estetica contemporanea. Percorso critico verso la definizione del sentimento tragico dall'ontologia alla riflessione estetica sulle problematiche della creazione artistica novecentesca

Il giudizio di gusto e la contemporanea nel pensiero estetico-filosofico di Emilio Garroni: il senso e il paradosso dello sguardo-attraverso


Questa è la pars construens che prende le mosse dall'estetica garroniana, al contempo kantiana e anti-postmoderna. Facendo continuamente riferimento al capitolo precedente e ai filosofi contemporanei che si sono occupati di estetica critica, quali Nietzsche, Adorno, Benjamin e Wittgenstein, definisco cosa l'estetica sia. In particolare tengo conto di quest'ultimo dal quale Garroni deriva la formula del guardare- attraverso (trattino aggiunto dal filosofo italiano), inteso come sguardo critico del mondo, in grado di cogliere i paradossi del vivere. Parte del capitolo è dedicata proprio alla definizione del paradosso, senza il quale non si potrebbe parlare criticamente di senso e non-senso, visibile e invisibile, identità e differenza, ossia non si potrebbe parlare di aletheia in quanto dis-velamento. Proprio su questa riflessione chiudo il capitolo: riflessione che apre le porte alla problematica della differenza dell'identico, trattata successivamente.

Non può esserci pensiero tragico senza che questo sia al contempo critico. Non si può sviluppare il tragico all'interno di un sentire che parte da una conoscenza epistemologica aderente alla realtà, così come non può essere concepito all'interno di un pensiero unidimensionale che non permette alcun confronto dialettico. Per poter esercitare una critica bisogna avere la cognizione dei propri limiti, conoscere la complessità contraddittoria della realtà, essere consapevoli delle antinomie e dei paradossi del pensiero; cosicché diciamo che la consapevolezza è la conditio sine qua non della critica, all'opposto della quale si trova l'opinionismo, inteso kantianamente come una credenza insufficiente che, in quanto poggiante su basi soggettivistiche e infondate e dettate essenzialmente da una ignoranza del fenomeno giudicato, deve essere considerata non più di un banale gioco e dunque non adatta a una vera riflessione critica: la filosofia sviluppa pensieri e non opinioni. Ma è anche il fondamento del pensiero tragico che, cosciente della finitezza, sapiente della morte, non si atrofizza in soluzioni illusorie a-critiche, né si adagia su opinioni relativistiche, ma continuamente e al contempo si dibatte tra essere e malattia e farmaco, tra la conoscenza e la sua analgesi, tra la memoria e l'oblio.

Da questo assunto di partenza si aprono, a questo punto, due interrogazioni l'una connessa all'altra: l'una riguarda il significato che oggi, a più di due secoli di distanza, ha il giudizio di gusto, l'altra riguarda la disciplina che, di tale giudizio, fa la propria ragione d'essere, l'estetica.
Partiamo dalla seconda questione.

A differenze di tutte le altre discipline filosofiche, che concernono l'interrogazione su una parte specifica del pensiero e della conoscenza, l'estetica non si domanda né delle cose particolare né delle universali ma del 'come ci si è già interrogati su di esse e su come si è già risposto,' proprio lo stesso tipo di quesito che si pone il giudizio riflettente kantiano. In effetti il sapere di suo non dà alcuna delucidazione sul fenomeno osservato. Ciò significa che, mentre tutta la filosofia, come anche le scienze esatte, mira alla conoscenza del dato empirico (se pur in modi e con scopi completamente differenti), l'estetica non si preoccupa della conoscenza, nel senso che, come il giudizio di gusto rispetto ai giudizi logici, non è conoscitiva ma fondativa. In quanto esseri- gettati-nel-mondo gli uomini non possono prescindere dal partire da un già noto o già- conosciuto sia nel caso in qui affrontano un discorso scientifico che filosofico.

Tuttavia a differenza dello scienziato che applica un metodo di indagine oggettivo, empiricamente funzionale, a una determinata cosa che si colloca entro una sistema conoscitivo già strutturato, il filosofo critico nel mentre si interroga crea l'oggetto della sua riflessione, nel senso che pur partendo da un oggetto reale non si contenta di leggerlo in base a ciò che già sa, seguendo una metodologia particolare e limitatoria, ma si pone liberamente di fronte ad esso, lasciando che il suo contesto caratterizzante e il metodo di analisi si sviluppino e si deliniino parallelamente all'aumentare della conoscenza e delle necessarie domande che questa apporta dell'oggetto; lasciando, in sintesi, che non solo l'essere dell'oggetto si dis-veli, ma anche il contesto e lo stesso metodo di indagine.

Differentemente dallo scienziato, quindi, il filosofo critico si pone delle questioni che riguardano l'essenza della conoscenza (non questa conoscenza particolare, ma la conoscenza), i perché e i modi dell'esperire umano (non questa esperienza particolare, ma l'esperienza), il metodo del domandare (non questa domanda particolare, ma il domandare), senza i quali qualsiasi sapere, il già-conosciuto, non potrebbe essere possibili.

Abbiamo visto di quale complessità antinomia e paradossali è composto il giudizio di gusto, e da quale senso, quello communis, scaturisca. Kant nello stendere la terza critica non era interessato a stabilire le regole di una nuova dottrina, che la filosofia si esaurisce (come abbiamo visto) pienamente nella endiadi di pratica e teoretica, ma a ricercare ciò che viene prima della filosofia (del logos e, dunque, del pensiero) e che permette la filosofia, come permette le scienze: il modo in cui l'uomo, dotato di immaginazione, intelletto e ragione, pensa e conosce.

Per questo abbandona la metafisica quale conoscenza pura, a priori e valida apoditticamente per interessarsi alla conoscenza dell'esperienza. Già dalla introduzione Kant ci immette in un cammino di ricerca, del forse, del possibile nel quale si incontrano proposizioni mai assertorie e regolative, sebbene fondative, che danno luogo a giudizi, che rispetto a quelli sussulti da concetti, sono strani: sebbene l'uomo crei per necessità schemi e sistemi per disciplinare e normalizzare, concettualizzare e dunque conoscere la natura, la sua immaginazione e la sua fantasia sono libere e, sono molto più ampie dell'intelletto: ciò significa che l'uomo riesce a immaginare molto più di quanto riesce a conoscere.

Allora è frutto di una vana vanità il considerare possibile riuscire a ordinare la complessità della natura, in quanto ci sarà sempre una eccezione che scardinerà la regola. Lo sapeva benissimo anche Kant che, nella densa introduzione alla critica, scrive che, essendoci molte forme in natura che non cadono sotto alcuna legge pura e a priori dell'intelletto, dobbiamo ammettere che ci sono anche delle leggi empiriche che, paradossalmente, riguardano un principio sconosciuto dell'unità del molteplice. Bisogna chiedersi se il rigore conoscitivo che si pretende dalle scienze esatte, in quanto dimostrabili empiricamente, sia un circolo virtuoso oppure sia un circolo vizioso quando pretesa anche da 'scienze' che esatte non sono. [...]

Informazioni tesi

  Autore: Patrizia Piredda
  Tipo: Tesi di Dottorato
Dottorato in Doctorate of Philosophy
Anno: 2008
Docente/Relatore: Joseph Farrell
Istituito da: Univeristy of Stratchlyde
Dipartimento: Deparment of Moder Languages
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 206

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