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Irene Brin: Giornalista e scrittrice italiana (1914 – 1969).

Il linguaggio dei vestiti

La semiotica iniziò ad interessarsi, in modo sistematico, della moda e del linguaggio dei vestiti solo a partire dalla fine degli anni Cinquanta con Roland Barthes. Il primo, ad ipotizzare che la semiotica non dovrebbe occuparsi solo del linguaggio verbale fu Ferdinand de Saussure. Nel suo Cours de linguistique générale (1916), affermò che “la lingua è un sistema di segni esprimenti delle idee e, pertanto, è confrontabile con la scrittura, l’alfabeto dei sordomuti, i riti simbolici, le forme di cortesia. Essa è il più importante di tali sistemi.”
Negli ultimi tre decenni su alcuni elementi vestimentari apparsero sempre più frequentemente scritte ed immagini. Gli indumenti scritti e/o illustrati furono dapprima le t – shirt, poi pantaloni, giubbini, zainetti, scarpe e borse.
Il registro verbale può avere in questo caso almeno tre diverse funzioni:
- Ancorare: il messaggio, può servire cioè a fissare il significato da dare all’immagine;
- Funzione di relais: è il caso in cui l’immagine e il registro verbale sono complementari (gli spezzoni dei fumetti che compaiono sulle magliette);
- Ridondante: sia l’aspetto verbale che quello iconico, cioè ripetitivo (quando l’immagine è quella di una carta geografica di un’isola celebre in cui compaiono il nome dell’isola e delle località principali e sotto viene ripetuto il nome dell’isola a caratteri più grandi).

Dagli anni Settanta ad oggi l’uso di abiti che recano scritte o immagini aumentò in modo esponenziale finendo col contagiare fasce di età sempre più ampie.
Un tempo, quando pur in presenza di cambiamenti vestimentari dettati dalla moda, vigevano leggi o ci si vestì imitando gli antenati e gli abiti furono regolati da codici iper – codificati, da codici forti, minutamente precisi che non lasciarono spazio all’ambiguità. Quindi, la classe e il mestiere, l’età e il proprio stato civile furono incorporati in modo rigido al vestito. Tutti indossarono un’uniforme.
Molto diversa è la situazione del codice della moda vestimentario in questi ultimi decenni. È un codice ipo – codificato, cioè che dà vita ad un sistema sfumato di segni dove impercettibili sfumature del significato possono dar luogo a rilevanti scarti nell’universo semantico. Questa sua condizione di debolezza è dovuta anche alla sua continua e frenetica mutevolezza. Il codice vestimentario è un codice dove l’ambiguità è di casa. Pertanto prima di attribuire un certo significato ad un abito occorre tenere presente il contesto. Inoltre, un abito non significa la stessa cosa di un anno e dell’anno successivo, e soprattutto non significa la stessa cosa per i membri di diverse società e anche della società stessa.
Il codice e i segni del linguaggio vestimentario interessano un numero molto ampio di individui. Tuttavia, a differenza del linguaggio verbale, i suoi segni non vengono ereditatati, in quanto periodicamente sottoposti a radicali cambiamenti. La lingua della moda, è emanata da un gruppo di decisione, che elabora volontariamente il codice e questa peculiare caratteristica fa sì che la lingua degli abiti sia tangibile e alterabile. Quindi, i segni del linguaggio verbale evolvono, quelli del linguaggio vestimentario cambiano in modo rivoluzionario, in quanto sono creati per decisione di pochi e sono messi al mondo per vivere una sola stagione.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Irene Brin: Giornalista e scrittrice italiana (1914 – 1969).

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Informazioni tesi

  Autore: Silvia Marotta
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2008-09
  Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
  Facoltà: Scienze della Formazione
  Corso: Educazione ed Orientamento degli Adulti e Sviluppo dei Sistemi Formativi
  Relatore: Elena Riva
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 151

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