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Parole nuove per un testo antico: l'Orestea di Eschilo da Pasolini agli Anagoor

Il miracolo della traduzione: una questione di interpretazione

Nel quadro di una cultura di massa che tende a ridurre le occasioni di confronto con i testi classici in lingua originale, diventa sempre più doveroso riflettere sui processi e sulle modalità che portano a compiersi il miracolo della traduzione. Su un comune dizionario potremmo constatare che “tradurre” ha come primario significato quello di «volgere, rendere in una lingua diversa da quella originale un testo scritto od orale, o anche solo una frase o una parola». Tuttavia se ci si ferma un attimo a riflettere, per esempio, sull'etimologia, sulla storia della traduzione, e sulle problematiche che tale operazione porta con sé, ci si rende conto di come si tratti di una questione molto più complessa e articolata. Il termine tradurre deriva dal tardo latino trā–dūco, composto da trans (al di là), e ducere (condurre), dunque portare al di là, trasportare, condurre da un luogo a un altro. Nell'uso, per esempio, sono ancora vive, espressioni quali “essere tradotto in questura” o ancora “essere tradotto in carcere”, in cui il termine ‘tradotto' acquista chiaramente la valenza di ‘condotto', ‘portato'. Tuttavia è ad una lingua, scritta o parlata che sia, che il verbo tradurre si riferisce principalmente.
Si tratta di un'attività con una lunga storia alle sue spalle, che si dispiega attraverso differenti principi ed esigenze secondo le società e le epoche di riferimento. Proprio per questo risulta difficile dire cosa significhi esattamente tradurre. Come scriveva Umberto Eco, «la prima e consolante risposta vorrebbe essere: dire la stessa cosa in un'altra lingua. Se non fosse che, in primo luogo, noi abbiamo molti problemi a stabilire cosa significhi “dire la stessa cosa”, e non lo sappiamo bene per tutte quelle operazioni che chiamiamo parafrasi, definizione, spiegazione, riformulazione, per non parlare delle pretese sostituzioni sinonimiche. In secondo luogo perché, davanti a un testo da tradurre, non sappiamo quale sia la cosa. Infine, in certi casi, è persino dubbio che cosa voglia dire dire. […]». Eco sottolineava così l'impossibilità di portare ad effettivo compimento, almeno da un punto di vista teorico, il processo di traduzione, facendo valere più che mai quel principio per cui tradurre equivale a tradire.
Già prima di lui, Benedetto Croce e Giovanni Gentile si erano espressi in merito, dando il via in Italia al dibattito ‘moderno' sulla teoria e la pratica della traduzione letteraria. Nel capitolo IX della prima parte dell'Estetica, intitolato Indivisibilità dell'espressione in modi o gradi, Croce ribadiva l'individualità del singolo fatto espressivo, di cui l'impossibilità delle traduzioni è diretta conseguenza:
«[…] ogni contenuto è diverso da ogni altro, perché niente si ripete nella vita; e al variar continuo dei contenuti segue la varietà irriducibile dei fatti espressivi, sintesi estetiche delle impressioni. Corollario di ciò è l'impossibilità delle traduzioni […]. Ogni traduzione, infatti, o sminuisce e guasta, ovvero crea una nuova espressione, rimettendo la prima nel crogiuolo e mescolandola con le impressioni personali di colui che si chiama traduttore».
Il filosofo, dunque, riconosce due strade possibili, ma tanto il tentativo di rielaborare in forma logica l'originale (come nel caso delle traduzioni ad verbum), quanto quello di dare al medesimo oggetto una nuova forma estetica, sono destinati a fallire. La teoria crociana distingue allora tra «brutte fedeli o belle infedeli», detto proverbiale che «coglie bene il dilemma che ogni traduttore si trova innanzi». Ciononostante, Croce ammette in conclusione la «possibilità relativa delle traduzioni; non in quanto riproduzioni (che sarebbe vano tentare) delle medesime espressioni originali, ma in quanto produzioni di espressioni somiglianti e più o meno prossime a quelle. La traduzione, che si dice buona, è un'approssimazione, che ha valore originale d'opera d'arte e può stare da sé». E dunque, una traduzione si può considerare tale solo se si approssima all'originale, ma, al contrario, il suo intrinseco valore sta nell'autonomia rispetto ad esso. [...]

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Parole nuove per un testo antico: l'Orestea di Eschilo da Pasolini agli Anagoor

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Informazioni tesi

  Autore: Angelamaria Panetta
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Roma Tor Vergata
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze dei beni culturali
  Relatore: Cristina Pace
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 70

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