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Dimenticati di stato? Gli IMI e i Fremdarbeiter comaschi attualmente sepolti in Germania, Austria e Polonia

Il nuovo status di IMI e gli appelli fascisti

Subito dopo la sua liberazione, avvenuta il 13 settembre, il Duce pronunciò un proclama via radio per sciogliere i soldati dal giuramento di fedeltà al re e per invitarli a schierarsi insieme ai tedeschi per continuare insieme la guerra. Eppure, vista la percentuale di optanti, questo appello non riscosse un gran successo, soprattutto perché gli italiani erano veramente stanchi della guerra e della propaganda fascista.
Infatti afferma un ex-IMI:
«Verso le nove o le dieci ci annunciano che il “Duce” liberato dai tedeschi parlerà alla radio. Su tutti i volti passa un’ondata di costernazione. Ma dunque è ancora libero? E’ dunque vera la notizia della sua liberazione che circolava ancora a Rhum? Siamo piuttosto scettici e molti pensano ad una mistificazione. Quando la radio viene accesa si ode una voce che, se pure assomiglia alla “sua”, non ha certo quel timbro e quella foga che noi tutti ben conosciamo. Racconta la sua storia recente tentando di apparire vittima e martire. Non tralascia di esaltare ad ogni occasione la forza, il coraggio, l’eroismo e l’abnegazione dei tedeschi; si scaglia violentemente contro la monarchia e in nome di non so qual diritto, invita tutti alla collaborazione con i tedeschi e a dare il nostro sangue perché solo il sangue può cancellare l’onta del tradimento infame perpetrato da una cricca di traditori ai suoi danni e ai danni della grande Germania. Insomma continua a lungo su questo tono finché ne siamo indignati e nauseati. Siamo tutti stanchi morti, malandati per la fame e con molta fatica ci infiliamo nei loculi per dormire»
Il 15 settembre Hitler dichiarò che tutti i soldati italiani non disposti a continuare la guerra con la Wehrmacht dovevano essere considerati prigionieri di guerra. Pochissimi giorni dopo invece, revocò quanto detto e li dichiarò “internati militari”, una categoria riconosciuta ma non tutelata dalla Convenzione di Ginevra del luglio 1929 sul trattamento dei prigionieri di guerra.
Gli internati erano soldati di uno stato belligerante catturati in uno stato neutrale: ovviamente questa era una forzatura di Hitler per sottrarre i militari italiani alla tutela internazionale, grazie alla confusione innescata dalla fuga del Re e del governo. Infatti gli IMI vennero considerati «disertori di Badoglio e potenziali soldati del Duce, agli arresti per non collaborazione e in attesa di resipiscenza ed impiego». Ponendo questa forzatura del termine “internati” anziché inventare una nuova categoria, Hitler si pose sì all’interno delle convenzioni internazionali, ma trattandosi di una situazione fra due stati “amici” (uno belligerante ed uno neutrale, Germania e RSI), i dettagli riguardo il trattamento dei prigionieri erano da definire soltanto tra essi, come un loro esclusivo affare. In questo modo Hitler non si privò di nuovi potenziali soldati ed in ogni caso guadagnò una massa enorme di lavoratori coatti, appartenenti all’alleato Mussolini che avvallò questo sfruttamento, addirittura nel luglio ’44 “regalandoglieli” con la civilizzazione degli IMI. E’ da sottolineare in questo contesto che Hitler non riconobbe mai la ricostituita monarchia nel Sud Italia. Per procurarsi una nuova grossa quantità di soldati, Hitler sottopose gli IMI a condizioni durissime di mal nutrizione e sfruttamento del lavoro, allo scopo di rendere preferibile l’idea delle armi.
Contemporaneamente, non essendo legalmente assistibili lo sfruttamento degli internati italiani era pienamente ammissibile, senza i controlli internazionali. Per questo gli IMI non ricevettero la tutela internazionale della Croce Rossa e le comunicazioni con le famiglie e la ricezione di pacchi alimentari e con generi di prima necessità furono sempre difficoltose.
Il principale centro per le adesioni degli IMI era l’ambasciata italiana di Berlino retta da Filippo Anfuso, che inviava suoi esponenti nei lager e che perfino pubblicava un foglio propagandistico settimanale, la “Voce della Patria” (pubblicato fino al settembre ’44), distribuito quasi sempre regolarmente nei lager. Tra minacce e lusinghe di libertà, questo foglio propagandistico tentava di far leva su argomenti morali e ideali fascisti (che per venti anni avevano infarcito e plasmato la mente di uomini e l’educazione dei giovani) nonché sulla promessa di cibo e condizioni migliori concesse agli optanti.
La proposta di adesione venne fatta di norma una volta sola ai sottufficiali ed ai soldati semplici durante l’autunno del ’43, dopo un assillo propagandistico incessante; dopo il primo rifiuto vennero in quasi tutti i casi impiegati nel lavoro coatto o in Germania o nei territori occupati (minoranza). La proposta venne presentata per «servire in Italia nel quadro dell’arma SS sino alla fine della guerra»; poi l’impegno diventò riferito a generiche “organizzazioni italiane agli ordini del Duce” ed infine esplicitamente alla Repubblica di Salò. Ma sostanzialmente l’appeal della proposta era basato su un sensibile miglioramento delle condizioni materiali (gli stessi optanti venivano mandati fra gli IMI a raccontare come stavano dopo l’adesione), ma soprattutto sulla possibilità del rimpatrio.
Testimonia Alfredo O. in Schiavi di Hitler:
«dopo venti giorni di permanenza in questo campo tra maltrattamenti, violenze fisiche e morali, scarsità di cibo e digiuni, i tedeschi ci inquadrarono davanti al portone del campo, eravamo circa 10 o 12 mila, con due mitragliatrici puntate verso di noi. Ci dissero che Mussolini si trovava in Germania con Hitler e chiedevano se qualcuno era disponibile a combattere con loro. Noi mormorando sottovoce ci chiedevamo: “Dobbiamo tradire l’Italia?”. Qualcuno poi sussurrava: “Stiamo calmi, lo fanno per metterci paura”. Solo due accettarono la proposta»
O ancora Emilio B., sempre in Schiavi di Hitler:
«I prigionieri di varie nazionalità ci tennero informati: difatti seppero e ce lo dissero che stavano per passare fra di noi italiani per farci firmare di entrare nel nuovo Esercito di partecipazione della Repubblica Italiana guidata da Mussolini, che era stato liberato dai tedeschi in quei giorni. Difatti giravano fra di noi per raccogliere le firme; non ebbero il risultato sperato. E allora ci riunirono tutti all’aperto e con Ufficiali fascisti e tedeschi fecero un discorso di scioglimento del giuramento che avevamo prestato da militari e per un nuovo giuramento del nuovo esercito cosiddetto repubblicano italiano e dissero che ci avrebbero rimandati in Patria a combattere contro il nemico comune. Ma anche con tutto ciò non ebbero ciò che pensavano. Vista l’impossibilità di farci tornare a combattere, delusi, un generale tedesco ci parlò con una cattiveria, disse che come ci siamo comportati saremmo stati trattati (poi traditori e tanti altri epiteti)»

Questo brano è tratto dalla tesi:

Dimenticati di stato? Gli IMI e i Fremdarbeiter comaschi attualmente sepolti in Germania, Austria e Polonia

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Informazioni tesi

  Autore: Valentina Peretti
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi dell'Insubria
  Facoltà: Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
  Corso: Scienze dei beni culturali
  Relatore: Lucia Ronchetti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 223

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