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Nomadismo: spazi, indentità e culture

Il Pastoralismo Africano

L’economia pastorale è uno degli aspetti di maggiore rilievo e importanza all’interno del continente africano.

Le stime fornite dalla Fao per il periodo dal 1961 al 1997 indicano una crescente produzione di carne, esito dell'allevamento di diverse specie domestiche, con ovvie variazioni significative in relazione alle specifiche aree geografiche. Un elemento interessante è lo squilibrio esistente in termini di comportamento nel tempo, tra la produzione carnea e quella del prodotto secondario per eccellenza, il latte, che mostra anch’esso una crescita molto robusta, ma con una maggiore irregolarità, in quanto a causa della siccità degli anni Settanta, molti animali non sono riusciti né a produrre né a sopravvivere.

Ma confrontando i dati con la produzione delle principali colture, si può riscontrare una severa e costante instabilità soprattutto nella produzione cerealicola, che è rimasta determinata negli ultimi dieci anni con la sua flessione rispetto a tutti gli altri viveri, primari e secondari.

La produzione di carne, nella sua complessità, risulta maggiormente stabile e risente sicuramente meno delle fluttuazioni climatiche storicamente attestate: tale stabilità ha forse una base nella lunga tradizione pastorale di questa area, ed evidenzia una straordinaria capacità di adattamento alle realtà climatiche ed ambientali africane. Il problema del pastoralismo è anzitutto un problema di definizione, considerando le numerose articolazioni che questa economia ha al suo interno e con le società ad essa esterna.

Il concetto di mondo esterno, si utilizza in particolare per le società sedentarie e fondate su una economia agricola. Società pastorali pure, parzialmente miste e miste, rappresentano varie forme di integrazioni con il mondo esterno. Ma anche il termine di pastori 'puri' può variare sensibilmente se applicato a gruppi che praticano l’allevamento di grandi bovini, e pertanto semistanziali o del tutto sedentari, o se riferito a gruppi altamente mobili in ambiente arido con enfasi su specie diverse come capre e pecore.

È forse la prospettiva emica che andrebbe maggiormente analizzata, e in particolar modo la concezione che i pastori hanno di sé, e la formalizzazione culturale delle relazioni con gli animali. In questo senso, probabilmente le società pastorali africane, recenti e passate, si caratterizzano proprio per una particolare alta formalizzazione di tali rapporti, che si realizza ponendo gli animali al centro del loro mondo, non solo economico, ma anche rituale e ideologico. In questo senso, risulta necessario integrare un approccio che tenga pienamente conto degli aspetti simbolici, e che vada al di là delle mere equazioni mutamento climatico=adattamento culturale.

L'ipotesi di una origine autonoma per l'economia pastorale in Africa si è fondata nel passato sulla presenza di resti bovini molto antichi nel Sahara centrale, e in particolare nei siti dell’Adrar Bous, in Niger e a Uan Muhuggiag, nelle montagne dell’Acacus in Libia. Nel primo sito, venne scavato uno scheletro quasi completamente intero di bovino domestico, datato 5.800 anni dal presente; mentre a Uan Muhuggiag, nei livelli datati a circa 6.000 anni fa, furono travati i resti di un osso frontale attribuito a Bos brachiceros (bufalo dell’Africa occidentale). Studi approfonditi e scavi successivi condotti nello stesso sito rivelarono la presenza di resti bovini attribuibili alla forma domestica di Bos in livelli datati a circa 7.400 anni fa (Mori, 1965; Gautier. 1987).

Inoltre, fonti storiche, ci informano di come le distanze eticamente enormi fossero emicamente accessibili, si veda ad esempio il periodo di circa 60 giorni necessario per recarsi dal Cairo nel cuore del Sahara, come riportano i viaggiatori medievali (Leone Africano 1556, citato in Mori, 1937) o le poche settimane per recarsi da Tripoli nella regione dei Garamanti, attraverso il percorso delle antiche carovaniere riportato da Erodoto (Melpomene, IV) o il percorso ancor più breve preater caput saxi ricordato da Plinio (Naturalis Historia, 1. V, c. 5).

Tali limitati tempi di spostamento, minano alla base la prospettiva diffusionista, informandoci di come tali condizioni climatiche, ambientali e culturali, l’attraversamento delle regioni nordafricane era realizzabile con relativa facilità. Un altro approccio emerso alla metà degli anni '70 e nei primi anni '80 è basato sul concetto che potremmo informalmente definire di 'ipersfruttamento', sebbene questo si sia di volta in volta appoggiato su diversi criteri analitici. Questo particolare approccio si è diretto principalmente verso l'Ammotragus Iervia, l'ammotrago, un muflone di montagna diffuso in Nord Africa dal Pleistocene (Gray, 1985). Il primo a ipotizzare una forma di domesticazione dell'ammotrago fu Saxon, basandosi prevalentemente sulle caratteristiche di uccisione di questo animale in alcuni siti epipaleolitici della costa mediterranea nordafricana. L'età di morte e il sesso degli animali, unitamente alle altissime percentuali di questo artiodattilo negli insiemi faunistici, sono alla base della ipotesi della sua possibile domesticazione. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Nomadismo: spazi, indentità e culture

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Informazioni tesi

  Autore: Chiara Caruso
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara
  Facoltà: Sociologia
  Corso: Sociologia e Criminologia
  Relatore: Alfredo Agustoni
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 81

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