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La nobile follia di Igino T. Antimilitarismo, individualismo e follia nell'utopia tarchettiana

Il problema di un’utopia

"la denuncia appassionata di una situazione colta in tutti gli aspetti di degradazione e dolore che ne costituiscono l’essenza, con un continuo tornare sul problema più vasto che questa sottintende (e quindi il problema della guerra, il diritto alla vita e l’obbiezione di coscienza) pone la questione delle suggestioni culturali e ideologiche che potevano operare sull’ex ufficiale piemontese" (GHIDETTI)

È sempre Ghidetti a sottolineare l’importanza di comprendere le influenze, i modelli e le fonti che hanno condizionato e alimentato positivamente l’opera in questione, della quale se ne inizia la pubblicazione quando, sulla rivista di Cletto Arrighi, la “Cronaca Grigia”, era in corso un acceso dibattito proprio su questo tema. Senza dubbio, in relazione al rapporto tra Verità e Arte, per Tarchetti l’esperienza autobiografica è il primo vero motivo a scrivere: il protagonista può così abbracciare l’antimilitarismo perché l’autore in prima persona ha vissuto i drammi della caserma, l’assurdità dell’esercito, la fredda crudeltà delle armi.
La sua vicenda umana si delinea sotto il segno di una crisi profonda: lo Stato appena formato deve risolvere le spinose questioni dell’assorbimento, nell’esercito Nazionale, dell’esercito dei volontari-garibaldini e gli eserciti degli altri Stati della penisola; questa situazione viene da lui sperimentata durante la gigantesca operazione di Polizia volta alla repressione del Brigantaggio al Sud Italia, paragonata in tutto a una ‘guerra coloniale’. Questa crisi è anche e soprattutto una crisi di coscienza di un militare e di un intellettuale.
Nonostante l’autore, con un certo orgoglio, si definisce un precursore nella lotta alla ‘piaga del militarismo’, il suo atteggiamento va inquadrato in un generale clima di avversione a questa istituzione nella cultura europea. A partire dalla seconda metà del XIX secolo, comincia a diffondersi la preoccupazione per la rapida evoluzione delle armi e per il dinamismo incontrollabile dei conflitti, per la spirale di violenza provocata dalla guerra. Il movimento pacifista nascente comincia a delegittimare la giustificazione politica di questo fenomeno, e Tarchetti accoglie questi spunti coniugandoli in una requisitoria che va al di là dell’attacco all’esercito in quanto tale, ma si scaglia contro l’atto stesso dell’uccidere, contro la stessa tirannia della morte.
Delle teorie politiche rivoluzionarie del periodo, e dei grandi movimenti che infiammavano il cuore dell’Europa, il nostro romanzo condivide il momento più ingenuo e ‘scorretto’. L’anarchismo, il comunismo, il socialismo, i movimenti operai e contadini; la critica rivoluzionaria di Tarchetti accoglie generosamente tutte queste spinte al cambiamento, testimoniando, a prescindere dai limiti di una precisa connotazione politica, una sensibilità decisamente aperta al nuovo.
Un accenno, seppur marginale, meritano senz’altro le figure di cui si avverte di più il peso nel bilancio dell’effettiva componente anarchica della ‘nobile follia’, e cioè Proudhon e Pisacane. Per quanto riguarda Proudhon, gli influssi del pensatore francese (e, più in generale, del socialismo transalpino) erano forti e radicati in Lombardia; il nostro autore ne ricava il discorso a proposito della struttura della società, e quindi il problema della proprietà privata, delle leggi e del debito, delle contraddizioni di questa e degli aspetti desolanti e drammatici della miseria e dell’ingiustizia umane: tematiche che saranno una necessaria premessa all’enunciazione della tesi antimilitarista. Di Pisacane, patriota, filosofo ed eroe del Risorgimento molto vicino a un certo tipo di socialismo libertario e utopico, sicuramente Tarchetti dimostra di aver ben presente il saggio “Ordinamento dell’esercito italiano. Come ordinare la nazione armata”, edito nel 1860, dove, tra le altre cose, viene detto che “le milizie perpetue sorgono al tramonto della libertà”.
Possibili fonti letterarie possono essere rintracciate nel romanzo d’appendice e di largo consumo, i “feuilleton”, e di numerosi romanzieri francesi romantici come De Vigny e Hugo, ma soprattutto il duo Erckmann-Chatrian. Va comunque precisato che, dai grandi modelli stranieri, il nostro scrittore apprende soprattutto una lezione formale, espedienti narrativi funzionali alla traduzione dei propri stati d’animo, i quali necessitavano di un ‘linguaggio’ appropriato per essere rappresentati. Se l’intertestualità appare come la ‘cifra genetica’, distintiva del suo linguaggio, tuttavia bisogna comunque osservare che il tutto è assimilato e ‘complicato’, assorbito e rielaborato magistralmente tramite un’inclinazione del tutto personale e autentica
Anche dall’arte nuova di Edgar Allan Poe saprà ricavare insegnamenti preziosi: l’influenza dello scrittore americano, del quale cominciavano a sentirsi i primordiali echi europei attraverso la mediazione di Baudelaire, può essere senz’altro una spia dell’ormai inarrestabile processo di autoreclusione nella realtà del proprio io:

"Vi è un altro mondo per gli onesti, quello che ciascuno si crea per se stesso". (TARCHETTI)

Dal maestro dell’orrore, il nostro mostra di aver appreso due cose fondamentali; innanzitutto un ampliamento dei canonici topos, importando nel nostro panorama letterario una serie di spunti e di temi tipici della ghost story, ibridati all’interno del suo impasto narrativo. Ma soprattutto la nuova arte di Poe interessa in quanto “espressione di una nuova e sofferta visione del mondo e dell’arte”, che si coniugherà in un individualismo esasperato, ai limiti della follia.

Prima di tentare di fare il punto della situazione, attraverso alcune considerazioni complessive sul dramma militare come preludio necessario allo sviluppo successivo della sua arte, credo sia giusto chiarire alcuni concetti.
Abbiamo ampiamente illustrato come la storia di Vincenzo sia una narrazione-pretesto, nella quale si innesta un ‘pamphlet intradiegetico’ contro gli eserciti, un atto di denuncia di una miserevole condizione morale e materiale. Trascorso il tempo delle rivendicazioni risorgimentali, per l’autore si impone l’obbligo di una revisione ideologica, in direzione libertaria e pacifista. Questa polemica lo infiamma maggiormente proprio perché contrasta col ricordo dell’ideale risorgimentale.
Tarchetti pubblica l’opera concependola come il primo momento, il passo iniziale di un’azione di propaganda che doveva articolarsi secondo le linee di un ciclo narrativo complesso, destinato a portare dentro le caserme un’illustrazione polemica di tutti gli aspetti della vita del soldato; senza risparmiarsi, compiendo ciò che oggi si potrebbe definire una campagna di “volantinaggio”, egli comincia a diffondere tra i soldati di Milano il suo programma, che in ogni caso non ebbe seguito.
In un’epoca ormai dominata da forze politiche organizzate lo scrittore, così come il suo personaggio meglio costruito, agisce diciamo ‘romanticamente’ da solo, senza costruirsi nessun punto di riferimento concreto. La sua rimane una notevole “demistificazione letteraria” della vita militare, inserita in un progetto politico generoso ma, sotto alcuni punti di vista del tutto evanescente, appunto “una nobile follia”.
Tuttavia credo che, considerare la sua opera come un ‘progetto politico generoso ma evanescente’, esuli dai compiti della Critica; con questo non vorrei dire cose irrispettose, o comunque prive di un solido fondamento teorico, eppure sono convinto del fatto che questo romanzo non sia mai stato capito fino in fondo. L’invettiva antimilitarista, senza dubbio un nodo centrale del romanzo, ha appannato tutto il resto, un insieme impressionante di motivi che rendono l’autore un precursore, un anticipatore di tendenze e poetiche.
Non va assolutamente dimenticato che Tarchetti è un romanziere, un narratore, e non un uomo politico. Il suo intento principale rimane quello di fornire, tramite la forma-romanzo (considerata, ricordiamolo, come “la più perfetta tra le forme”), un’acuta disamina della situazione in cui vertono i coscritti, abbruttiti dalla vita militare: la piccola e stratificata società nella società, ciò che in fondo è la caserma; la necessità di un duro addestramento; la rigida disciplina che regola meccanicamente i rapporti fra soldati e ufficiali disumanizzandoli sono il corollario dell’ingiusta e arbitraria chiamata alle armi.
L’artista moderno non ha solidi programmi per cambiare ‘politicamente’ la società; la sua rivolta contro ogni forma di autorità dovrebbe ampiamente dimostrare quanto di rivoluzionario e di anticonvenzionale c’è in questa scelta. L’uomo sociale si spegne inevitabilmente perché non ha più armi per combattere, non ha più ideali da difendere a spada tratta.

Pertanto questo romanzo resta l’unico esempio d’un effettivo impegno politico dell’intellettuale scapigliato. Ma, per quanto riguarda la ricchezza di spunti che offre, appare come una fucina di motivi che lo scrittore approfondirà nelle opere successive della sua brevissima ma intensa carriera, motivi che sembrano realizzarsi anche successivamente, negli anni posteriori alla “parentesi” scapigliata:

"Una nobile follia appare l’espressione emblematica della crisi generale che attraversa la società, nella sua eloquenza e tensione narrativa e nella sua incapacità di superare il momento negativo della denuncia sulla base di un ideale umanitario, denuncia che si risolve prima nell’evasione dalla coscienza, e quindi la follia, fino al rifiuto totale della vita, con il suicidio". (GHIDETTI)

Questo brano è tratto dalla tesi:

La nobile follia di Igino T. Antimilitarismo, individualismo e follia nell'utopia tarchettiana

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Informazioni tesi

  Autore: Massimiliano Celiboni
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Lettere
  Relatore: Monica Cristina Storini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 70

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Parole chiave

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