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La libertà morale del dichiarante e la ricerca della verità nel processo penale: il contributo delle neuroscienze.

Il rapporto tra le neuroscienze e il divieto di perizia psicologica

Come accennato, la perizia è uno dei mezzi con cui le neuroscienze fanno ingresso nel processo, ma ciò non accade senza difficoltà.
Nel procedimento penale italiano è possibile eseguire una perizia psichiatrica sul soggetto imputato per determinare la sua capacità di intendere e di volere al momento della commissione del reato, come richiesto dall'art. 89 c.p.128. Lo stesso favore non si riscontra in relazione alla perizia psicologica e, per estensione, anche alla perizia criminologica129. L'art. 220 c.2 c.p.p. prevede che «salvo quanto previsto ai fini dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilire l'abitualità o la professionalità del reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche». Ai sensi dell'art. 133 c.p.130, però, il giudice deve tenere in considerazione la personalità dell'imputato per la determinazione della sua capacità a delinquere, al fine di valutare la gravità del reato e la seguente quantificazione della pena. In particolare, la norma richiama i c.d. "motivi a delinquere", intesi come impulsi psichici che determinano l'agire dell'uomo131. Questa disciplina sembra porsi in contrasto con il divieto di perizia psicologica.
La ratio del divieto risiede principalmente nel fatto che una perizia di questo genere verrebbe effettuata su un soggetto non ancora condannato, con il rischio di inficiare il convincimento del giudice. Ciò spiega perché la perizia psicologica non incontra ostacoli nel suo espletamento nella fase esecutiva, dove l'accertamento del fatto non rischia di essere inquinato da un'analisi personologica. La previsione normativa, inoltre, sembra precludere il rischio di violazione dell'art. 188 c.p.p., secondo cui la facoltà di reagire liberamente agli stimoli non può essere compressa da metodi che alterino la capacità di ricordare o valutare i fatti132.

Tale divieto rischia di impedire la piena attuazione dell'adeguamento alla personalità del soggetto responsabile sia delle sanzioni, sia dell'esigenza del recupero. Qualcuno ritiene che sarebbe possibile ricorrere al perito per valutare la capacità a delinquere dell'imputato solo dividendo il processo in due fasi: una riguardante l'accertamento della responsabilità e l'altra dedicata all'individuazione del trattamento sanzionatorio. In questo modo, la perizia si potrebbe collocare in un momento diverso e successivo rispetto alla condanna, compatibilmente con i principi costituzionali e le garanzie dell'imputato133.
Già nel Codice di procedura penale del 1930, l'art. 314 c.2134 vietava le «perizie volte a stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche». Ciò si giustifica alla luce della sfiducia del legislatore nei confronti delle scienze umane "inesatte"135. Era ammessa, invece, la perizia psichiatrica nei casi in cui il soggetto presentasse una patologia; in caso contrario, il giudice poteva esaminare la personalità eventualmente avvalendosi della testimonianza o della osservazione diretta del soggetto, senza poter disporre una perizia136.
Il divieto di perizia psicologica è stato spesso oggetto di discussione, in particolare per il suo potenziale contrasto con alcuni principi costituzionali. Nella sentenza n.124 del 1970, la Corte costituzionale si è espressa sul potenziale contrasto dell'art. 314 c.2 R.D. 1399 del 1930 con l'art. 27 c.3 Cost., secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. La Corte ha riconosciuto effettivamente una incompatibilità tra il divieto di perizia psicologica e la necessità del giudice di indagare sui motivi a delinquere e sul carattere del reo al fine della determinazione della corretta sanzione, come indicato dall'art. 133 c.p.. Si tratterebbe, però, di un contrasto tra norme di primo grado, non di contrasto con i principi costituzionali: la Consulta, in più occasioni, ha ribadito che tali presunti contrasti tra norme non creassero problemi di legittimità costituzionale, ma, al più, era compito del legislatore, a sua discrezione, valutare i mezzi di prova opportuni per la determinazione della pena137. Un'altra questione di legittimità costituzionale fu sollevata per denunciare la violazione del diritto di difesa di cui all'art. 24 c.2 Cost. da parte dell'art. 314 c.2 c.p.p., sulla base dell'assunto secondo cui il divieto di perizia psicologica rischiasse di precludere all'imputato la prova di rilevanti elementi a sua difesa. L'articolo in questione è stato sospettato di incostituzionalità anche per contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., in quanto la perizia psicologica non era vietata nei procedimenti minorili138. Nella sentenza n. 179 del 1973 la Corte costituzionale risolse la questione affermando che fosse possibile accertare i dati indicati dall'art. 133 c.p. tramite altri mezzi, come le indagini disposte dal giudice, i rapporti di polizia e la testimonianza, negando che vi fosse alcuna privazione di mezzi di prova più adeguati a tale scopo139. In seguito, con la legge delega n. 108 del 1974 e il progetto preliminare al nuovo codice di procedura penale del 1978, sembrarono profilarsi spazi di apertura nei confronti della perizia psicologica. La seconda legge delega n. 81 del 1987, però, non seguì la stessa direzione e scelse la strada del silenzio140, poi tradotto nel divieto dell'art. 220 c.2 del vigente Codice. 
Più recentemente, nella sentenza Raso, la Corte di cassazione si è espressa sulla possibilità, in tema di imputabilità e ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, di fare rientrare nel concetto di "infermità mentale" di cui agli artt. 88 e 89 c.p. anche i "gravi disturbi della personalità". Originariamente, infatti, si riteneva che solamente le malattie mentali in senso stretto potessero influire sulla capacità di intendere e di volere. L'orientamento che emerge dalla sentenza in esame, alla luce delle acquisizioni scientifiche e del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), sembra accordare una interpretazione più ampia delle cause di esclusione dell'imputabilità, ricomprendendovi anche le nevrosi, la psicopatia e tutti i cosiddetti "disturbi della personalità"141. In questo modo, però, per valutare l'infermità di mente del soggetto nella sua concezione più estesa, appare necessario effettuare indagini finalizzate alla rilevazione di disturbi della personalità non legati a cause patologiche, rendendo più debole il divieto dell'art. 220 c.2 c.p.p. e ipotizzando un ingresso della perizia psicologica nel processo in modo indiretto, attraverso la perizia psichiatrica142.
In questo contesto, le neuroscienze possono offrire un apporto notevole nell'accertamento della capacità di intendere e di volere grazie a una diagnosi del disturbo mentale e alla scoperta delle correlazioni tra le funzioni cerebrali e il comportamento del soggetto.



128 V. Art. 89 c.p.: «Vizio parziale di mente – Chi, al momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere o di volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita.».
129 M. MONTAGNA, "I confini dell'indagine personologica nel processo penale", Aracne, Roma, 2013, p.32. Mentre la perizia psicologica è finalizzata all'accertamento della personalità dell'imputato, al riconoscimento di anomalie caratteriali o affettive, la perizia criminologica tiene conto anche di fattori ambientali e sociali in cui si è svolto il reato.
130 V. Art. 133 c.p.: «Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena. – Nell'esercizio del potere discrezionale indicato nell'articolo precedente [Art. 132 c.p.: Potere discrezionale del giudice nell'applicazione della pena: limiti.], il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta: 1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione; 2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 3) a delinquere del colpevole, desunta: 1) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; 2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; 3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; 4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.».
131 Nota all'art. 133 c.p., in www.brocardi.it.
132 P. TONINI, "Manuale di procedura penale", cit., p.269.
133 Ibidem.
134 Art. 314 R.D. n.1399 del 1930.
135 M. MONTAGNA, "I confini dell'indagine personologica nel processo penale", cit., p.9.
136 M. MONZANI, "Manuale di psicologia giuridica", Libreriauniversitaria.it, Padova, 2011, p. 164.
137 C. RIZZO, "Accertamenti sull'età e la personalità del minore nel procedimento penale", Giuffrè, Milano, 2007, p. 92.
138 G. TRANCHINA, "Il divieto di perizia psicologica sull'imputato: una limitazione sicuramente incostituzionale", in "Rivista italiana di diritto e procedura penale", 1971, p.1331.
139 Corte cost., 19 dicembre 1973, n. 179, in Giur. cost., 1970, p.2932.
140 M. MONTAGNA, "I confini dell'indagine personologica nel processo penale", cit., p15.
141 C. Cass., Sez. Un., 8 marzo 2005, n. 9163, Raso, in "Rivista Italiana di diritto e Procedura penale", Giuffrè, Milano, Anno XLVIII, 2005, p. 394.
142 P. TONINI, C. CONTI, "Il diritto delle prove penali", cit., p307.

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La libertà morale del dichiarante e la ricerca della verità nel processo penale: il contributo delle neuroscienze.

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Informazioni tesi

  Autore: Jessica Rinaldin
  Tipo: Laurea magistrale a ciclo unico
  Anno: 2022-23
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Lucio Bruno Cristiano Camaldo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 176

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diritto processuale penale
libertà morale
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