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Il trailer cinematografico : una forma para-testuale tra narrazione e promozione

Il trailer come strategia di marketing tra illusione e realtà

In seguito all’analisi di carattere storico del capitolo precedente si comprende come il trailer appartenga a tutti gli effetti alle forme brevi di comunicazione, metodologia di breve durata dove la seduzione dello spettatore gioca un ruolo importante. Questo elemento seduttivo non può che essere introdotto facendo riferimento all’analisi compiuta da Genette nell’opera Soglie. I dintorni di un testo, analisi collocata nel capitolo I titoli, nel paragrafo riguardante la seduzione. Utilizzando le parole proposte da Leo H. Hoek, uno dei massimi esponenti della titolologia moderna, ci viene detto “il titolo è di fatto un artefatto legato alla ricezione o al commento, arbitrariamente dedotto dai lettori, dal pubblico…”, Hoek continuerà poi la sua analisi aggiungendo altri due elementi costituitivi del titolo ovvero il titolo secondario e il sottotitolo. Se ci concentriamo su un discorso strettamente legato al trailer cinematografico è bene rendere noto come il titolo venga anch’esso considerato elemento che precede il prodotto finale in quanto forma para-testuale. Ciò che rende ottimi un titolo o un trailer, è la loro capacità di non svelare completamente il prodotto che sta annunciando perché, riprendendo le parole di Genette “è necessaria la presenza di una certa dose di oscurità e di ambiguità”. Questa importante constatazione sembra quasi volerci allontanare dalla consapevolezza che entrambe le forme brevi siano portatrici di un aspetto seduttivo. In realtà questa oscurità di cui parla Genette non fa altro che incentivare la logica seduttiva di questi due elementi1. Nonostante l’elemento seduttivo faccia apparire il trailer così simile alla pubblicità in realtà è proprio questo suo non voler mostrare a fare la differenza, lo spot ci porta in scena esclusivamente elementi accattivanti mentre un trailer ha la necessità di apparire nebuloso. Nonostante ciò lo spettatore non deve confondersi ma nemmeno capire totalmente ciò che il prodotto finale propone, questo vorrebbe dire venir meno alla curiosità che spinge lo spettatore ad andare al cinema o a scegliere quel film piuttosto di un altro. Questa sorta di vedo non vedo delle immagini per gli esperti di marketing si traduce solitamente nella realizzazione di due differenti tipi di trailers per lo stesso film dove la differenza fondamentale tra l’uno e l’altra tipologia di trailers sta nel periodo in cui essi vengono lanciati o proposti al pubblico. Il primo di questi viene proposto sei mesi prima oppure qualche settimana prima della data di uscita del film ed è comunemente chiamato come l’advance trailer, le scene che propone tendono a non mostrare quasi nulla se non il titolo del film. Una grafica accattivante utilizzando un font facilmente comprensibile assieme a scritte quali “coming next summer” è utile soprattutto per saghe già note al pubblico come per esempio Guerre stellari. La seconda tipologia è identificata nel release trailer, ci fornisce immagini e spezzoni del film in vista della sua imminente uscita. Risulta quindi obbligatorio fornire una sorta di anticipazione a ciò che da lì a qualche settimana il pubblico vedrà, ma soprattutto il trailer essendo un prodotto per la vendita e la pubblicizzazione di altro ci si aspetta che dopo la sua uscita gli incassi al botteghino aumentino esponenzialmente2. Altro effetto prodotto questa volta da un titolo o trailer non troppo accattivante e non in linea con l’idea del film, genera nello spettatore un’ambiguità e un paradosso difficili da estirpare. Questi sentimenti negativi in particolare nei confronti dei titoli, Genette li identificava come effetto Jupien in cui il messaggio finale che ci viene proposto è il seguente “….non curiamo troppo i nostri titoli o -come diceva Cocteau - non profumiamo troppo le nostre rose”. Nonostante queste importanti premesse un trailer di successo, che rispecchi in ogni sua parte l’essenza del film senza eccedere e senza collocarla in una posizione secondaria, non è in grado di determinare automaticamente il successo del film stesso. Realizzare un ottimo trailer significa ideare una strategia che tenga conto del genere di riferimento. E’ ormai infatti assodato che il trailer possieda un genere e che esso rifletta quello del film proposto, per capire meglio però la portata dell’importanza di questo fattore in un ambito pubblicitario è bene fare un esempio. I film e i trailer di genere horror mostrano immagini, linguaggi che portano a sovra- eccitare lo spettatore con l’obiettivo di spaventarlo; tutto questo è alimentato da un montaggio talvolta serrato talvolta piuttosto statico in modo da permettere un maggior effetto di suspense nello spettatore. Un “ horror-trailer ” non deve quindi passare inosservato, nulla deve essere lasciato al caso perché tutto quello che viene mostrato al pubblico automaticamente scatena una reazione emotiva tramite per esempio l’urlo di paura.

Anche un trailer se ben realizzato può diventare un luogo in cui il pubblico può vivere un’esperienza sensoriale differente. Nel saggio Vendere paura per la rivista Segnocinema Giuseppe Salza ci propone l’esempio del trailer per il film La casa 2, film del 1987 il cui trailer è considerato come un classico degli horror- trailers. Il successo di questa specifica tipologia di trailers sta nel riuscire a trovare un punto di incontro tra la scena che scatena lo shock dello spettatore e un montaggio che rispetti il genere proposto. Rivolgendo adesso una completa attenzione all’argomento cardine del paragrafo, è bene dire come la pubblicità e le produzione culturali di qualsiasi tipo abbiano una sorta di rapporto simbiotico in quanto è l’attività di pubblicizzazione che permette la penetrazione tra un media e l’altro. Come il trailer anche la pubblicità è una forma comunicativa che si adatta ad ogni situazione, cambia in base alle mode e alle necessità testuali di riferimento. I testi promozionali ma così anche il trailer sono studiati ad hoc da chi investe in queste forme comunicative, ma non si tratta solamente di un investimento di tipo economico, in gioco c’è anche la fiducia che questi investitori ripongono in questa tipologia di prodotto. Da loro ci si aspetta la massima resa dove il pubblico-consumatore possa rimanerne affascinato ma anche guidato verso una corretta lettura del film in quanto il trailer in questo caso assume il ruolo di foglio illustrativo per lo spettatore. Inoltre essendo una sorta di “micronarrazione ” le regole a cui deve sottostare non sono rigide perché tutto diventa lecito, nuovi mondi e nuovi significati si susseguono continuamente. Isabella Pezzini a questo proposito introduce due tipologie di competenze proprie dello spettatore e del film a cui fa riferimento. Vediamole nel dettaglio, da una parte abbiamo una “ competenza intertestuale ” dove il pubblico conosce il trailer ed è in grado di avere una sua conoscenza e competenza che gli permetta di ricollegare le immagini individuate nel trailer nel film. Dall’altra parte abbiamo la situazione contraria in cui il film viene depotenziato dalla eccessiva forza comunicativa delle sue forme para-testuali. In particolar modo questo accade nei film comici, demenziali le cui le scene proposte nel trailer tendono ad essere quelle più iconiche e divertenti. Per sua natura un qualsiasi trailer riesce a manipolare il significato del prodotto finale, questa forma di manipolazione si identifica in particolar modo in termini specificatamente “traduttivi” a cui Isabella Pezzini aggiunge “ ……questa manipolazione è da intendersi come una sorta di trasformazione orientata del testo filmico in un altro testo, nel quale permangono le tracce enunciative del lavoro svolto.” Ciò che però è importante è l’idea di sottolineare come il trailer sia da proporre allo spettatore in un’ottica differente rispetto al film dal quale deriva.3 Un’altra riflessione interessante è data dal voler sottolineare come il trailer faccia si parte di tutto l’apparato comunicativo che concorre alla pubblicizzazione del film, ma a differenza di manifesti pubblicitari, locandine o altre forme cartacee, il trailer è realizzato utilizzando la stessa materia, le stesse tecniche che vengono usate per la produzione del film. Questo ci fa capire ancora una volta come il trailer e il film abbiano questa sorta di rapporto simbiotico dove l’uno non può esistere senza l’altro. Essendo così simile al film, il trailer risulterà di conseguenza molto più credibile agli occhi dello spettatore rispetto alla semplice cartellonistica. Il trailer spesso e volentieri ci pone davanti delle domande, delle riflessioni che provengono direttamente dai protagonisti del film. Più è complessa la domanda più la curiosità dello spettatore nel cercare di trovare una risposta sarà maggiore, ragionando su questo ultimo punto tramite un esempio è utile citare il film Mommy di Xavier Dolan del 2014. La scena in questione vede Diane, la madre del protagonista, riflettere sul futuro di suo figlio, “so che Steve prima o poi combinerà qualcosa di veramente grande”, in seguito a questa affermazione lo spettatore è portato a farsi una serie di domande, che cosa effettivamente combinerà Steve, quali saranno le conseguenze delle sue azioni. Insomma si tratta di una battuta che stimola il pubblico alla riflessione. Naturalmente la domanda può essere più o meno confusa a seconda della chiarezza della storia proposta nel trailer. Un esempio di trailer che fornisce domande piuttosto confuse possiamo infatti trovarlo nel di film di Christian Mungiu del 2016 Un padre, una figlia. “A cosa porterebbe la verità?, che strada devo prendere?”. Il trailer è in grado di sedurre tramite essenzialmente tre “modi di esistenza” che prevedono, un modo di esistenza narrativo, anti-narrativo e narrativo con delle lacune o comunque delle contraddizioni che permettono a questo ultimo modo di collocarsi a metà strada tra i primi due.

Il metodo narrativo ci permette di raccontare in maniera coincisa e comprensibile la storia in modo da incuriosire il pubblico per quello che è e non per quello che potrebbe sembrare, il trailer per il film di Paolo Virzì del 2016 La pazza gioia in questo senso ci fornisce un valido esempio in quanto le azioni delle protagoniste vengono seguite senza tralasciare alcun tipo di dettaglio. Soffermandoci ancora su questa tipologia di trailer emerge come la narratività abbia a disposizione a sua volta quattro principali metodi di sintetizzazione. Brevemente parlando Martina Federico li riassume in questo modo “ riprodurre più o meno proporzionalmente l’interezza del film; restituirlo in forma di succo delle parti migliori; raccontare parti di una storia, sia o meno quella principale del film; tentare di rendere l’idea del film attraverso una manipolazione degli elementi in chiave traduttiva”. La seconda metodologia è invece chiamata metodologia anti-narrativa in cui la sinossi della storia ci appare confusa, gli unici fattori che permettono una comprensione maggiore possiamo trovarli nell’estetica e nell’ambiente del film. Questa confusione possiamo ritrovarla nel trailer del film Effetti collaterali di Steven Soderbergh del 2013. La terza ed ultima metodologia riguarda il narrativo avente delle lacune dove la storia è interessante e incuriosisce gli spettatori nonostante tenda a coinvolgere quei trailer narrativi con delle parti di film incomprensibili. A conclusione di queste analisi si verifica ciò che viene comunemente chiamato criterio della chiarezza o della compiutezza in cui l’intreccio del film ci permette di presentare casi in cui sono presenti una o più metodologie4. È ormai assodato come l’obiettivo principale del trailer sia riconducibile a voler pubblicizzare il prodotto finale avendo come conseguenza la possibilità di un’ entrata economica. La finalità del trailer però non si limita solo a questo in quanto capita non di rado di trovarsi di fronte a trailer o film in cui appaiono dei prodotti di ogni genere con fini puramente promozionali. I prodotti in questione possono apparire nei momenti più vari del trailer, il brand che devono pubblicizzare si trova in bella vista in modo che non passi inosservato agli occhi dello spettatore. Naturalmente queste strategie promozionale e di marketing deve essere ben segnalata prima della visione del prodotto, il pubblico deve sapere che si tratta di uno spazio promozionale utilizzato dagli sponsor dello stesso trailer o film. Un pubblico ignaro di ciò potrebbe avere l’impressione di trovarsi di fronte ad un’ intrusione non necessaria per lo svolgimento della storia. Questa sorta di intrusione può avvenire in diversi modi che comprendono una modalità preponderante in cui gli sponsor sono particolarmente visibili ma non fastidiosi, oppure in maniera meno appariscente in cui i messaggi promozionali hanno importanza ma giocano un ruolo secondario in quanto la vista del brand è appena accennata. Un esempio di trailer e quindi di film in cui la presenza degli sponsor è fortemente presente ma che non è considerata come elemento di disturbo lo possiamo ritrovare in Un tassinaro a New York, film del 1987 di Alberto Sordi. In questo specifico caso c’è una scena esemplare per spiegare come gli sponsor siano radicati in questa pellicola. La scena in questione è la seguente, Pietro Marchetti (Alberto Sordi) e sua moglie Teresa Marchetti (Anna Longhi) sono appena atterrati all’aereporto di New York, stanno compiendo gli ultimi controlli al check-in. Ad un certo punto uno dei poliziotti insospettito dal contenuto di una delle loro valigie li invita ad aprirla, al suo interno trova ogni genere di prodotto tipicamente italiano, pasta di diverse qualità, salsa di pomodoro, ecc.., quello che più colpisce oltre che la simpatia dell’intera scena è però come il brand di riferimento sia sempre lo stesso, ovvero il marchio Barilla. In particolar modo un frame di qualche secondo si sofferma proprio su questo particolare tramite una riprese dall’alto statica in modo che i prodotti Barilla siano visibili. In questa scena il marchio appare naturalmente visibile ma anche ben integrato con la storia.5




1 Cfr. G. Genette(1989) , Soglie. I dintorni del testo, Torino, Einaudi, pp. 90-93
2 Cfr. G. Salza (1989) , Vendere paura, Segnocinema, n.31, pp.35-36
3 Cfr. I. Pezzini (2002), Trailer, spot, siti e banner. Le forme brevi della comunicazione audiovisiva. Roma, Meltemi editore, pp. 11-40
4 Cfr. M.Federico (2017), Trailer e film. Strategie di seduzione cinematografica nel dialogo tra i due testi. Milano-Udine,Mimesis Edizione, pp. 43-48, 109-224
5 Cfr. O. Calabrese (1987), Film prossimi e venturi. Per un approccio teorico al fenomeno trailer, “Segnocinema”, n.31, pag.37

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Il trailer cinematografico : una forma para-testuale tra narrazione e promozione

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Informazioni tesi

  Autore: Erica Selis
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi di Pisa
  Facoltà: discipline dello spettacolo e della comunicazione
  Corso: Dams - Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo
  Relatore: Maurizio Ambrosini
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 46

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