Il Ruolo delle Blockchain nel marketing 4.0

Il mining di criptovalute è il processo di creazione di nuove monete digitali e di verifica delle transazioni all'interno della rete blockchain. I minatori utilizzano i loro computer per risolvere complessi problemi matematici e per registrare le transazioni in un registro pubblico e immutabile, che viene condiviso con tutti i nodi della rete.
In cambio del loro lavoro, i minatori ricevono una ricompensa in forma di nuove criptovalute. Questo processo consente di mantenere la sicurezza e l'integrità della rete, poiché richiede un consenso globale per apportare modifiche o per confermare le transazioni.
Il mining di criptovalute richiede una notevole quantità di potenza di calcolo e consuma molte risorse energetiche. Per questo motivo, molti minatori si uniscono in pool di mining per aumentare le loro possibilità di ricevere la ricompensa e per ridurre i costi associati all'energia.
Per estrarre un singolo bitcoin il costo varia molto in base al costo dell’elettricità sfruttata, dall’utilizzo e dalla potenza delle schede video utilizzate, dal livello professionale dei minatori e dalla Nazione in cui ci troviamo durante il processo d’estrazione, per esempio, per estrarre un bitcoin in 10 minuti equivale a 20 gigawatt, dunque il costo d’estrazione varia da paese a paese, per esempio in Italia costerebbe 10.000,00 € di elettricità al mese, mentre in uno dei paesi più economici da sfruttare, il Venezuela, costerebbe 530,00 € al mese, mentre tra i più alti troviamo la Corea del Sud che costerebbe 26.000,00 € al mese.
Ci sono comunque paesi geograficamente strategici per questa attività come l’Islanda, qui nella città di Blönduós, troviamo uno dei data center più grandi e potenti del mondo composto da ben 30.000 computer. Questo data center è connesso alla vicina centrale idroelettrica che è il principale centro di sviluppo dell’industria del nord dell’Islanda.
A prima vista, l'Islanda sembra un ambiente ideale per l'industria delle criptovalute in rapida crescita. Il paese utilizza il 100% di energia rinnovabile a cui è relativamente economico accedere. Il suo clima funge da refrigerante naturale per macchine in continuo funzionamento che si riscaldano rapidamente. E fino ad oggi, l'ambiente politico ha accolto per lo più questo settore.
L’incongruenza sta nel consumo, il 90% del dispendio energetico viene causato da queste “miniere” dunque questa energia non basta per saziare il fabbisogno energetico del riscaldamento delle città Islandesi e stiamo parlando di una Nazione composta da 300.000 abitanti. Allo stesso tempo, nella Repubblica Popolare Cinese la corsa ai Bitcoin potrebbe avere effetti devastanti sulla tutela dell’ambiente a livello mondiale, a causa delle sempre più intense attività di mining quanto emerge da un nuovo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications e condotto dalla University of the Chinese Academy of Sciences, dalla Tsinghua University, dalla Cornell University e dalla University of Surrey. Dalla ricerca emerge come il 75% di tutti i bitcoin generati a livello mondiale avvenga in Cina, con un grosso impatto sul consumo di energia elettrica e il conseguente aumento di emissioni di anidride carbonica, tanto che ora il mining potrebbe addirittura impedire alla nazione di raggiungere i suoi obiettivi di riduzione dei gas serra. Le tariffe ridotte hanno spinto molti a inaugurare delle strutture di mining mastodontiche, tali da produrre enormi quantità di CO2 quotidianamente.
Il tutto considerando come in molte aree della Repubblica Popolare la produzione di energia si avvalga ancora di fonti fossili. In tutto il mondo, il mining oggi richiede 128.84 Twh di energia. Secondo gli autori dello studio, entro il 2024 la Cina potrebbe raggiungere da sola una richiesta di 296.59 Twh, con l’immissione in atmosfera di 130.5 milioni di metri cubici di anidride carbonica in più. Entro il 2030, il consumo energetico del mining cinese potrebbe superare quello di interi Paesi come l’Italia o l’Arabia Saudita.
Stando agli esperti, una produzione così elevata di anidride carbonica potrebbe mettere a rischio gli obiettivi che la Cina ha scelto per il 2030 per rallentare i cambiamenti climatici. E nel 2060 non potrà raggiungere il target della carbon neutrality. Per questa ragione – considerando come il mining cinese abbia poi effetti ambientali in tutto il globo – gli autori richiedono che vengano adottate delle specifiche misure per arginare il fenomeno, pena un repentino inasprimento dell’inquinamento.