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Criminali si nasce o si diventa?

Interventi terapeutici e fattori protettivi per prevenire o ridurre il crimine

Esistono fattori protettivi?
Che cosa sono i fattori protettivi?
I fattori protettivi sono variabili che vanno ad interagire con i fattori di rischio, diminuendone o annullandone gli effetti, e possono ricoprire diversi ambiti, come risorse individuali e skills cognitive, risorse familiari e genitori affettivi, sistema sociale di sostegno, specialmente un sistema scolastico ben organizzato (Gulotta, 2020).
Come abbiamo visto, i problemi emotivi e comportamentali hanno un’alta prevalenza nell’adolescenza, e se non trattati, possono avere conseguenze negative a lungo termine per gli adolescenti, portando a scarsi risultati scolastici, scarse relazioni interpersonali, fino alla violenza (Paclikova et al., 2020); il ruolo dei genitori quindi risulta fondamentale nella ricerca di cure per il loro adolescente con problemi comportamentali, ma purtroppo l’assistenza a questi ragazzi è distribuita in modo diseguale, con alcuni adolescenti che non ricevono alcuna assistenza (Merikangas et al., 2011).
Esistono diversi programmi di prevenzione della violenza nell’infanzia e nell’adolescenza, che hanno lo scopo di prevenire o ridurre il comportamento aggressivo, sia a breve che a lungo termine (Pawils & Metzner, 2016).
I programmi di prevenzione più efficaci per ridurre e prevenire i comportamenti problematici in adolescenza, sono tipicamente programmi universali basati sulla scuola, infatti gli effetti positivi di questi programmi emergono spesso in follow-up a lungo termine (Hale et al., 2014).

Educazione come fattore protettivo e programmi scolastici
Uno dei fattori di rischio più importanti è il maltrattamento infantile, e a proposito di questo, un programma universale di prevenzione della violenza basato sulla scuola potrebbe fornire un impatto protettivo per i giovani a rischio di delinquenza violenta a causa di storie di maltrattamento infantile (Crooks et al., 2011). Gli stessi autori hanno esaminato diverse scuole, riscontrando come in scuole senza alcun programma preventivo, i giovani che subivano maltrattamenti, erano più propensi a proseguire con comportamenti antisociali, rispetto ai giovani maltrattati ma appartenenti a scuole in cui erano presenti questi programmi.
La violenza nei giovani è una priorità per la salute pubblica, infatti è stato riscontrato in Gran Bretagna come all’età di 15-16 anni, il 24% degli studenti ha riferito di possedere un’arma, e il 19% di aver attaccato qualcuno con l’intenzione di ferirlo gravemente (Beinart et al., 2002); mentre negli Stati Uniti l’omicidio risulta essere la terza causa di morte per i giovani dai 10 ai 24 anni, coinvolti nella violenza (Masho et al., 2019); essa infatti, ha gravi conseguenze non solo per i diretti interessati, ma anche per le comunità in cui vivono (Morrel-Samuels et al., 2016).
I programmi di prevenzione scolastici quindi, possono essere incorporati nelle diverse discipline scolastiche, al fine di ridurre i livelli di violenza dei giovani nella comunità; questi programmi possono influenzare positivamente le competenze degli studenti, i loro atteggiamenti ed inoltre, possono favorire lo sviluppo di abilità sociali ed emotive come l’autoconsapevolezza, l’autoregolazione, la motivazione, l’empatia e la comunicazione, tutte qualità che riducono notevolmente il protrarsi di comportamenti antisociali (Melendez-Torres et al., 2018; Hahn et al., 2017). Ci sono due programmi scolastici in particolare che hanno avuto riscontri molto positivi, l’Olweus Bully Prevention Program (OBPP), e il Positive Action, programma azione positiva (Farrell et al., 2018; Duncan et al., 2019).
Il programma di azione positiva è incentrato dalla scuola materna fino alla fine delle scuole superiori, e durante questo programma, il giovane apprende che i pensieri, le azioni e i sentimenti possono rafforzarsi positivamente, infatti, avere pensieri positivi può portare a fare cose buone, che poi portano a sentirsi bene con se stessi (Flay & Allred, 2010). Questo programma prevede 6 unità su cui lavorare, ossia:

1. Concetto di se;
2. Azioni positive per il corpo e la mente;
3. Gestire se stessi in modo responsabile;
4. Trattare gli altri nel modo in cui si vuole essere trattati;
5. Dirsi la verità;
6. Migliorarsi continuamente (Duncan et al., 2019).

È stato dimostrato come questo programma produca aumenti nello sviluppo del carattere sociale ed emotivo (Lewis et al., 2013), migliori l’autostima (Silverthorn et al., 2017), riduca notevolmente problemi di cattiva condotta tra gli 8 e i 14 anni (Duncan et al., 2017), e diminuisca l’utilizzo di sostanze e violenza (Beets et al., 2009). Tuttavia però, non è ancora chiaro come e quando gli effetti del programma Positive Action emergano sui comportamenti problematici (Duncan et al., 2019).
L’Olweus Bullying Prevention Program (OBPP) invece, è un programma di prevenzione a base scolastica che viene utilizzato per affrontare i fattori di rischio che portano a comportamenti di bullismo, e promuove le competenze sociali dei giovani, favorendo relazioni positive tra i pari (Masho et al., 2019). Questo programma, evidenzia la crescita degli individui all’interno delle reti sociali (Lerner & Castellino, 2002), coinvolgendo anche i genitori e una componente comunitaria, in cui si affrontano temi come la gestione delle emozioni e il rispetto per gli altri (Limber, 2011).
Viene sviluppato un apposito comitato di coordinamento riguardante la prevenzione del bullismo, che comprende gli insegnanti, i quali hanno il compito di applicare delle regole anti-bullismo a scuola, conducendo regolarmente incontri con gli studenti e i genitori, in cui si affrontano i temi del bullismo e la prevenzione (Masho et al., 2019).
L’OBPP ha il potenziale per ridurre gli episodi di violenza giovanile, infatti uno studio effettuato negli Stati Uniti su 1791 studenti delle scuole medie di origine afroamericana, con alti tassi di povertà e criminalità, ha valutato gli effetti di questo programma a lungo termine, raccogliendo le valutazioni degli insegnanti ogni 3 mesi per 5 anni, ed è emerso come le riduzioni dell’aggressione fisica non siano state immediate, ma sono apparse dopo circa tre anni, in modo graduale (Farrell et al., 2018).
Questo programma inoltre, incoraggia i giovani a segnalare comportamenti quali il bullismo o qualsiasi forma di aggressione, in modo tale da poter poi intervenire, e non si limita soltanto all’ambito scolastico, ma attraverso il coinvolgimento dei genitori, si possono estendere i suoi effetti anche nella comunità (Masho et al., 2019).
Un altro programma con riscontri molto positivi, per prevenire futuri comportamenti antisociali, è il cosiddetto Social skills training, ovvero l’addestramento delle abilità sociali, che sta diventando sempre più popolare come misura per la prevenzione del crimine nello sviluppo (Beelmann & Losel, 2006).
Le abilità sociali coinvolgono diversi aspetti delle cognizioni, del comportamento e delle emozioni, quindi questi programmi tendono a concentrarsi sulla risoluzione dei problemi, sul controllo delle emozioni e sulla comunicazione verbale e non verbale (Storebo et al., 2019). Ai giovani viene infatti insegnato a riconoscere le espressioni emotive degli altri, imparare ad aspettare il proprio turno, e anche a regolare il loro comportamento verbale e non verbale nelle interazioni sociali (Fohlmann, 2009), oltre all’insegnamento delle norme sociali e delle aspettative degli altri (Liberman, 1988). La formazione si concentra inoltre sulla regolazione delle emozioni, come la capacità del giovane di affrontare, gestire, esprimere e controllare le proprie emozioni; infatti l’autoregolazione emotiva è un aspetto molto importante, i bambini che hanno strategie efficaci per affrontare la delusione, la perdita e altri eventi traumatici, hanno maggiori possibilità di riprendersi dalle avversità, rispetto a quelli che non hanno tali strategie (Walcott & Landau, 2004).
Ma in che modo avviene tale addestramento?
L’addestramento delle abilità sociali spesso consiste in giochi di ruolo, esercizi e giochi, ma anche compiti a casa; viene spesso effettuato in gruppo ed è relativamente breve, in genere dura tra le 8 e le 12 settimane; la durata di ogni sessione varia da 50 a 90 minuti circa, e molto spesso questo programma coinvolge anche insegnanti e genitori dei giovani interessati (Storebo et al., 2019). Una volta terminate le sedute, per valutare gli effetti, si esaminano le abilità sociali di per se, oppure la qualità della relazione tra i pari e le competenze emotive sviluppate (Almerie et al., 2015). In uno studio comprendente 78 vittime di bullismo, sono stati esaminati gli effetti del training delle abilità sociali sui soggetti antisociali; durante il training, dalla durata di 8 sedute, sono stati affrontati temi come l’educazione, l’autocontrollo, fare amicizia, l’empatia e l’espressività emotiva; i risultati dimostrano come le abilità sociali siano importanti per prevenire o evitare atti di bullismo, e migliorare la qualità della vita a scuola (Da Silva et al., 2018).
Sono stati trovati anche dei lati negativi di questo programma, i suoi effetti, non sempre sembrano durare a lungo, ed inoltre, non tutti i bambini ne traggono i benefici sperati, soprattutto a causa della mancanza di impegno dei genitori durante il trattamento (Kadesjo, 2002).
Questi programmi possono addirittura avere un effetto negativo su bambini con problemi comportamentali, perché il comportamento aggressivo e irrequieto di questi giovani può limitare la loro capacità di apprendere abilità sociali, aumentando paradossalmente il comportamento antisociale (Mager et al., 2005).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Criminali si nasce o si diventa?

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Informazioni tesi

  Autore: Alex Mazzi
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2021-22
  Università: UniCusano - Università degli Studi Niccolò Cusano
  Facoltà: Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagogiche e degli Studi Culturali
  Corso: Psicologia
  Relatore: Riccardo Averardi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 79

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Parole chiave

crimine
devianza
prevenzione del crimine
fattori protettivi

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