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Geografia e Intercultura nella scuola primaria. Proposte didattiche per lo sviluppo di una coscienza planetaria.

Introduzione all'educazione interculturale

L'attuale momento storico vissuto dall'umanità è portatore di problematiche che mutano profondamente il rapporto tra gli stessi esseri umani. Il nostro tempo ci pone un problema inedito nella storia della civiltà occidentale, quello dell'incontro/scontro con la diversità. A prima vista, non ci sarebbe nulla di bizzarro. Ma l'odierno rapporto con l'Altro è inedito perché assume una nuova dimensione, differente da quella avutasi fino al Novecento. Fino alla fine del secondo conflitto mondiale si è infatti prestato poco interesse al tema della diversità, delle minoranze etniche, linguistiche o religiose. Questo perché la visione etnocentrica ha sempre avuto il potere di influenzare le discipline, sociali e non, sviluppando modelli fondati sul monoculturalismo e sul nazionalismo. La propria cultura, fin dalla visione greco-romana, è stata presa a modello universale, tendendo ad emarginare le altre, considerate inferiori ed arretrate, costruendo così una scala gerarchica di valori. E l'etnocentrismo, nonostante sia considerato un fenomeno normale e necessario in tutte le culture che vogliano tutelare la propria identità, ha raggiunto il suo grado estremo nelle società europee, distruggendo le altre società fino dal XVI secolo, trasformandosi in eurocentrismo.

“La civiltà occidentale ha stabilito soldati, banche, piantagioni e missionari nel mondo intero: essa è, direttamente o indirettamente, intervenuta nella vita dei popoli di colore; ha sconvolto da cima a fondo il loro modo tradizionale di esistenza”

Neanche la pedagogia, come altre scienze, ha saputo emanciparsi da tale visione etnocentrica, gestendo un rapporto tra culture con potere diseguale (colonizzatori e colonizzati; mondo occidentale e mondo orientale; etc.). troppo spesso si è schierata dalla parte del potere più forte, verso il mantenimento dello status quo ed opponendosi alle forme culturali minoritarie, considerate inferiori. Il problema della discriminazione delle diversità è dunque una questione che interessa non solo la scuola e la pedagogia, ma più in generale l'intera storia della cultura occidentale (e non solo) fino a poche decine di anni fa. Una visione acutizzata dal darwinismo antropologico, con le ideologie dell'eredità biogenetica dell'intelligenza. In tale contesto, la diversità era un'anomalia da “depurare” della rozzezza per una successiva integrazione nella socialità.
Questi modelli educativi oggi sono superati, non funzionano più, perché offrono risposte vecchie e inadeguate a questioni ben più complesse. I giovani di oggi vivono in una condizione oggettiva di mondialità, la respirano ovunque, viaggiano con pochi euro, lavorano con persone di altre nazionalità, vedono film stranieri. La scuola, così come tutti le agenzie educative, deve adattare i propri modelli alla nuova situazione socio- culturale.
Il cambiamento più evidente è stato il fenomeno dell'immigrazione. Sarebbe un errore pensare che alcuni Paesi, che hanno ospitato flussi migratori molto consistenti decine di anni fa, non abbiano sofferto le stesse tensioni dovute alla crisi del modello monoculturale. Anche dopo gli anni Cinquanta del Novecento, specialmente in Francia, Germania e Gran Bretagna, i lavoratori stranieri erano considerati degli ospiti, Gastarbeiter, sottolineando la loro estraneità al modello nazionale. In una primissima fase, si fece strada l'idea che il liberismo economico fosse in qualche modo applicabile anche alle dinamiche migratorie. Nei paesi di primissima immigrazione (USA, Canada, Gran Bretagna) si sviluppò il culto del melting pot, nella convinzione che il naturale mescolamento di etnie e culture diverse portasse ad un benessere diffuso e civile. Frequentare gli stessi luoghi, lavorare insieme non bastò, ed il fallimento rese evidente che dietro l'apparente melting pot le differenze etniche divennero diseguaglianze sociali e processi di marginalizzazione.
Il flusso migratorio proseguì nel dopoguerra, arricchendo la sua gamma di destinazioni e dirigendosi anche verso i Paesi più ricchi dell'Europa occidentale. I primi effetti nel mondo della scuola si palesano negli anni Settanta, con la consistente presenza di bambini stranieri. Si faticò tuttavia a proporre progetti pedagogici adeguati al tema della diversità, insistendo sul metodo adottato per i genitori. L'integrazione era vista fino ad allora essenzialmente come una somma di interventi compensativi, trascurando una riflessione sulle differenze culturali e concentrandosi verso una logica assimilazionista. I bambini stranieri dovevano imparare la lingua del paese di accoglienza in modo intensivo, recuperando il deficit di conoscenze dovuto alle carenze linguistiche ed alla provenienza da sistemi scolastici più “arretrati”. Questa metodologia non disdegna di creare delle classi separate per produrre una “scolarizzazione calibrata sulle competenze di partenza”, oppure costituisce dei gruppi omogenei dal punto di vista etnico.
Uno dei grandi limiti emerso poi dall'approccio compensativo è stato il tentativo di considerare il bambino “diverso” come uno degli altri, sotto un criterio meritocratico che in realtà non poteva essere equo viste le differenze iniziali. Parole che ritroviamo nell'esperienza della scuola di Barbiana di Don Lorenzo Milani, quando l'insegnante di inglese si fa vanto del suo essere super partes, non informandosi sulle origini sociali per non essere influenzata.

“Non capiva, poveretta, che era proprio di questo che era accusata. Perché non c'è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra diseguali”.

Con il passaggio dall'etnocentrismo culturale al relativismo culturale, la società occidentale prende coscienza della propria dimensione di multiculturalità, dalla quale negli anni Novanta ci si è mossi verso il termine interculturale. L'approccio multiculturale tende generalmente a creare una separazione fra i diversi gruppi che si rinchiudono in loro stessi, considerando i propri valori immutabili. La cultura del gruppo di immigrati resta impermeabile anche ai mutamenti del paese di origine, ai quali si resta estranei, così come ai cambiamenti che avvengono nel paese di accoglienza. L'evidenza di questi processi è manifesta nelle comunità italiane negli Stati Uniti o in Germania, come evidenziato da alcune ricerche, ed ha portato, complici anche gli stessi gruppi di immigrati che hanno sposato l'approccio multiculturale, alla formazione di veri e propri quartieri-ghetto (le varie Chinatown, Little Italy, i ghetti neri etc., ma si pensi anche ai quartieri londinesi separati per nazionalità).
Primi segnali di uno spostamento della prospettiva si sono avuti in Gran Bretagna con la nascita dell'educazione antirazzista, che come dice il termine si poneva il fine principale di combattere il razzismo, basato sui pregiudizi che sfociano nelle discriminazioni. Si tratta di un'azione rivolta maggiormente agli autoctoni, e che mira ad eliminare i pregiudizi da loro inconsapevolmente maturati, specialmente nell'agire delle istituzioni e nelle loro burocrazie. La concezione antirazzista ribalta la premessa di fondo del rapporto con la diversità: non sono più gli immigrati che per loro “ritardi culturali” ad essere responsabili di condizioni discriminatorie nei loro confronti, bensì il razzismo degli autoctoni.
Il continuo approfondimento di queste tematiche ha portato infine alla formazione dell'approccio interculturale. In questa ottica si auspica una situazione di interazione tra le culture, che superi la coesistenza de facto senza relazioni che disegna invece il termine multicultura, caratterizzato dal melting pot. L'accento è dunque posto sul processo di confronto, di scambio, di cambiamento reciproco.
Anche la pedagogia italiana, in tempi molto recenti, si è confrontata infine con le tematiche della diversità culturale, arrivando ad una riflessione interculturale basata su due grandi temi, l’accoglienza e la convivenza, sostenendo un modello pedagogico orientato allo sviluppo della reciprocità. La prospettiva interculturale va oltre la semplice tolleranza, vuole costruire qualcosa di più. La scuola non annulla né ignora i differenti background degli alunni, le loro esperienze pregresse, ma conduce gli alunni alla consapevolezza della diversità e delle opportunità del contatto. Per fare ciò, è necessaria una conoscenza di sé, delle proprie radici. È questo un prerequisito fondamentale per l'apertura verso l'Altro, la capacità di mettersi in gioco e di confrontarsi, anche e soprattutto in maniera autocritica, misurando la duttilità di ciascuno di adattarsi alla nuova dimensione globale.
“Con il prefisso inter’ si vuole porre l'attenzione alla nascita di un processo in cui avvengono importanti trasformazioni e meticciamenti tra le differenti appartenenze e dove vengono definiti nuovi modi di stare insieme, di condividere l'educazione dei bambini e di rendere aperta l'organizzazione scolastica e la progettualità didattica”. Per dirla con le parole ufficiali del Ministero, “L'educazione interculturale promuove il dialogo e la convivenza costruttiva tra soggetti appartenenti a culture diverse, e costituisce la risposta educativa alle esigenze delle società multiculturali.”
Essa costituisce una sfida politica nel trovare oggi, e non domani, un giusto rapporto tra la coesione sociale e le diversità culturali, per svariati motivi: non solo perché, come è evidente, le diversità si fanno sempre più vicine e non scompariranno mai, ma perché l'incontro è implicito nell'idea di democrazia. L'intercultura ci appare quindi come un progetto, un'idea, una prospettiva possibile “quando riesce a realizzare un intreccio fra democrazia e nonviolenza, fra il livello individuale e quello sociale, fra ciò che avviene qui davanti a noi e quanto accade nel mondo ed è interconnesso con la nostra realtà”. Essa rappresenta il volto più moderno e compiuto di quella che Piaget definiva l'esperienza della reciprocità con gli altri.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Geografia e Intercultura nella scuola primaria. Proposte didattiche per lo sviluppo di una coscienza planetaria.

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Informazioni tesi

  Autore: Dario Ingiusto
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Geografia
  Relatore: Paola Bonora
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 165

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