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Il miraggio dell' "opera d'arte totale". Arte ed Architettura dall'Ottocento ad oggi

Introduzione alle megastrutture

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta si sviluppò, su scala internazionale, la poetica megastrutturalista. In realtà, non si trattava di un'unica corrente organicamente strutturata, ma di un movimento in cui confluirono diverse istanze.

Ricondurre il termine “megastruttura” ad un'unica definizione non è semplice, tanto meno deve esserlo stato al momento della nascita del fenomeno, senza un piano di sistematizzazione e ricostruzione dei relativi molteplici e caotici sviluppi, attorno ad un proprio nucleo ideologico.

Certamente, l’ampiezza di dimensione è un requisito fondamentale, ma non tutti i grandi edifici delle varie epoche possono rientrare sotto questa specifica tassonomia, in quanto si tratta di una particolare specie non definibile con precisione.

Reyner Banham, critico inglese sostenitore delle idee megastrutturali, riuscì a sintetizzare, per primo, tali ricerche, individuandone i centri propulsori in vari campi, tra i quali: l’architettura giapponese del gruppo Metabolism, la scuola francese dell’Urbanisme spatial e dell’Architecture mobile di Yona Friedman, la vicenda italiana con la discussione della città-territorio e i rispettivi indirizzi dell’Architettura radicale fiorentina, e gli sviluppi canadesi, americani ed inglesi, in particolare con il gruppo Archigram.

Banham, individuò anche un “mega-anno”, il 1964, attorno al quale iniziò a concentrarsi il primo concreto corpo di idee e in cui la maggior parte delle megastrutture realmente costruite venne progettata; il termine che focalizzò questa concezione, non esistette fino ad allora, ed entrò nell’uso corrente soltanto alla fine del 1966.

L’espressione “megastruttura” venne impiegata per la prima volta in una pubblicazione dell’architetto metabolista Fumihiko Maki, nel suo libro Investigations in Collective Form (“Ricerche sulla forma collettiva”) del 1964, ma non fu l’unico teorizzatore che ne delineò, secondo il proprio pensiero, gli aspetti caratteristici. Cominciando dalle riflessioni di Maki, questi, nel suo testo, definirà la “mega-struttura” come una vasta intelaiatura dove sono ospitate tutte le funzioni della città o di parte di essa. L’ha resa possibile la tecnologia contemporanea. In un certo senso si tratta di un elemento artificiale del paesaggio. È come la grande collina sulla quale venivano edificate le città italiane […].

Più avanti, in riferimento alle indicazioni del suo antico maestro Kenzo Tange, riconoscendogli il ruolo svolto di approfondimento della megaforma e di suo rispettivo progenitore, egli affermerà: il professor Tange presenta una proposta di forma a scala di umanità di massa, che comprende una megaforma e unità funzionali discrete, atte a mutare rapidamente, che si inseriscono nell’intelaiatura più ampia.

Il primo concetto espresso da Maki suggeriva, appunto, l’idea di una vasta forma ad “intelaiatura” flessibile, in cui prendessero posto diverse unità funzionali e sembrava riagganciarsi alla necessità di una “umanità di massa” e di una realtà urbana in continua trasformazione teorizzata da Tange.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il miraggio dell' "opera d'arte totale". Arte ed Architettura dall'Ottocento ad oggi

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Informazioni tesi

  Autore: Sara Boccali
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Accademia di Belle Arti di Ravenna
  Facoltà: Arti Visive e Discipline dello Spettacolo
  Corso: Arti Visive e Discipline dello Spettacolo
  Relatore: Alberto Giorgio Cassani
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 142

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Parole chiave

nietzsche
wagner
opera d'arte totale
happening
arte e architettura
avanguardie del novecento
architetture megastrutturali

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