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Il movimento agroecologico “Campesino a Campesino" a Cuba - Un processo sociale per la sovranità alimentare e la sostenibilità

L’agricoltura cubana e la sua trasformazione

Per comprendere meglio come il Movimento agroecologico Campesino a Campesino abbia trasformato l’agricoltura cubana è necessario ripercorrere brevemente le principali fasi della storia del settore agricolo a partire dalla Riforma Agraria del 1959 fino alla fine degli anni Novanta.

Fin dal periodo di dominazione spagnola dell’isola, l’agricoltura cubana si era basata su grandi proprietà terriere destinate all’allevamento di bestiame e alla coltura di piantagioni di canna da zucchero, tabacco e caffè. Questo modello agricolo, basato sulla monocoltura, era posto sotto il controllo delle oligarchie nazionali e del capitale straniero, che si assicuravano ingenti guadagni tramite l’esportazione dei prodotti delle piantagioni. I piccoli agricoltori, invece, lavoravano quasi sempre in condizioni di sfruttamento e, non godendo del diritto di proprietà sulla terra lavorata, subivano violente occupazioni delle terre da parte dei latifondisti e delle compagnie statunitensi.

La situazione critica vissuta dai contadini cubani e la volontà di migliorare le loro condizioni di vita assicurarono l’appoggio contadino ai rivoluzionari, che nei primi giorni del gennaio del 1959 trionfarono a L’Avana. Quattro mesi dopo, venne emanata la Legge di Riforma Agraria, che liquidò il latifondo e concesse la proprietà della terra a più di 100 mila contadini. Questa riforma segnò un punto di rottura col passato, concedendo per la prima volta il diritto di proprietà ai piccoli agricoltori. Nel 1963 venne firmata la seconda Legge di Riforma Agraria, che eliminò definitivamente il latifondismo e lo sfruttamento straniero delle terre, nazionalizzò 1.2 milioni di ettari, rafforzò il settore agro-zootecnico statale e definì come pilastri dello sviluppo agricolo nazionale il settore statale e quello contadino (Machín Sosa et al., 2010).

Nel periodo che va dal 1959 al 1965, si ebbero i primi risultati positivi. Il 40% delle terre nazionalizzate vennero lavorate da circa 400 mila agricoltori, che beneficiarono di un lavoro permanente e remunerato in modo appropriato. Inoltre, il governo investì più di 286 milioni di pesos nel settore agricolo, incentivò diversi programmi di sviluppo, promosse sistemi produttivi diversificati e il risultato fu un significativo aumento della produzione agricola e un maggiore coinvolgimento dei contadini (Machín Sosa et al., 2010).

Questo periodo segnò la rottura con il modello coloniale capitalista e pose le basi per la trasformazione dell’agricoltura cubana. Da una parte, negli antichi latifondi, nacquero grandi imprese statali, con un alto livello di specializzazione e diverso grado di estensione, a seconda dell’attività e della zona geografica. Altresì, come risultato della Riforma Agraria, i piccoli produttori ottennero la proprietà sulla terra e la possibilità di creare cooperative, che esistono tutt’oggi, come nuova forma di organizzazione produttiva.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il movimento agroecologico “Campesino a Campesino" a Cuba - Un processo sociale per la sovranità alimentare e la sostenibilità

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Informazioni tesi

  Autore: Chiara Bruzzese
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2014-15
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Filippo Barbera
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 41

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