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La governance economica europea e il ruolo delle organizzazioni finanziarie internazionali

L’azione esterna dell’Unione Europea in materia economica e monetaria

L’Unione Europea gode della personalità giuridica internazionale e intrattiene quindi relazioni con gli altri soggetti della comunità internazionale.
La maggior parte delle organizzazioni internazionali istituzionalizzate e fra queste l’Unione europea, hanno ormai riconosciuta una loro autonoma personalità giuridica, anche se il processo di riconoscimento ha attraversato un periodo iniziale di difficoltà quando l’allora Unione sovietica ed i Paesi dell'Europa dell'est rifiutavano di riconoscere la Comunità Economica Europea come soggetto autonomo di diritto internazionale.
La situazione si è poi finalmente evoluta nel 1988 quando si è proceduto al reciproco riconoscimento della CEE da parte dei Paesi dell'est e del COMECON da parte della CEE (GUCE 24 giugno 1988, n. 157/L).
Fino ad oggi le relazioni esterne si sono sviluppate sempre ad iniziativa dell’Unione, la cui creazione, dopo la Comunità, ha posto il problema di una diversa soggettività, rimasto per alcuni anni a livello essenzialmente teorico e che ha assunto di recente concreta rilevanza con l'intensificarsi delle azioni condotte nel campo delle relazioni esterne.

Esse si esplicavano in passato essenzialmente attraverso due modalità: tramite la conclusione di accordi internazionali e l’esercizio del diritto di legazione attiva e passiva.

Il Trattato istitutivo dell'Unione Europea, pur avendo attribuito a quest'ultima specifiche competenze nell'ambito del secondo e terzo pilastro, non conteneva alcuna disposizione in merito alla conclusione di accordi internazionali, mentre la revisione realizzata ad Amsterdam introdusse il nuovo art. 24, nel quale si prevedeva che, nell'ambito del settore della politica estera e di sicurezza comune potesse essere necessario o opportuno concludere accordi con uno o
più Stati ovvero con un'organizzazione internazionale.

Il Trattato di Nizza è intervenuto sulla procedura di conclusione di tali accordi con una profonda modifica dell'art. 24, per cui i nuovi parr. 2 e 3 della norma distinguevano gli accordi per i quali occorreva una delibera all'unanimità
del Consiglio, da quelli per i quali era sufficiente la maggioranza qualificata.
La significativa evoluzione realizzata a Nizza, non incideva solo sull'aspetto tecnico della diversa maggioranza richiesta, ma lasciava trasparire la volontà di attribuire all'Unione una propria autonomia rispetto agli Stati membri ed affrancarla, quindi, da quel vincolo di cooperazione fra Stati che caratterizzava all' origine il secondo e terzo pilastro.
La capacità di concludere accordi, cosi attribuita all'Unione, ha riproposto il problema della personalità giuridica internazionale dell’'Unione, di cui si è occupata la dottrina, pervenendo in principio generalmente a conclusioni negative.

Dopo le modifiche introdotte dal Trattato di Amsterdam, tuttavia e la conclusione di taluni accordi, gli elementi di valutazione sono mutati, ma la dottrina prevalente ha continuato a ritenere che nella conclusione degli accordi internazionali l'Unione intervenisse come “unione di Stati” e non come soggetto autonomo; gli effetti giuridici si producevano quindi, secondo questa impostazione, per i singoli Stati membri.
L'evoluzione giurisprudenziale muove dalla già citata sentenza AETR del marzo 1971, (causa 22/70) e si sviluppa quindi nella sentenza 14 luglio 1976, (cause riunite 3, 4 e 6/76) e ancora nel parere 26 aprile 1977, n.1/76.
Nella sentenza AETR, nella quale si trattava di conoscere chi tra la Comunità e gli Stati membri fosse competente a concludere l'accordo europeo relativo al lavoro degli equipaggi dei veicoli utilizzati nei trasporti internazionali su strada, negoziato nell'ambito della Commissione Economica dell'ONU, la Corte respinse, una volta per tutte, il principio secondo il quale la Comunità non avrebbe avuto se non le limitate competenze espressamente riconosciute dal Trattato.

Per la Corte, il vecchio testo dell'art. 281, secondo il quale alla Comunità veniva riconosciuta la personalità giuridica, era da intendersi nel senso che la stessa, nelle relazioni esterne potesse stabilire rapporti contrattuali con gli Stati terzi per realizzare tutti gli scopi enunciati nella prima parte del Trattato.
Inoltre, allo scopo di stabilire se, in un caso determinato, la Comunità avesse la competenza per assumere impegni internazionali, conveniva, ribadisce la Corte, prendere in considerazione il sistema del Trattato unitamente alle sue disposizioni materiali e concludere quindi che una tale competenza risultava non soltanto in una attribuzione esplicita del Trattato ma poteva anche derivare da altre disposizioni dello stesso e da altri atti adottati dalle Istituzioni stesse.

La sentenza AETR ha aperto altresì la strada ad una evoluzione con la quale si è precisato il parallelismo esistente fra le competenze interne e quelle esterne dell’Unione; la Corte aggiunse che, in effetti, ogni qualvolta per la realizzazione di una politica comune prevista nel Trattato, l’Unione avesse adottano delle disposizioni che prevedessero regole comuni, gli Stati membri non avrebbero avuto il potere, sia agendo individualmente sia agendo collettivamente, di concludere accordi capaci di incidere su tali regole.
Ogni qualvolta, dunque, vengano stabilite regole comuni fra gli Stati membri, soltanto l’Unione nelle stesse materie, può negoziare ed assumere eventuali obblighi internazionali che abbiano poi effetto nei confronti della totalità degli Stati membri.

Ci si è chiesti, successivamente, se il parallelismo tra competenze interne e competenze esterne dell’Unione dovesse portare a concludere che l’attribuzione di queste ultime fosse subordinata all'effettivo esercizio preventivo delle competenze interne nel medesimo settore.
Nel parere 1/76 la Corte ha tolto ogni esitazione al riguardo affermando che, ogni qual volta il diritto comunitario attribuisce alle Istituzioni le competenze sul piano interno per realizzare un determinato obiettivo, l’allora Comunità veniva di conseguenza investita della stessa competenza per realizzare gli impegni internazionali, necessari al perseguimento dell'obiettivo, anche in assenza di una esplicita disposizione al riguardo.

Sempre in tema di parallelismo fra competenze interne ed esterne, la Corte ha inoltre precisato che nel rispetto di tale principio andavano altresì individuati i settori di competenza esclusiva della Comunità rispetto a quelli di competenza concorrente (parere 1/94 del 15 novembre 1994).
Realizzando in tal modo una perfetta sincronia tra le competenze implicite a livello interno e quelle altrettanto implicite a livello internazionale, la Comunità aveva ormai acquisito la possibilità di scegliere se esercitare la propria competenza esterna ricorrendo, ad esempio, ad un'azione interna autonoma, seguita poi da un'azione esterna, ovvero direttamente mediante un'azione esterna, quale appunto la conclusione di un accordo internazionale.
Coerentemente con l'accennata giurisprudenza, la Corte aveva poi negato che sussistesse la possibilità di concludere accordi internazionali nelle materie nelle quali non esistesse una competenza interna.

Nella richiamata sentenza AETR la Corte ha confermato che l'ex art. 308, ovvero quello che prevedeva i cosiddetti poteri impliciti, attribuiva al Consiglio il potere di adottare disposizioni appropriate anche nel campo delle relazioni esterne.
Tale norma, com'è noto, avendo carattere sussidiario, non poteva essere invocata ove esistesse una specifica competenza interna, permettendo invece di agire ogni qual volta venisse a mancare questa esplicita competenza.
L'esercizio delle competenze esterne non può farci ignorare il fatto che, ormai, gran parte delle relazioni internazionali si svolgono sempre più attraverso organizzazioni internazionali appositamente istituite.
Molte sono, infatti, le convenzioni che non si limitano a disciplinare una determinata materia, ma istituiscono organismi incaricati della gestione di quanto internazionalmente concordato.
La progressiva estensione di competenze attribuite all’Unione induce quest'ultima ad essere sempre più frequentemente coinvolta nelle attività di organizzazioni internazionali istituzionali e non.

È naturale quindi che il problema dell’ammissione dell’allora Comunità, come anche di altre organizzazioni economiche a carattere regionale, si sia posto nei confronti di organizzazioni generali o settoriali con competenze analoghe.
Ciò è di piena evidenza quando, ad esempio, nel sistema di integrazione regionale, gli Stati hanno trasferito le proprie competenze all'organizzazione istituita, ponendosi, in tale situazione la partecipazione della Comunità come necessaria, attesa la carenza di competenze da parte degli Stati membri.
In tali circostanze un primo problema che si poneva era se la partecipazione della Comunità dovesse essere alternativa a quella degli Stati membri, come sembra essere stato giustificato dal trasferimento di competenze realizzato, ovvero dovesse essere aggiuntiva a questi ultimi.

La Corte di giustizia, nella citata sentenza del 14 luglio 1976, aveva ammesso chiaramente il principio in base al quale la Comunità Economica Europea sostituiva gli Stati membri nell'ambito della Commissione delle pescherie, organo di gestione della Convenzione sulla pesca nell'Atlantico del Nord est del 24 gennaio 1959.
Nel successivo parere n. 1/76 la Corte confermò che la Comunità avesse competenza per concorrere con altri Stati terzi a creare una struttura appropriata, non soltanto nel caso particolare di un impresa pubblica internazionale, ma anche nell'ambito di un’organizzazione internazionale; pertanto in tale contesto, vi era la possibilità di attribuire a tale struttura adeguati poteri decisionali.
La Comunità si è cosi vista attribuire la capacità ad acquisire lo status di membro a pieno titolo, ovvero di osservatore, sia partecipando al negoziato ed alla conclusione di accordi che creano una organizzazione internazionale, sia attraverso un’adesione alla medesima.
Nonostante il potere cosi riconosciuto dalla Corte, l'attribuzione dello status di membro alla Comunità incontra spesso difficoltà giuridiche da parte delle singole organizzazioni nelle quali, ad esempio, si prevede che soltanto gli Stati possano divenirne membri.
Si sono cosi realizzate, nella prassi, soluzioni diverse da una organizzazione all'altra ma tutte intese a dare comunque all’allora Comunità la possibilità di intervenire e di partecipare attivamente ai lavori dell'organizzazione considerata.

Nella prassi attuale si possono individuare alcuni casi di pseudo-organizzazioni nelle quali la partecipazione della Comunità escludeva quella degli Stati membri.
Quando l’Unione partecipa ad un organismo internazionale in alternativa agli Stati membri, essa esercita tutti i diritti relativi ed in particolare il diritto di voto ed il diritto di partecipare alle attività degli organi ed alle attività dell'ente.
Quando il voto è attribuito sulla base di un voto paritario, l’Unione, in quanto membro, partecipa con un voto; qualora invece l’attribuzione dei voti sia legata ad altri fattori, quali, ad esempio, il numero degli Stati membri che l'organizzazione membro rappresenta, ciò si ripercuote anche sulle procedure di voto.
In altre circostanze ed in deroga a quanto precede, il voto attribuito all’Unione ha carattere complementare rispetto a quello dei suoi membri. Ciò si può verificare, per esempio, negli organismi nei quali la presenza dell’Unione non è alternativa a quella degli Stati ma a questa si aggiunge.

In tal caso, quando l’Unione esercita il diritto di voto nella Commissione, al posto degli Stati membri, dispone di un solo voto. Nella tradizione delle organizzazioni internazionali, oltre alla qualità di membro a pieno titolo si prevede anche quella di osservatore.
Non esistendo uno statuto uniforme di osservatore e potendosi anche distinguere fra l'esistenza di tale condizione presso l'organizzazione ovvero anche presso un singolo organo della medesima, i diritti dell’osservatore variano da una organizzazione all'altra; elemento comune è solo l'assenza del diritto di voto.

L’Unione partecipa ormai da anni alle attività di molte organizzazioni internazionali.
Nell'ambito della cosiddetta famiglia delle Nazioni Unite, l’Unione è osservatore all'Assemblea generale ed alle principali commissioni della stessa, nonché al Consiglio Economico e Sociale, ed alle commissioni economiche regionali, come la Commissione Economica per l'Europa (ECE).
Inoltre è presente altresì nell'Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR), nel Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP), nel Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) e nella Commissione per la droga (UNDICP), mentre, per quanto attiene le istituzioni specializzate l’Unione ha ottenuto tale status nell’ambito del Fondo Monetarlo Internazionale (FMI) e della Banca mondiale, nonché dell’ Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), dell'UN'ESCO, dell'Organizzazione Internazionale per l’Aviazione Civile (ICAO), dell'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (ITU), della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dell'Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale (UNIDO), della Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (OMPI), del Fondo Internazionale di Sviluppo Agricolo (IFAD).
Invece la partecipazione dell’Unione quale membro a pieno titolo di una organizzazione internazionale si riscontra fin d’oggi in tre casi: quello della Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), quello della FAO e quello della OMC.
Fa parte anche dell’Autorità internazionale dei fondi marini, della Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato e di varie organizzazioni

L’Unione Europea, unitamente alla Banca Europea per gli investimenti (BEI), è membro originario della BERS ed insieme detengono il 51% del capitale.
L’Unione inoltre, avendo partecipato ai negoziati per l’Accordo istitutivo dell’Organizzazione mondiale del Commercio, gode di una posizione favorevole, essendo considerata membro fondatore ed avendo acquisito, di conseguenza, tutti i diritti e i doveri connessi allo status di membro.
Per quanto attiene al diritto di voto l’Unione dispone dei voti degli Stati membri che sono anche membri dell’Organizzazione mondiale del Commercio.
Il rapporto, che così si instaura rientra nell’attività esterna dell’ente ed è disciplinato non già dall’atto istitutivo dello stesso ma da un nuovo strumento giuridico.

L’organizzazione non assume quindi lo status giuridico di membro in quanto non assume le stesse situazioni giuridiche degli altri membri, quali sono dettate dall’atto istitutivo dello stesso, ma diviene titolare di limitati poteri, doveri e facoltà che gli derivano dall’accordo di cooperazione.
Venendo ora alla disciplina dettata dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea in tema di relazioni esterne, l’Unione può concludere accordi con paesi terzi o organizzazioni internazionali, qualora i Trattati lo prevedano o qualora la conclusione di un accordo sia necessaria per realizzare uno degli obiettivi fissati dai Trattati.
Ovviamente gli accordi in questione vincolano anche gli Stati membri.

L'opera di rafforzamento del ruolo internazionale dell'Unione che si è tentato realizzare con il Tr. Lisbona ha seguito diverse strade: una di carattere istituzionale, con la creazione della nuova figura dell'Alto rappresentante, con il rafforzato ruolo di indirizzo politico e strategico attribuito al Consiglio europeo e di carattere normativo e sistematico.
Sotto questo ultimo profilo rileva la scelta di dare unità sistematica alla disciplina dell'azione esterna, raccogliendola nella parte V del TFUE, pur con la significativa eccezione della PESC, la cui disciplina resta collocata nel TUE e la cui separazione di regime rispetto a tutti gli altri settori di azione dell'Unione risulta rafforzata dalla nuova formulazione dell'art. 40 del TUE rispetto all'art. 47 del TUE pre-Lisbona.
Tuttavia, nonostante la separazione in parola denoti una netta differenza di regime giuridico e di processo decisionale per il settore PESC da una parte e per le altre politiche esterne dall'altra, il regime e la procedura di conclusione degli accordi sono stati unificati per tutti i settori oggetto di competenza esterna, ivi compresa l’azione esterna della PESC, nell'ambito del titolo che qui si commenta.
Si configura così nella struttura dell'Unione, realizzata per effetto del Trattato di Lisbona, la definizione di una posizione unitaria della stessa nei confronti dei paesi terzi che si pone l’obiettivo di correggere le incoerenze e gli squilibri che si erano manifestati in passato, dovute al ruolo di diversi attori
decisionali in materia di conclusione degli accordi.

Nel discutere della disciplina degli accordi internazionali dell'Unione, il più volte ricordato Gruppo VII della Convenzione europea era partito dalla considerazione che nel tempo la Corte ha elaborato una giurisprudenza che ha condotto gradualmente all'affermazione di un pressoché completo parallelismo tra le competenze interne dell'Unione e quelle esterne.
Non va, inoltre, a tal uopo dimenticato che tutti i rapporti di cooperazione dell'Unione Europea, in particolare gli accordi di associazione, almeno a partire dalla terza Convenzione di Lomè del 1984, sono segnati dalla c.d. clausola di
condizionalità, nella quale si racchiude l'idea che l'Unione dovrebbe sempre e comunque promuovere il rispetto dei principi fondamentali che sono alla base del proprio ordinamento: democrazia, tutela dei diritti umani, rispetto dei principi dello Stato di diritto.

Con l'affermarsi di questi principi all'interno dell'ordinamento comunitario, attraverso un processo di evoluzione istituzionale e giurisprudenziale negli anni 60 e 70, nella Comunità ha cominciato a farsi strada l'idea che costituendo essi principi irrinunciabili, non potesse non tenersene conto anche nei rapporti con i paesi terzi, soprattutto nel quadro della cooperazione allo sviluppo.
La sua applicazione non è però sempre agevole.

Nei regolamenti che istituiscono sistemi di preferenze generalizzate, a favore dei PVS, la condizionalità è molto marcata, in quanto si dichiara apertamente che la mancata osservanza di determinati principi, individuati sulla base delle convenzioni sui diritti umani e i principi democratici, comporterà la sospensione del regime preferenziale nei confronti del paese che abbia commesso la violazione.

Se però tale impostazione non pone molte difficoltà in un regime unilaterale, come appunto la concessione di trattamenti preferenziali, essa diventa molto più problematica nel caso delle relazioni di tipo convenzionale.
Si tratta qui in effetti, come sottolinea la dottrina, di stabilire se è legittimo minacciare sanzioni, quali la sospensione dell'applicazione di un accordo, in caso di inadempimento di clausole che non sono però "essenziali" nell’ambito dell’accordo in questione.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La governance economica europea e il ruolo delle organizzazioni finanziarie internazionali

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Informazioni tesi

  Autore: Stefania Perez
  Tipo: Tesi di Dottorato
Dottorato in Formazione del diritto europeo. Fondamenti storico-filosofici ed evoluzione del diritto positivo
Anno: 2015
Docente/Relatore: Giancarlo Scalese
Istituito da: Università degli Studi di Cassino
Dipartimento: Dipartimento di Economia e Giurisprudenza
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 250

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