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Ripensare l’Educatore Professionale come agente attivo per le famiglie in cui un partner/genitore è preso in carico dai servizi per le dipendenze

L’Educatore Professionale e le dipendenze

Rispetto al passato la figura dell’Educatore Professionale sta vivendo un processo di cambiamento evolutivo che la porta ad aver una maggior professionalizzazione. I bisogni e le richieste di supporto da parte delle persone con dipendenza patologica sono cambiati nel tempo, gli interventi non sono più principalmente contenitivi ma prevedono la sperimentazione del paziente in esperienze differenti che gli permettono di crescere e aprirsi al mondo.
Mentre inizialmente chi lavorava nelle strutture residenziali per tossicodipendenti aveva sperimentato in prima persona il progetto terapeutico, essendo principalmente ex-utenti o educatori che avevano seguito percorsi di formazione teorico-pratico, adesso la situazione sembra quasi essersi capovolta, poiché gli educatori arrivano ai servizi dopo un lungo iter formativo47.

L’Educatore Professionale: evoluzione del riconoscimento di un ruolo
La figura dell’Educatore Professionale in ambito sanitario e riabilitativo ha vissuto un lungo iter prima di raggiungere la sua definizione attuale.
Negli anni Cinquanta gli educatori iniziano a operare nei servizi, queste figure nascono da mobilitazione dal basso per dare sostegno e supporto a persone con fragilità. Gli operatori si trovano fuori dal circuito istituzionale e agiscono senza un’organizzazione globale, le pratiche sono fortemente eterogenee, legate agli specifici contesti e prive di traduzioni operative comuni. Già negli anni Sessanta inizia ad emergere il bisogno di strutturare la figura dell’educatore attraverso percorsi di formazione a base biennale e opportunità di maturazione professionale e personale. Durante il Congresso Nazionale ANEGID48 del 1963 viene portata la necessità di raggiungere la qualifica professionale attraverso un’adeguata formazione che si compone di tirocinio professionalizzante e di un accompagnamento psicopedagogico e psicodinamico.
Tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta nascono le Scuole Regionali in cui viene sperimentata la formazione per gli educatori, l’offerta però è disomogenea sul territorio nazionale e inoltre è rivolta a formare diverse categorie di educatore (ad esempio educatore di comunità, educatore nella tossicodipendenza, educatore psico-sociale…), negli anni modificano la loro durata passando da biennali a triennali. L’unico percorso universitario su territorio nazionale viene sperimentato a Roma.
Canevaro nel 1976 si fa promotore del modello tecnico politico, volto a superare l’approccio riparatore-contenitivo in favore di quello che promuove l’educazione come strumento per innestare cambiamento a livello individuale e sociale49. Inoltre, si inizia a parlare di diritto di cittadinanza al benessere, si sviluppa quindi un maggior interesse verso la prevenzione, il territorio e l’ambiente di vita in cui sono inseriti gli utenti50. Avviene un passaggio legato alle politiche sociali, a quelle che sostengono chi non è in grado di provvedere al soddisfacimento dei bisogni vitali si aggiungono politiche per i diritti di cittadinanza di tutti gli individui. A livello legislativo però è necessario attendere il 1978 quando la riforma sanitaria, che istituisce il Sistema Sanitario Nazionale, segna il superamento del modello assistenziale in favore della visione sistemica del lavoro sociale.

La figura dell’educatore, invece, viene inquadrata tra le professioni della riabilitazione solo un anno dopo, con il DPR 761. La formazione professionale però non è ancora ritenuta obbligatoria, l’educatore rimane una figura ambigua ed eterogenea, i tre principali canali di formazione sono le Scuole Regionali (gestite a livello locale e regionale), l’Università e i corsi biennali o annuali erogati da Fondazioni ed Enti privati.
Nel 1984 grazie al Decreto Degan, che è stato poi annullato nel 1990 dal Consiglio di Stato, vengono definiti dei passaggi importanti per il riconoscimento della figura dell’educatore: innanzitutto viene prevista la frequenza di un corso biennale erogato dal SSN o dall’Università con conseguente attestato di abilitazione per poter esercitare la professione; inoltre, il Ministero della Sanità riconosce quattro differenti figure professionali con differenti compiti (operatore pedagogico, educatore, educatore coordinatore e direttore dell’area pedagogica). Grazie a questo decreto alla fine degli anni Ottanta in tutte le scuole e corsi viene fatta una selezione attraverso prove scritte, orali e test attitudinali per poter ottenere la qualifica di educatore.
Per la prima definizione di Educatore Professionale bisogna, invece, attendere il 1998 quando il Decreto Ministeriale n. 520 indica l’educatore come la figura sociale e sanitaria attenta alle persone con fragilità che presidia la dimensione della globalità e che attraverso lo strumento della relazione educativa pone l’accento sulle specificità degli individui. Le azioni per l’intervento professionale sono di tipo socioeducativo nelle strutture sociosanitarie, riabilitative, educative e in tutto il territorio.
Inoltre, viene richiesto il diploma universitario per l’esercizio della professione e inizia il lungo processo per il riconoscimento dei titoli pregressi equipollenti.
Durante tutti i passaggi precedenti la figura dell’Educatore Professionale racchiude al suo interno sia l’ambito sanitario che quello sociale. Il 2 aprile 2001, invece, attraverso il Decreto Interministeriale n. 128, vengono istituiti due differenti corsi universitari quello di Scienze dell’Educazione e quello di Educazione Professionale. Attraverso questo passaggio legislativo vengono perciò differenziati gli ambiti di intervento e chi frequenta Scienze dell’Educazione non ha la possibilità di esercitare la professione nella sanità pubblica. Per evitare questa spaccatura l’ANEP51, a giugno dello stesso anno, ha istituito un corso di laurea che collega entrambe le classi di laurea.
Arrivando però al 2017 la situazione si ripresenta, infatti attraverso la riforma Lorenzin52 e la Legge Iori53, vengono distinte tre diverse figure professionali: gli educatori professionali del settore sociosanitario, che hanno albo autonomo e possono lavorare in ambito sociosanitario, gli educatori professionali socio-pedagogici e i pedagogisti. In questi anni è in corso il processo transitorio per il riconoscimento dei titoli e l’adeguamento dei servizi agli attuali ordinamenti.




47 Caritas Ambrosiana – Area Dipendenze, Isole nella corrente. Cosa resta oggi delle comunità per tossicodipendenti, In dialogo Cooperativa culturale, Milano, 2005.
48 Associazione Nazionale Educazione della Gioventù Disadattata. Congresso tenutosi a Roma tra il 14 e il 16 maggio 1963.
49 Fasan G, La formazione degli educatori tra gli anni Sessanta e i primi anni Novanta del Novecento, in “Studium Educationis”, 2019, n.3, p. 81.
50 Tramma S, L’educatore imperfetto. Senso e complessità del lavoro educativo, terza edizione, Carocci Faber, Roma, 2018, p. 14.
51 Associazione Nazionale Educatori Professionali, fondata nel 1992.
52 Legge 11 gennaio 2018, n. 3, “Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché' disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute
53 Legge 27 dicembre 2017, n. 205, commi 594-601, “Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020”.

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Informazioni tesi

  Autore: Bianca Ferrari
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Educazione Professionale
  Corso: Professione sanitarie della riabilitazione
  Relatore: Corrado Celata
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 147

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Parole chiave

famiglia
comunità terapeutiche
gap
dipendenze
sostanze
modello sistemico-relazionale
serd
comunità mamma bambino

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