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Il cortocircuito dell'immaginario americano come fondamento della U.S. Space Force

L’emblema del cortocircuito dell’immaginario americano: United States Space Force

Le palpebre degli U.S.A. non calano mai, non si concedono un riposo, e la loro creatività non cessa di fruttificare.
Il loro sguardo non si focalizza su un punto fisso, ampliano il proprio campo visivo: vira su e giù, avanti e dietro, a destra e sinistra, al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico; prova a scongiurare che l’angolo cieco non li svantaggi, permettendoli di prevenire l’imboscata, custodendo il proprio spazio, e accelerare il passo in direzione di un altro, scoperto, o simulato, o costruito, in cui evolversi. In questa circostanza, nella quale gli U.S.A. non si schiodano dal fronte del Bene, essendone l’ambasciatore, mentre su quello del Male c’è una controparte variabile a seconda del loser e/o del wanted vagliato, si ricamano assieme le percezioni, i sentimenti, le decisioni e le azioni a stelle e strisce, ogni volta discordati e incoerenti, che provocano il cortocircuito dell’immaginario americano. Le cui riproduzioni del territorio, puritane e “frontieristiche”, generano, oggi come in passato, dei simboli, delle mitologie e degli archetipi che segnano, indiscriminatamente e perennemente, l’arte, l’architettura, il costume e la moda, l’economia, la politica e la geopolitica, la loro comunicazione, la scienza e la tecnologia del Paese e, indubbiamente, del globo.

Come già scritto (v. Cap. 2, Par. 2.2), in particolare dal XX secolo, la scienza e la tecnologia sono delle officine che, per mezzo delle proprie innovazioni e invenzioni, producono e forniscono degli orizzonti incontaminati dei quali impossessarsi e proteggere, e alimentano le utopie e le apprensioni sia del Governo Federale degli U.S.A., sia dei cittadini.
Il 25 luglio 1945, giorno in cui V. Bush espose a H.S. Truman, in Science: The Endless Frontier, che la ricerca scientifica dovesse essere il perno per tenere in equilibrio, dopo la Seconda Guerra Mondiale, il Paese, ed elaborò una concezione nuova, salutare e salvifica, del paradigma scientifico- tecnologico, dista 74 anni.
Attualmente, quel rapporto non è né stropicciato, né ingiallito, e ancor meno è anacronistico, perché come fu un riferimento per la Casa Bianca, il Congresso e la N.A.S.A – che, tra gli anni Cinquanta e Settanta, si prodigarono per far staccare dalla Terra i piedi all’umanità –, lo è tutt’ora. Infatti, il riverbero delle riflessioni e delle idee di V. Bush si colgono in una delle richieste che D.J. Trump, durante il National Space Council, tenutosi il 18 giugno 2018 nella East Room del 1600 Pennsylvania Avenue NW, recapitò al Dipartimento della Difesa (D.O.D.): l’istituzione della United States Space Force (U.S.S.F.).

Tecnicamente, se il Congresso desse il placet alla proposta di bilancio per l’anno fiscale 2020, che prevede lo stanziamento di fondi pari a 72,4 milioni di dollari per la costituzione della U.S.S.F., questa diverrà la sesta branca della United States Armed Forces (le Forze Armate degli U.S.A.), affiancherà la United States Army (l’Esercito), la United States Navy (la Marina Militare), la United States Marine Corps (il Corpo dei Marines), la United States Air Force (l’Aereonautica Militare) e la United States Coast Guard (la Guardia Costiera), con le quali condividerà, in più, il quartier generale, il Pentagono.
Inoltre, come si apprende dal FAQ di dieci quesiti pubblicato, il 1° marzo 2019, dal D.O.D., la U.S.S.F. verrà condotta dal Segretario all’Aereonautica (l’odierno è Matthew Donovan), avrà un organico di circa 15.000 persone (i militari e i civili), si occuperà nello spazio cosmico, conducendo delle operazioni militari, della sicurezza degli U.S.A. e dei Paesi alleati, e della creazione di aree di supporto, inerenti l’istruzione, l’equipaggiamento e l’addestramento in ambiti quali l’intelligence, l’ingegneria, la scienza e il cyberwarfare.

Però, è discutibile l’idoneità dei programmi – pianificati allo scopo di primeggiare nello spazio cosmico, vampirizzare gli oppositori e preservare l’incolumità propria e degli “amici” –, poiché potrebbero infrangere l’Outer Space Treaty, il Trattato sui princìpi che governano le attività degli Stati in materia di esplorazione ed utilizzazione dello spazio extra-atmosferico compresa la Luna e gli altri corpi celesti, che venne firmato il 27 gennaio 1967 ed entrò in vigore il 10 ottobre del medesimo anno.

The Outer Space Treaty does allow the presence of the military in space – they have been in space since the beginning – but they are restricted in what they can do […]. For example, they could not do anything with nuclear weapons or weapons of mass destruction – those are strictly prohibited in space […]. There’s a whole body of international law that would apply, in addition to space law. The concept of the use of force is a very rich and deep concept in international law that has a lot of development, and all of that would be applicable as well. [Joanne Gabrynowicz, direttrice dell’International Institute of Space Law (I.I.S.L.)]

Dall’angolatura geopolitica, che travalica la Terra e il mare, si denota che gli U.S.A. stanno proseguendo le attività cosmonautiche attraverso le quali, durante l’Era Spaziale, s’imposero sull’U.R.S.S. Tanto è vero che, per quanto – per ora – sia astratta, l’U.S.S.F. rappresenta sia una testimonianza della trasformazione e dello sviluppo in seno alla United States Armed Forces, sia del timore della Nazione nei riguardi della Federazione Russa e della Repubblica Popolare Cinese, che potrebbero deporla dal trono planetario. A tal proposito, nei molteplici documenti redatti dalla Casa Bianca, dal D.O.D. e dalla United States Intelligence Community (la Federazione della quale fanno parte le diciassette agenzie di intelligence), i riferimenti alle manovre spaziali dei Paesi guidati da Vladimir Vladimirovič Putin e Xi Jinping sono persistenti.

Per esempio, il 29 gennaio 2019, Daniel Ray “Dan” Coats, l’ex direttore della United States Intelligence Community, segnalò: «We assess that China and Russia are training and equipping their military space forces and fielding new antisatellite (A.S.A.T.) weapons to hold U.S. and allied space services at risk, even as they push for international agreements on the nonweaponization of space». Invece, Michael Richard “Mike” Pence, Vicepresidente degli U.S.A. (V.P.), disse: «Our adversaries [la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese; n.d.s.] have transformed space into a warfighting domain already. And the United States will not shrink from this challenge».
Una deduzione sbrigativa e superficiale colloca interamente sulla piattaforma geopolitica l’istanza avanzata da D.J. Trump e le asserzioni di alcuni componenti del Gabinetto; ma, candeggiando questa patina, si denota che alla loro base ci sono delle suggestioni indotte dall’immaginario americano. Il punto di partenza è il complesso di dichiarazioni del 45° P.O.T.U.S., il quale, un’estate fa, come premessa all’annuncio della volontà di fondare l’U.S.S.F., si espresse così:

The essence of the American character is to explore new horizons and to tame new frontiers […]. But our destiny beyond the Earth is not only a matter of national identity, but a matter of national security so important for our military. When it comes to defending America, it is not enough to merely have an American presence in space. We must have American dominance in space […]. You [i rappresentati dell’industria spaziale presenti all’incontro; n.d.s.] will go out there, and you will take that frontier, which is largely unknown, by man or woman, and you will learn everything there is to know about it.

A cui fece eco, tra le altre affermazioni, quella fatta all’incontro del 30 maggio 2019, al Falcon Stadium di Colorado Springs, Colorado, con i cadetti, i futuri luogotenenti della United States Air Force Academy Class of 2019: «In this stadium today are many of the future leaders who will develop the doctrine, strategy, and technology to lead America in space […]. It is a time for America to reclaim the ultimate high ground and prepare our young warriors for battle today on the battlefield tomorrow».
Ebbene, riecco la dialettica, specifica della cultura e dell’identità statunitense, nella quale si sovrappongono i princìpi di “apertura” (spirito della frontiera) e “chiusura” (spirito del puritanesimo) connessi allo spazio, che s’insinua nella comunicazione politica-geopolitica, viziandola con le sue immagini, oscillanti tra la contemporaneità e l’avvenire, tra il materiale e il teorico, aventi come stelle polari, rispettivamente, lo spostamento e il consequenziale miglioramento degli U.S.A. e la “mappatura” dell’area e la sua difesa. In relazione a ciò, la Nazione è affetta, dinanzi allo spazio cosmico, dalla «sindrome della dimensione parallela», poiché questo, essendo svincolato dalla custodia e dall’autorità di un soggetto, è predisposto al passaggio del nemico – da lì, si avventerà su lei –, ed è motivo sia di distensione, fiducia e appetito, sia di allarmismo, tensione e diffidenza.

Space is central to our way of life. U.S. leadership in space has pioneered groundbreaking new technologies; revolutionized how we communicate, travel, farm and trade; supported countless
U.S. jobs; and above all made the strongest military in the history of the world stronger still. […] Today, the threats and opportunities in space are changing more rapidly than at any other point since the Cold War. And we must change along with them. As President Trump has made clear, the United States will always seek peace in space as on Earth, but history proves that peace only comes through strength. And in the realm of outer space, the Space Force will be that strength.
[Un estratto dell’editoriale di M.R. Pence, V.P., pubblicato, il 1° marzo 2019, dal Washington Post]

È acclarato che il “Patto della Grazia” e il “Destino Manifesto”, per quanto non vengano menzionati, s’annidino nei messaggi, nelle metafore e nei gesti, incidendo su questi e stazionando nel loro nocciolo, dell’amministrazione trumpiana, una peculiarità pure di quelle precedenti. Oggi dilagano i riferimenti, a volte velati, all’investitura da parte della Divina Provvidenza, alla devozione, all’unità, alla relazione e al “Patto della Grazia” degli U.S.A. con il Signore («In God We Trust », «In Dio noi confidiamo», è il motto nazionale), i richiami all’audacia, alla fermezza e all’innocenza degli americani, le sollecitazioni all’uscita e alla partenza, i parallelismi con i Padri Fondatori, i Padri Pellegrini, i pionieri e i coloni, con le loro imprese.
Essi, per noi europei, quando vengono esternati, sono sbalorditivi, irrealistici, avventati e bizzarri, e ci danno l’impressione d’essere dei “distrattori di massa”, in virtù del pragmatismo e dell’inventiva con i quali gli U.S.A., attenendosi ai capisaldi del proprio immaginario e munendosi della scienza e della tecnologia, spacchettano il mondo in Bene e Male, interpretano il territorio circostante ed elaborano delle strategie sia per modellarlo, sia per estenderlo. In aggiunta, per sfoggiare la propria integrità morale ed etica, la predestinazione ineluttabile, e la diversità e il distacco dagli altri, rendono percettibili, cristallini e palpabili dei princìpi, dei motti e dei propositi.
Sebbene riguardi il Comitato per la rielezione di D.J. Trump, in vista dell’Election Day del 3 novembre 2020, una prova di quanto sostenuto è il sondaggio, presentato ai sostenitori dell’ex tycoon, per la scelta del logo dell’U.S.S.F..
A tal riguardo, trentotto anni orsono, J. Baudrillard, in Amérique, scrisse: «L’America non è né un sogno, né una realtà, è una iperrealtà. Ed è una iperrealtà perché è una utopia vissuta fin dall’inizio come realizzata. Qui, tutto è reale, pragmatico, e tutto lascia perplessi […]. Questo è un paese ingenuo, bisogna guardarlo con occhi ingenui. Tutto, qui, e ancora a immagine di una società primitiva: le tecnologie, i media, la simulazione totale si sviluppano allo stato selvaggio, allo stato originario».
Effettivamente, le immagini ricorrenti, disegnate dall’immaginario americano, sono tre: la prima, nella quale è mostrato un avamposto immacolato, nello spazio cosmico, sinonimo dell’incognito e della paura, dell’evoluzione e del potere, che il Paese, palesando, con l’armatura (l’U.S.S.F.), la propria presenza, sonderà, comanderà e salvaguarderà, in cui si ricongiungerà a Dio e, perciò, ribadirà la propria predestinazione, guadagnerà la salvezza e proietterà le sue virtù su scala mondiale; la seconda, ambientata sul territorio nazionale, in cui il Bene (gli U.S.A.), dopo che lo circoscriverà e classificherà, duellerà e annienterà il Male, deciso a farlo soccombere e a rovesciare lo status quo, caratterizzato dalla vitalità, dalla libertà, dalla felicità e dalla sicurezza; la terza, data dalla somma delle due precedenti, è il sunto della predominanza che s’assicurerà la Nazione, il cui artefice sarà il «Presidente supereroe», il quale, stroncando una condizione psicologica altalenante – dallo sconforto all’allegria, e all’inverso –, riuscirà a farla approdare su una «Nuova Frontiera», dandole l’opportunità di arricchirsi e fantasticare, e portare al fallimento i piani del/dei dannato/i, ponendo il sigillo alla home, e consacrandosi come il guardiano-pioniere e il primo degli eletti. […]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il cortocircuito dell'immaginario americano come fondamento della U.S. Space Force

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Informazioni tesi

  Autore: Pietro Piga
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Cagliari
  Facoltà: Facoltà di Studi Umanistici
  Corso: Scienze della comunicazione
  Relatore: Emiliano Ilardi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 60

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guerra fredda
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john fitzgerald kennedy
donald john trump
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u.s. space force
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