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L’angoscia e il nulla in Martin Heidegger

L’Esserci immerso nel Niente

Lo spaesamento e l’indeterminatezza propri dello stato dell’angoscia, ci portano a dire che quanto accaduto non era nulla.

«Quando l’angoscia è dileguata, il discorso quotidiano suol dire che in realtà, non era nulla

Questo «nulla» a cui si fa riferimento dopo aver esperito lo stato dell’angoscia è ciò che Heidegger chiama Niente.
Si è detto all’inizio che mediante la tonalità emotiva dell’angoscia si giunge innanzi all’essere e al nulla. Essa non fa insorgere più un perturbamento come nel caso della paura – dove il pauroso è prigioniero di ciò in cui si trova –, ma è attraversata piuttosto da una quiete singolare.
L’ente non ci parla più, ma non nel senso che le cose si dileguino, bensì che proprio nel loro allontanarsi le cose si rivolgono a noi.

«Questo allontanarsi dell’ente nella sua totalità, che nell’angoscia ci accerchia, ci angustia. Non rimane nessun sostegno. Nel dileguarsi dell’ente, rimane soltanto e incombe su di noi questo «nessuno».

L’angoscia rivela in Niente

Nell’angoscia siamo sospesi. O meglio, è l’angoscia che ci lascia sospesi. L’essere sospesi dall’angoscia – che fa dileguare l’ente nella sua totalità – fa sì che in mezzo all’ente ci sentiamo dileguare con esso. In questo essere sospeso, l’Esserci non può tenersi a niente.
E, in una tale circostanza, ogni tentativo di dire qualcosa al riguardo, lo ribadiamo, o di spiegarne il senso una volta che questa è svanita, fallisce. E ciò dà prova della presenza del Niente:

«L’angoscia ci mozza la parola. Poiché l’ente nella sua totalità si dilegua e così proprio il niente ci assale, tace al suo cospetto ogni tentativo di dire «è». Che nello spaesamento dell’angoscia noi si cerchi spesso di infrangere il vuoto silenzio proprio con parole dette a caso, non è che la prova della presenza del Niente. Che l’angoscia sveli il Niente, l’uomo stesso lo attesta non appena l’angoscia se n’è andata. Nella luminosità dello sguardo sorretto dal ricordo ancora fresco, dobbiamo dire: ciò di cui e per cui ci angosciavamo non era «propriamente» – niente. In effetti il Niente stesso, in quanto tale, era presente.»

Il Niente si manifesta nell’angoscia e attraverso di essa, ma non come ente, né come qualcosa separato «accanto» all’ente nella sua totalità. L’angoscia non è un cogliere il Niente.
Piuttosto, nell’angoscia il Niente viene incontro insieme all’ente nella sua totalità.
L’angoscia non annienta l’ente in modo che resti il Niente, né tanto meno avviene una negazione da parte nostra dell’ente nella sua totalità per guadagnare alla fine il Niente.

«Il niente si manifesta piuttosto espressamente con l’ente e nell’ente in quanto questo si dilegua nella sua totalità

Nell’angoscia c’è un indietreggiare davanti a… che prende le mosse dal Niente, in quanto questo, per essenza, non attrae a sé, bensì respinge. Tale respingere è il rinviare – facendolo dileguare – all’ente nella sua totalità che sprofonda.
Questo rinviare è l’essenza del Niente, la nientificazione (Nichtung). Essa, lo ripetiamo, non è un annientamento dell’ente, né scaturisce da una negazione. È il Niente stesso che nientifica.

È l’essenza originariamente nientificante del Niente a portare l’Esserci davanti all’ente in quanto tale:

«Il nientificare […] in quanto è un rinviare, respingendolo, all’ente nella sua totalità che si dilegua, esso rivela questo ente, nella sua piena e fino allora nascosta estraneità, come l’assolutamente altro – rispetto al Niente.
Solo nella notte chiara del Niente dell’angoscia sorge l’originaria apertura dell’ente come tale, per cui esso è ente – e non Niente


Per Heidegger, è solo sul fondamento dell’originaria manifestatezza del Niente che l’Esserci può rivolgersi all’ente e occuparsene, all’ente che egli non è e all’ente che egli stesso è.
In quanto per sua essenza si rapporta all’ente, l’Esserci già da sempre proviene dal Niente. Esser-ci significa essere tenuto immerso nel Niente.
Che cos’è, dunque, il Niente? Esso non è né un oggetto e neppure in generale un ente. Il Niente è ciò che rende possibile la manifestatezza dell’ente come tale. Ed è nell’essere dell’ente che avviene il nientificare del Niente.
L’Esserci si rapporta agli enti in quanto immerso nel Niente, ma questo si manifesta originariamente solo nell’angoscia che, come detto, è rara. Come si può dunque esistere – e quindi rapportarsi agli enti – se non tenendosi costantemente immersi nel Niente?
L’Esserci, nel rapportarsi con l’ente che non è e con l’ente che egli stesso è, lo fa prima ancora che nello stato dell’angoscia.
Che cosa significa, allora, la rarità dell’angoscia?
[...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

L’angoscia e il nulla in Martin Heidegger

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Informazioni tesi

  Autore: Riccardo Sistino
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi di Bari
  Facoltà: Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Giuseppina Strummiello
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 39

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