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Leni Riefenstahl e l’estetica nazionalsocialista

L’estetica del nazismo

L’uomo ariano e l’ebreo
Il Reich millenario concepito da Hitler sarebbe appartenuto alla razza superiore, gli ariani, un gruppo razziale a cui apparterrebbero tutti i popoli indoeuropei del quale i tedeschi rappresenterebbero la punta di diamante per virtù, forza e genio. Non occorre una lettura approfondita del Mein Kampf per capire che il razzismo è il fondamento sul quale tutto il nuovo ordine sarebbe stato eretto, e come lo stesso fosse presente nell’ideologia fin dagli albori.
Cosa significasse essere ariano è un concetto molto complesso e lontano da noi, senza contare che le continue banalizzazioni ancora oggi continuano ad alimentare un’idea del tutto scostata rispetto all’ideale razzista propugnato dal nazionalsocialismo. L’essere un ariano, a differenza di quello che si pensa, non è semplicemente essere di aspetto nordico, avere gli occhi chiari e i capelli biondi, anche se di fatto questo era l’ideale di bellezza nazista, coniugato ad un’inderogabile salute e prestanza fisica dato che il Führer era convinto che «Nella debolezza fisica risiede quasi sempre la causa della vigliaccheria personale».

È curioso notare come nessuno tra le più alte cariche del partito e dello stato corrispondesse a questo aspetto, tipico delle popolazioni del Nord Europa. Al contrario, una delle poche figure dell’establishment nazista che incarnava l’ideale di bellezza e di virtuosità germanica, il gerarca delle SS Reinhard Heydrich, venne per tutta la vita accusato di avere ascendenze ebraiche. Egli era un uomo sportivo, era fisicamente prestante ed eccelleva nell'atletica, nel nuoto e nella scherma, disciplina nella quale vinse numerose competizioni. Oltre a ciò era colto e si dilettava di musica, sapendo suonare il violino egregiamente. Tutto questo non sopì mai del tutto le maldicenze che lo accompagnarono fino alla prematura scomparsa. Egli stesso ordinò ai ricercatori delle Schutzstaffeln di investigare sull'ipotesi di una presenza giudaica nella sua famiglia, ricerche che dimostrarono come non avesse alcun antenato ebreo. Questo rende bene l’idea di come per gli stessi nazisti l’essere ebreo o meno fosse un concetto molto labile; in questo caso per via di una figura tanto potente e invidiata, che nelle lotte intestine di potere aveva molti detrattori pronti ad aggrapparsi ad ogni diceria per poterlo screditare e magari scalzarlo dai suoi prestigiosi incarichi.

Emblematico è l’episodio accaduto al regista, sceneggiatore e scrittore austriaco Fritz Lang, che affermò in un’intervista: «Il 30 marzo 1933, il ministro della Propaganda in Germania, Joseph Goebbels, mi convocò nel suo ufficio [...] e mi propose di diventare una sorta di "Fuhrer" del cinema tedesco. Io allora gli dissi: “Signor Goebbels, forse lei non ne è a conoscenza, ma debbo confessarle che io sono di origini ebraiche” e lui: “Non faccia l'ingenuo signor Lang, siamo noi a decidere chi è ebreo e chi no!”». Conoscendo l’intransigenza di uno dei più fanatici promotori dell’antisemitismo del Terzo Reich sembra impossibile che una tale frase sia uscita dalla sua bocca ma, oggigiorno, la politica delle alte cariche circa cosa fosse vero o meno è abbastanza delineata. Lo stesso ministro ripeté in svariate occasioni «Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità». Un’idea condivisa dallo stesso Führer, certo che «È più facile ingannare le masse con una fandonia esagerata che con una piccola bugia».

Secondo l'ideologia nazista la storia è una lotta tra la razza ariana, forte, fertile e creatrice di civiltà, e le altre razze, considerate inferiori sia culturalmente che biologicamente (gli Untermenschen, ovvero i sub-uomini). Questa "visione del mondo" (Weltanschauung) deriva, in parte, dalla distorsione del pensiero nietzschiano circa la contrapposizione tra l'uomo libero, forte, nobile e l'uomo debole, meschino, malato nell'anima. I “subumani”, ovvero gli slavi e gli ebrei, erano dunque visti come cospiratori e minaccia suprema del popolo tedesco e dovevano per questo essere annientati.
È comunque stato dimostrato mostrato come l’antisemitismo in Germania fosse sentito in particolare da ambienti militari e reducistici o dalle élites culturali e non negli strati più umili della popolazione. La storiografia di oggi mostra infatti come il boicottaggio del commercio ebraico in Germania del 1º aprile 1933 o il pogrom passato alla storia come la Notte dei cristalli (Kristallnacht) furono azioni del tutto fallimentari dal punto di vista propagandistico. Entrambe le misure vennero intraprese dando al popolo un giustificato motivo: il boicottaggio ebraico delle merci tedesche, iniziato poco dopo il giuramento di Adolf Hitler come cancelliere e l’omicidio del diplomatico tedesco Ernst Eduard vom Rath avvenuto a Parigi per mano dell’ebreo polacco Herschel Grünspan. Per quanto riguarda il boicottaggio del ’33 gli stessi nazisti realizzarono come ai tedeschi non importasse quasi nulla dei loro compatrioti ebrei, tanto che per un paio di anni Hitler fu sempre molto attento a non menzionare più questo argomento nei suoi comizi, seguito a ruota da tutti i gerarchi. In quanto al pogrom della notte tra il 9 e 10 novembre 1938, alcuni storici vedono una débâcle ancora più evidente. Lo storico statunitense Karl Schleunes asserisce che «Fu un prodotto della mancanza di coordinamento che segnò la pianificazione nazista in materia di politica ebraica, e il risultato di un estremo tentativo compiuto dai radicali per conquistare a forza il controllo di questa politica», idea condivisa anche dal britannico Ian Kershaw. Una mancanza di pianificazione riguardo al comportamento da tenere verso gli ebrei è quindi riconducibile alla limitata diffusione dell’antisemitismo in Germania.

Gli ebrei nel XIX secolo vivevano isolati nei ghetti e lo stereotipo diffuso tra tutti i ceti della popolazione era quello che l’ebreo fosse privo d’anima, non possedesse le virtù proprie dei tedeschi e fosse privo di radici. L’ebreo era anche l’epitome del proletario facinoroso, malevolo e inetto. Ai tedeschi questa popolazione appariva insieme estranea; tutto sommato di scarso interesse. Nulla a che vedere dunque con il feroce antisemitismo dell’Europa orientale dove i pogrom, sanguinosi massacri di massa verso la popolazione ebraica, scattavano quasi con cadenza regolare e la loro ghettizzazione era coatta e regolata dalla legislazione. Qui, in particolare in Russia, gli ebrei erano tacciati di immolare bambini cristiani per i loro rituali (in particolare durante le festività pasquali) e l’antisemitismo permeava tutta la popolazione, ancorché poverissima. Sul finire del ‘700 l'Impero Russo acquisì il controllo di larga parte dei territori polacchi e lituani, densamente abitati da ebrei, durante la seconda (1793) e terza (1795) spartizione della Polonia. Nella Confederazione Polacco-Lituana gli ebrei furono sottoposti a delle restrizioni chiamate eufemisticamente "disabilità". La Zarina Caterina II costituì la cosiddetta zona di residenza, che includeva i territori di Lituania, Polonia, Ucraina e Crimea, dove gli ebrei erano obbligati ad abitare e dove erano tenuti a richiedere una speciale autorizzazione per lasciare la zona. Si può quindi dire che l’odio verso il giudeo in Germania fosse più un pregiudizio religioso figlio dell’ignoranza e della totale mancanza di volontà di integrazione da entrambe le parti più che un qualcosa di radicato.

Ciò non toglie che la letteratura tedesca sull’ebreo fosse molto florida e apprezzata, così come i miti popolari che l’accompagnavano. Tra i romanzi più celebri vi sono Soll und Haben (Dare e avere) scritto da Gustav Freytag e uscito nel 1855, uno dei romanzi più letti nella Germania dell'Ottocento, Biarritz del 1868, di Sir John Retcliffe, pseudonimo di Hermann Goedsche, e Der Hungerpastor (Il pastore della fame) del 1864 di Wilhelm Raabe. In questi racconti l’ebreo viene fortemente stigmatizzato per la sua avidità e sete di potere declinata in spietatezza ed inganno, in opposizione alla rettitudine del tedesco. Inoltre veniva puntualmente rimarcato il suo non avere radici, l’essere senza anima e il vivere isolato, in ghetti pieni di vicoli luridi, bui e misteriosi.
[...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Leni Riefenstahl e l’estetica nazionalsocialista

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Informazioni tesi

  Autore: Nicolas Zaganelli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2016-17
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Lettere
  Corso: Lettere
  Relatore: Maria Malatesta
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 50

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