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La psicomotricità relazionale e le sue applicazioni in ambito terapeutico

L’importanza del corpo negli interventi psicologici e terapeutici

Il corpo è stato un aspetto trascurato dalla psicologia e dalla psicoterapia del XX secolo.
Sarà ridondante e banale, ma è bello poter riflettere sul corpo partendo da quella distinzione così importante nel pensiero fenomenologico di Husserl e poi di Merleau-Ponty.
La distinzione che pone di fronte al corpo come oggetto di conoscenza, come res extensa nel linguaggio cartesiano (Erbuto, 2014) che è il “Korper”, che ha misure, occupa spazio. C'è poi “die Leib” che è il corpo vissuto, il corpo posseduto. Ed è a quest'ultimo a cui noi ci riferiamo e con cui vogliamo lavorare come detentore delle potenzialità emotive e di relazione. Lavorare con e su Leib non scordando l'importanza di un Korper sempre molto presente, che diventa sempre più centrale nei disturbi dell'immagine corporea e nei disturbi alimentari, dove il corpo posseduto è il corpo modificato e travagliato, che non tiene più conto del Leib.

Con il comportamentismo, il cognitivismo e la psicoanalisi post-freudiana si è assistito ad una cerebralizzazione e mentalizzazione della psicologia e della psicoterapia.
Anche l'idea della psicosomatica di stampo psicodinamico, improntata fondamentalmente da Freud con gli studi sull'isteria, portava l'accento sul potere che la mente e il cervello (nuova scoperta in quegli anni nelle sue varie potenzialità e complessità) avevano sul corpo. Come se si fosse incarnato nel pensiero psicologico dello scorso secolo il pensiero lineare scientifico, di stampo newtoniano, e quell' "Errore di Cartesio" (prendendo a prestito il titolo del famoso saggio di Damasio) che ponevano corpo e mente separati e in connessione lineare: la mente e il cervello, con le loro distorsioni e patologie, potevano esprimersi con delle affezioni corporee: paralisi, lesioni, disturbi di vario genere.
Nella seconda metà del 1900 c'è stato un progressivo, lento e parziale recupero di quanto invece l'uomo aveva sempre saputo e fatto, forse, cioè di come la mente non fosse mai stata separata dal corpo e viceversa.

Riprendono posto terapie a mediazione corporea come quella Reichiana e la bioenergetica di Lowen, l'ipnosi comincia ad essere studiata nei suoi effetti reciproci mente-corpo, lo psicodramma nei suoi vari orientamenti viene sviluppato e applicato, vengono sviluppate e concettualizzate tecniche varie come il training autogeno di Schulz, tecniche di rilassamento di vario genere e stampo, la psicomotricità viene sviluppata e diffusa da Aucouturier e Lapierre, si diffondono le tecniche e i lavori di Feldenkreis e tutto questo con la parallela ripresa e importazione in occidente di molte discipline orientali come yoga e meditazione.
Ci sono una serie di evidenze e pubblicazioni – PNEI, studi neuropsicologici, studi con la PET, le pubblicazioni di Damasio – degli ultimi vent'anni che validano le intuizioni avute dai capo-scuola delle varie discipline che del corpo fanno il terreno primario di intervento e che d'altra parte confermano quanto l'uomo ha sempre saputo e conosciuto intimamente su di sé: che in principio era il corpo, parafrasando la Bibbia della Genesi. “La mente dovette prima essere per il corpo, o non sarebbe potuta essere” (Damasio, 1995).

Nel panorama psicologico e nell'operare terapeutico non può più essere trascurato l'aspetto corporeo, ma non solo nel fornire un canale di lettura in più rispetto a quanto accade nella relazione, ma perchè sia, il corpo e la corporeità, un vero e proprio attore nel processo terapeutico e di intervento clinico: quindi non semplice chiave di lettura alternativa ma parte integrante dell'agire clinico.
Lo psicoterapeuta avrà sempre più necessità di operare anche attraverso il corpo – il proprio – e non solo quello del paziente o del gruppo di pazienti. Non possiamo più trascurare l'evidenza, ora anche scientifica, per cui lavorare con e sul corpo deve rappresentare una via associata alla parola e talvolta essere tranquillamente la via preferenziale.
Se si pensa al bambino, e lo si osserva giocare, si noterà come in realtà faccia, agisca, sperimenti, e poi eventualmente racconti. Man mano che cresce la componente cognitiva e la capacità di giocare con le parole aumenti, passando attraverso fasi sempre più articolate in cui il bambino gioca accompagnando il gioco con le parole, o che organizzi progressivamente l'azione raccontando quanto farà e sempre più intervallando verbalizzazioni più lunghe a momenti di gioco più concisi e puntuali.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La psicomotricità relazionale e le sue applicazioni in ambito terapeutico

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Informazioni tesi

  Autore: Paolo Ghittino
  Tipo: Tesi di Specializzazione/Perfezionamento
Specializzazione in Psicomotricità Relazionale
Anno: 2019
Docente/Relatore: Mauro Vecchiato
Istituito da: Istituto Italiano di Psicologia della Relazione
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 93

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