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Sessualità "diversamente" etero. Un’indagine empirica sui gay napoletani

L’omosessualità è un rischio?

Il rischio, come concetto multidimensionale, ha una definizione estremamente eterogenea che dipende dalla disciplina che lo utilizza, nel nostro caso, quello della sociologia il rischio viene trattato in modo meno oggettivo rispetto alle altre discipline, si ritiene infatti che esso difficilmente possa essere sottoposto a previsioni e misurazioni perché esso è determinato da due fattori che interagiscono tra di loro, la complessità della vita individuale e la complessità della struttura sociale. Secondo Beck (2000), le risorse necessarie per gestire il rischio sono l’informazione e la conoscenza dalla quale il rischio stesso si genera. Questo processo si chiama prevenzione. In base a quanto detto fino ad ora, si evidenzia che la percezione del rischio e le azioni che da essa conseguono devono essere analizzate nel contesto in cui gli attori vivono e fanno esperienza.
All’interno dei movimenti di liberazione omosessuale maschile degli anni ’60 e ’70, almeno nella loro fase iniziale, relazioni sessuali libere e non vincolate da rapporti sessuali esclusivi non erano considerate rischiose anzi erano giudicate forme di espressione di una sessualità emancipata. La letteratura sul genere ha posto recentemente lo sguardo sulla mascolinità come una determinante sociale della salute (Courtenay, 2003; Rosenfeld e Faircloth, 2006), associando il genere “maschio” al rischio salute, infatti la mancanza di prevenzione e i comportamenti a rischio sanitario sarebbero una scappatoia per i maschi da tutto ciò che si associa a vulnerabilità e debolezza, tratti culturalmente attribuiti al genere femminile. La ricerca scientifica ha descritto alcune pratiche sessuali della mascolinità gay (come il bareback), come una reazione al discorso convenzionale sulla salute che è ancora oggi mal equipaggiato per rendere conto della complessità del comportamento sessuale dei maschi gay (Dowsett, 1993, 2003; Numer e Gahanagan, 2009). Da questo punto di vista la prevenzione per la salute sarebbe vista da molti omosessuali maschi come uno strumento di controllo e regolazione sociale dei loro stili sessuali. Nonostante le politiche e le battaglie per la salute condotte dopo l’epidemia dell’AIDS, assistiamo ad un certo affievolimento della percezione del rischio sanitario legato alle pratiche sessuali, soprattutto nella popolazione omosessuale maschile. Secondo Rofes (2002) si è sviluppata una sorta di resistenza alla campagna di sensibilizzazione verso comportamenti sessuali a rischio, che ha colpito soprattutto i gay, tanto che per molti di loro tutto ciò che è proibito diventa desiderato e si assiste, in alcuni casi , ad una “reazione senza controllo” che può trasformarsi in una vera e propria dipendenza. Kafka (1991) scrive a tal proposito che il progresso medico associato alla scoperta, alla produzione e alla distruzione dei contraccettivi orali è stato uno dei fattori socioculturali collegati alla liberalizzazione del comportamento e degli atteggiamenti sessuali durante la cosiddetta rivoluzione sessuale negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale.
Tra gli anni 70 e 80 questi cambiamenti sociali hanno contribuito a ridurre la tendenza a considerare il comportamento ipersessuale una patologia e a concepirlo, al contrario, come variante della normale espressione sessuale, questa posizione è stata ulteriormente rafforzata dalla depatologizzazione dell’omosessualità. Tuttavia proprio in quegli stessi anni, c’è stato un aumento delle infezioni sessualmente trasmissibili (come herpes genitale, epatite C e virus HIV), queste gravi malattie prevalenti fra gli individui con molteplici partner sessuali e privi di protezione, hanno contribuito ad una rivalutazione dei costumi e dei comportamenti sessuali attuali.
La diffusione dell’AIDS alla fine degli anni ’80 scosse le comunità omosessuali di tutto il mondo, i medici di quell’epoca organizzarono una vera e propria crociata antiomosessuale e aiutati dai mass media gridavano all’AIDS come la “peste gay”. Coxon (1996) aveva provato a spiegare l’associazione tra omosessuali e AIDS attraverso la “teoria delle 3 D” ( It was Dark, I was Drunk, I Didn’t wear a condom) secondo tale teoria alcuni modi di vivere la sessualità, come “battere” in parchi e saune oppure sbronzarsi fino a dimenticare di indossare il preservativo, sono dei comportamenti dominanti nella comunità omosessuale maschile (ibidem, 2010). Con la persistenza e l’elevata diffusione dell’AIDS anche tra gli eterosessuali, la comunità LGBT ha riorganizzato il proprio stile sessuale intorno a massicce campagne di educazione e prevenzione del rischio che pervadono oggi gli ambienti omosessuali di tutto il mondo, non è un caso che tra le nuove generazioni omosessuali, la disponibilità a cambiare partner molto di frequente risulti molto più bassa di quanto accadesse anni fa.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Sessualità "diversamente" etero. Un’indagine empirica sui gay napoletani

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Informazioni tesi

  Autore: Daiana Capasso
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2011-12
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Sociologia
  Corso: Sociologia
  Relatore: Fabio Corbisiero
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 42

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Parole chiave

omosessualità
contraccezione
preservativo
coming out
lgbt
queer theories

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