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Le parole per dirlo: parlare di omosessualità

L’omosessualità femminile

La trattazione dei termini con cui viene indicata l’omosessualità femminile è molto difficile perché da sempre la donna è stata considerata inferiore rispetto all’uomo e quindi non degna di diritti e doveri.

Infatti per millenni l’omosessualità femminile è stata trascurata, e ciò è stato attribuito da qualcuno al fatto che, essendo le donne in posizione socialmente inferiore e subordinata, non venivano considerate degne di interesse e quindi neppure di disprezzo. (Cecconi, 1998, op. cit. in Abbatecola, 2002, pag. 233). La non visibilità sociale delle donne, per secoli ha nascosto l’omosessualità femminile.

“Dopo Saffo ci rimangono pochissimi documenti relativi all’omosessualità femminile nel mondo classico e, soprattutto, in età cristiana e medievale, mentre le testimonianze aumentano a partire dal Cinquecento.

Dal XVI secolo in poi le fonti ci raccontano di numerosi casi di donne che lasciavano casa, fingevano di essere uomini, trovavano lavoro e sposavano altre donne. Il dato interessante è che, qualora scoperte, esse venivano condannate a morte, mentre le loro mogli, le partner femminili, venivano risparmiate.

La condanna e la punizione colpivano dunque solo colei che aveva violato le norme relative all’appartenenza di genere, alla quale erano peraltro spesso attribuite caratteristiche anatomiche anormali. Per tutto l’Ottocento, in Francia, Olanda, Germania e Gran Bretagna coppie di donne economicamente indipendenti vivevano insieme, senza che questo costituisse motivo di sospetto o riprovazione.

La ragione di questa indifferenza può essere meglio compresa alla luce dell’ideale romantico di femminilità. Si pensava che la donna ideale dovesse essere asessuata, oltre che docile, gentile, disponibile e propensa a mettere da parte la propri personalità; l’essenza di qualsivoglia desiderio sessuale rendeva conseguentemente insospettabile l’intimità tra donne “anatomicamente uguali”.

Una donna sessualmente attiva era considerata deviante, cosi come deviante era una donna che si mostrasse socialmente indipendente in altre sfere maschili.” (Abbatecola, 2002, pag. 233-234)

La condizione femminile è sempre stata e continua ad essere quella di sottomissione, di obbedienza e quindi in grado di amare solo persone dell’altro sesso. Verso la fine dell’Ottocento però si cominciò a pensare che la tensione erotica fosse una componente dell’amore romantico sia per gli uomini sia per le donne.

“Il focus della letteratura medica in tema di omosessualità femminile, scivolò dalle pseudo-deformità anatomiche ai comportamenti maschili della partner “dominante”, quindi, dalla patologia fisica dell’identità di genere. L’attenzione su cosi posta sulla violazione delle norme di comportamento e dei ruoli di genere, i quali erano considerati biologicamente determinati.

Ciò che era stigmatizzato come perverso e riprovevole, non era tanto la pura preferenza sessuale di tipo omoerotico, quanto piuttosto l’adozione di comportamenti maschili. La partner femminile di una lesbica “mascolina” non violava i confini di genere, e per questo motivo più come pervertita era descritta quale “vittima” debole e manipolata.” (Abbatecola, 2002, pag. 234)

Questo brano è tratto dalla tesi:

Le parole per dirlo: parlare di omosessualità

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Informazioni tesi

  Autore: Ornella Marino
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi della Calabria
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Donatella Barazzetti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 87

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differenza di genere
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