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Il sistema dell'arte contemporanea e le dinamiche di mercato: la prospettiva italiana.

L’opera d’arte contemporanea è un bene di investimento?

L’arte risulta essere un tipo d’investimento del tutto particolare, basato esclusivamente sul Capital gain, ovvero sulla differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto. Infatti, se nel mercato finanziario le azioni permettono d’incassare annualmente un dividendo e i titoli di stato danno un interesse fisso, le opere d’arte non consentono entrate. Inoltre, a differenza di altri tipi di investimento, è necessario farsi carico di altri oneri come le spese di assicurazione o le spese bancarie, nel caso in cui le opere vengano sistemate nei caveaux delle banche. A differenza dell’investimento finanziario dove le azioni o le obbligazioni possono essere vendute in qualsiasi momento, il disinvestimento in arte non è immediato e può capitare che occorra un lasso di tempo piuttosto lungo per vendere un’opera, in quanto, la domanda e l’offerta devono incontrarsi in un mercato caratterizzato da forti fluttuazioni di prezzo e condizionato da fattori difficilmente prevedibili.

Tuttavia, ci sono eloquenti esempi che dimostrano che l’arte contemporanea può essere un buon investimento. Uno dei primi esempi è stato quello che per iniziativa di André Level, un uomo d’affari e collezionista francese, coinvolse agli inizi del Novecento a Parigi, dodici collezionisti investitori accomunati dai medesimi gusti e uniti in un’associazione denominata La pelle dell’orso.

Secondo gli accordi previsti dall’associazione, i componenti avrebbero versato una quota fissa annuale per un intero decennio, investendo il denaro in opere d’arte contemporanee e successivamente la collezione così raccolta, sarebbe stata venduta in un’asta pubblica. La vendita all’asta della collezione, si tenne a Parigi appunto dieci anni dopo la fondazione dell’associazione, il 2 marzo 1914, presso l’Hotel Drouot. Tra le molte opere di artisti oggi sconosciuti, ci furono anche dieci tele di Matisse, dodici di Picasso e una di Van Gogh. La serata di vendita fu un successo, alcune opere, una delle quali Les Bateleurs di Picasso, furono vendute a cifre addirittura dieci volte maggiori di quelle d’acquisto.

Mentre in tempi relativamente recenti, il primo investitore istituzionale di rilievo che abbia deciso di acquistare opere d’arte a scopo di investimento è stato il British Rail Pension Fund. Nel 1974, in un momento di grande depressione dei mercati finanziari e di inflazione della sterlina il responsabile del fondo pensione delle ferrovie britanniche, Christopher Lewin, ha deciso di investire in diversi settori artistici quaranta milioni di sterline (circa l’equivalente di duecento milioni di sterline attuali). Gli acquisti si sono orientati per il 18% sui dipinti di antichi maestri, disegni antichi per l’11%, opere impressioniste per il 10%, oggetti antichi, medievali e cinesi per il 27% e qualche opera di Picasso. Nel 1987 sono iniziate le vendite e uno dei dati rilevanti è che il fondo inglese ha ricevuto le maggiori soddisfazioni economiche proprio delle opere degli autori più vicini nel tempo, Picasso e il gruppo degli impressionisti. Ma nell’ambito artistico, non sono pochi i casi in cui l’investitore ha perso tutto perché l’artista prescelto è poi scomparso dal mercato. I fallimenti di fondi legati all’arte sono numerosi, negli anni Novanta la Banque National de Paris, la newyorkese Chase Manhattan Bank, la Morgan Grenfell e la giapponese Itoman Mortgage Corporation, persero tutte la maggior parte del denaro che avevano investito.
[…]
Gli studiosi dimostrano che, gli autori che hanno accusato le maggiori perdite sono quelli che al momento dell’acquisto erano molto di moda, ma che in seguito sono divenuti pressochè degli sconosciuti. Inoltre, anche nel caso di autori affermati, il valore di un’opera muta considerevolmente seguendo l’andamento ciclico del mercato che è strettamente connesso ai fattori di politica economica. A tale proposito, Angela Vettese prende in considerazione il celebre autoritratto che Picasso dipinse nel 1901, Yo Picasso, dal 1970 al 1989 è passato in asta per ben quattro volte, cosa che ci consente di valutarne gli sbalzi di valore: nel 1970 fu aggiudicato per 535.000 dollari; nel 1975 per 572.000 dollari; nel 1981 per 5.830.000 dollari; infine nel 1989 per 47.850.000 dollari. Si può osservare come chi abbia comprato l’opera nel 1970 per poi rivenderla nel 1975, in un momento di grande depressione del mercato, tenendo conto dell’inflazione ha perduto il 4% all’anno. Al contrario chi l’ha acquistata nel 1981 rivendendola poi nel 1989 ha realizzato un notevole guadagno.

Un ulteriore elemento evidenziato dalla ricerca dei due studiosi è che il valore medio del tasso di rendimento reale, depurato dall’inflazione, è risultato dell’1,5% annuo, mentre lo stesso denaro investito in titoli di stato, quindi, in attività finanziarie, avrebbe reso il 3% annuo. Se ne conclude, in generale, che è pressochè impossibile, individuare una regola fissa e garantita che possa stabilire una scientificità del rendimento dell’investimento in arte. Sebbene oggi il mercato dell’arte, in particolare il valore delle opere moderne e contemporanee, abbia avuto dal 2000 al 2007 un incremento senza precedenti e una ripresa veloce dopo il 2009 sino all’attuale crisi, un parametro oggettivo per stabilire con esattezza quanto renda l’arte non è ancora stato individuato.

Da alcuni studi di settore è emerso che il mercato dell’arte segue l’andamento dell’economia mondiale. In generale i trend rialzisti e ribassisti sono in ritardo di circa sei mesi rispetto a quelli della borsa, soprattutto nel comparto dell’arte contemporanea, che di recente ha mostrato una capacità di reazione alla crisi più veloce nel ciclo economico e la tendenza al rialzo di un settore viene generalmente preceduta da grandi record di esemplari storici, spesso provenienti dalla vendita di collezioni private importanti. Tramite gli indici dei prezzi del mercato dell’arte è possibile sia valutare se le opere possiedono o meno un valore fondamentale (indicativo ma fondato) attorno a cui oscillano i prezzi, sia studiare le tendenze di lungo periodo, sia, infine, confrontare l’andamento del settore dell’arte e dei suoi comparti (in termini di periodi e tecnica) con quello degli altri mercati di investimento (finanziari, immobiliari).

Tuttavia, gli indici dei prezzi delle opere d’arte non possono essere calcolati ricorrendo a metodi simili a quelli usati per gli indici, ad esempio, finanziari. Infatti, le opere d’arte vengono scambiate con una frequenza molto inferiore rispetto alle azioni ed avendo una cerchia molto più ristretta di potenziali acquirenti hanno un grado di liquidabilità minore. La soluzione, secondo alcuni studiosi come Frey e Pommerehne è quella di elaborare indici molto specifici relativi a categorie di opere d’arte il più possibile ristrette ed omogenee: ad esempio una determinata corrente in un determinato intervallo temporale, scendendo eventualmente fino a singoli autori e ad alcune opere, i cui prezzi si ritengano particolarmente significativi.

Quando il grado di liquidabilità raggiunge un livello molto alto significa che c’è una grande richiesta di quell’opera o di quell’artista da parte del mercato.

Alla fine questi indici dei prezzi consentono di monitorare costantemente l’andamento del mercato dell’arte e risultano essere uno strumento di valutazione dei rendimenti ottenuti nell’investimento in opere d’arte. L’analisi eseguita da Frey e Pommerehne consultabile nel testo Muse e mercati: indagine sull’economia dell’arte, si è avvalsa dell’indice relativo al metodo della doppia vendita. Questo si basa sulla constatazione che ogni opera è unica e considera solo le variazioni dei prezzi della medesima opera rilevati in vendite successive. Un indice di primaria importanza è quello utilizzato da Artprice, che si avvale del metodo della regressione edonica. Questo ipotizza che la dinamica del prezzo di un’opera d’arte sia costituita dall’andamento complessivo del mercato mediato per l’effetto esercitato dalle numerose caratteristiche (l’artista, il soggetto, la tecnica, il periodo, la dimensione) che identificano l’opera e ne fanno un pezzo unico. L’indice in pratica prende in considerazione tutte le caratteristiche distintive di un lavoro, attribuendo a ciascuna un valore, la loro somma costituirebbe il prezzo complessivo dell’opera. L’indice relativo al metodo dei testimoni privilegiati è quello sul quale si basa il Sotheby’s Art Index.

Questo indice dei prezzi tiene conto delle stime espresse da un’équipe di esperti d’arte per un campione di opere battute in asta. Gli esperti estraggono un campione arbitrariamente rappresentativo del mercato da analizzare, tra le opere che in un determinato periodo sono state vendute. Di questo campione si calcola il prezzo medio e, su questa base, si valuta l’andamento del mercato. Infine, l’indice che utilizza il metodo del rapporto prezzo/stima proposto dagli economisti Guido Candela e Antonello Scorcu, utilizza la stima dell’opera, un’informazione presente in tutti i cataloghi d’asta. L’indice viene costruito partendo dal rapporto tra il prezzo di aggiudicazione e la stima. In sintesi, quindi, il mercato registrerà un andamento positivo quando le opere vengono vendute a prezzi superiori alle stime. Al di là di tali tecnicismi di natura prettamente economica, elementi rilevanti che emergono dagli esempi visti è che la passione, la curiosità e l’informazione possono giocare un ruolo fondamentale nell’investimento in arte.

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Il sistema dell'arte contemporanea e le dinamiche di mercato: la prospettiva italiana.

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Informazioni tesi

  Autore: Saveria Colosimo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2014-15
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Scienze storico-artistiche
  Relatore: Francesca Gallo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 96

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