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L’Operazione Piombo fuso alla luce del diritto internazionale umanitario

L’uso di civili come scudi umani

"I colpi delle IDF devono essere rivolti solo contro obiettivi militari e combattenti. È assolutamente proibito colpire intenzionalmente i civili o obiettivi civili".108
Amnesty Interational e la Missione Goldstone, grazie ai rispettivi documenti, hanno dimostrato che i soldati israeliani hanno colpito intenzionalmente civili.109
Durante l'operazione Piombo Fuso le forze israeliane hanno ripetutamente preso il controllo delle case palestinesi nella Striscia di Gaza costringendo le famiglie a rimanere in una stanza al piano terra mentre utilizzavano il resto della loro casa come base militare e come postazione da cecchino. Oltre a questo, hanno utilizzato le persone delle famiglie, sia adulti e bambini, come "scudi umani" mettendoli a rischio.
Mentre i soldati indossavano armature ed elmi protettivi e hanno creato barriere con sacchi di sabbia mentre sparavano dalle case, gli abitanti palestinesi delle case non avevano nessun tipo protezione ed erano ridotti alla fame e sete in precarie e malsane condizioni igieniche.
Anche se decine di migliaia di persone hanno lasciato le loro case, la maggior parte non poteva farlo perché non avevano un posto dove andare. Altri sono rimasti a proteggere la loro proprietà, temendo che se avessero lasciato le loro case vuote; queste ultime sarebbero state presto distrutte dall’esercito israeliano oppure sarebbero state utilizzate da militanti armati di Israele o di Hamas . Il primo giorno di Operazione Piombo fuso, nella prima ora dell’offensiva, le forze israeliane hanno bombardato più di 240 obiettivi in tutta Gaza, la maggior parte dei quali in aree residenziali densamente popolate. Ciò ha portato a un numero di vittime elevato solamente il primo giorno di Operazione rispetto a tutte le altre operazioni condotte in passato. I bombardamenti sono iniziati senza preavviso verso le 11.30 quando le strade erano piene di civili, compresi i bambini che stavano lasciano la scuola alla fine delle lezioni per fare entrare coloro che avevano il secondo turno.
La paura e l’idea che le case vuote sarebbero state distrutte; la notizia che i civili siano stati uccisi durante la fuga, usati come scudo umano o uccisi nei luoghi in cui avevano cercato rifugio, nelle case dei loro parenti oppure anche nei rifugi delle Nazioni Unite, ha portato quel senso di insicurezza e la convinzione che nessuna zona di Gaza potrebbe essere considerata sicura.
Delle numerose vittime durante questi raid, spesso si trattava di gruppi di persone a cui veniva sparato mentre cercavano di lasciare le proprie case per andare verso Gaza City o Rafah. Queste persone non rappresentavano una minaccia per i soldati, che già controllavano l’area circostante. Le IDF erano perfettamente consapevoli di aver davanti dei civili e non dei combattenti. Il lato più tragico è che la maggior parte di questi civili già li conoscevano, perché con loro avevano parlato e, spesso, erano stati proprio gli stessi soldati a ordinare loro di andarsene. Altre volte i civili si muovevano agitando appositamente bandiere bianche in aree dove in quel momento non c’erano combattimenti, semplicemente perché gli era stato detto di lasciare la zona. In queste occasioni non solo uomini, ma anche donne e soprattutto molti bambini sono stati uccisi durante questi attacchi. Infatti, i civili venivano colpiti in modo da causare una morte lenta e dolorosa. (vedi sottoparagrafo 2.5 caso della famiglia Abed Rabbo)
Questo è il caso di Iyad al-Samouni. Gli spari sembravano pensati non per ucciderlo ma per impedirgli di fuggire. Era quasi come se fosse un sadico gioco. Le IDF, minacciando con le armi la sua famiglia e i suoi amici che erano con lui, hanno impedito che ricevesse cure mediche e, di conseguenza, l’hanno lasciato morire dissanguato. (vedi sottoparagrafo 2.5)
Secondo varie testimonianze, in diversi casi le forze militari israeliane hanno costretto i civili palestinesi disarmati (per lo più erano tutti adulti ma in due casi anche bambini) a essere considerati "scudi umani" e con forza tra cui farli camminare di fronte a soldati armati; andare in edifici per controllare se ci fossero delle trappole esplosive o uomini armati nascosti; e ispezionare oggetti sospetti che contenevano secondo le loro parole esplosivi e armi . Queste pratiche non sono nuove poiché diversi casi si erano verificati anche prima dell’Operazione Piombo Fuso.

Secondo l'articolo 28 della Quarta Convenzione di Ginevra, "La presenza di un protetto persona non può essere utilizzato per rendere determinati punti o aree immuni da operazioni militari."
Il divieto di utilizzare "scudi umani" è ulteriormente chiarito nell'articolo 51 del Protocollo aggiuntivo alle convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 e ripetuto anche nel I protocollo addizionale del 1977 inerente alla sezione Protezione delle vittime di conflitti armati internazionali. "Le parti in conflitto non devono dirigere il movimento della popolazione civile o dei singoli cittadini al fine di tentare di proteggere gli obiettivi militari dagli attacchi o di proteggere i militari operazioni."
Un altro caso in cui i civili sono stati usati come scudo umano è sicuramente quello che riguarda i membri della famiglia Jouha, intervistati separatamente da Amnesty International.
Yousef Abu Ida Jouha (conosciuto anche come Abu Abdallah Jouha), e sua moglie Leila e i loro nove figli di età compresa tra i 4 e 22 anni, erano nella loro casa di Hay al- Salam, ad est di Jabalya. I soldati israeliani hanno occupato la loro casa e hanno usato la famiglia Jouha e altre famiglie vicine come "scudi umani" per due giorni, mentre hanno usato la casa come un avamposto militare.
Successivamente hanno, con la forza, condotto i sopravvissuti fuori e poi hanno distrutto la casa.
Abu Abdallah Jouha ha detto ad Amnesty International: "Verso le 10.30 del 5 gennaio un gruppo di soldati è entrato nella nostra casa, e hanno chiuso tutti noi nel seminterrato, mentre loro sono andati di sopra. Hanno preso il nostro cellulare e gli altri telefoni e non ci hanno permesso di spostarci dal luogo in cui ci hanno confinato. Hanno preso tutte le coperte e materassi. Non avevamo né cibo e nemmeno acqua potabile. I bambini erano spaventati, freddi, affamati e assetati ma non avevamo niente. Siamo stati tenuti così per due giorni. Abbiamo sentito i soldati ridere e sparare di sopra. Dopo un giorno, i bambini più piccoli erano disperati per l'acqua e ho preso un po' di acqua che rimaneva nella cisterna della toilette per darla a loro; non c'era nessun ‘altra alternativa. Dopo due giorni, la mattina del 7 gennaio, i soldati ci hanno buttato fuori dal nostro” rifugio” e ci hanno condotti fuori casa. Ho chiesto di andare di sopra a prendere alcuni vestiti e scarpe, ma non ci hanno permesso di farlo intimandoci con le armi. Ci hanno lasciati a piedi nudi e con solo quello che indossavamo prima che i soldati israeliani avevano occupato nella nostra casa due giorni prima."…… La casa è stata in seguito distrutta"110



108 R. Goldstone, Op.Cit., pag.198
109 R. Goldstone, Op. Cit., pagg. 218-221)
110 Da Abu Abdallah Jouha ’s testimony to the Israeli NGO B’Tselem e Amnesty International First published in 2009 by Amnesty International Publications International Secretariat Peter Benenson House 1 Easton Street London WC1X 0DWUnited Kingdom www.amnesty.org From Pdf© AMNESTY

Questo brano è tratto dalla tesi:

L’Operazione Piombo fuso alla luce del diritto internazionale umanitario

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Informazioni tesi

  Autore: Andrea de Felice
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2020-21
  Università: Università Telematica Pegaso
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Giurisprudenza
  Relatore: Catello Avenia
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 197

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Parole chiave

diritto internazionale
amnesty international
piombo fuso
israele e palestina
armi non convenzionali

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