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La Scrittura Collettiva nei Laboratori di Scrittura e Teatro

L'animateur e il laboratorio

Nel Novecento si assiste, come abbiamo visto, al passaggio dal teatro di regia - in cui ancora la figura del regista ha un ruolo direttivo importante - al teatro di gruppo, quello in cui cioè il regista non è autore del prodotto finale ma è più un conduttore, un trainer che guida il gruppo secondo una metodologia capace di lasciar emergere quanto più dagli attori.
Frutto di talento e allenamento è la competenza artistico-relazionale del conduttore.
Perciò Peter Brook ebbe a dire che il regista è più simile ad un animateur che ad un directeur: qualcuno che ha capacità di vedere e di ascoltare ogni dettaglio e da questa particolare sensibilità attiva trovare i modi per dare anima alla creazione scenica. L’animateur è tale sin dalla fase di ideazione del progetto in cui sono necessarie capacità di analisi ed immaginative per individuare una proposta che costituisca un’idea guida per la successiva fase di progettazione.
Il suo maggior compito, però, lo svolge nel laboratorio. Esso è «l’ambiente che presenta le migliori opportunità di sviluppo o di ricostruzione del rapporto psicofisico con sé e con gli altri», dove attraverso il training, l’improvvisazione, il gioco si stimola l’universo creativo. «È nel giocare che l’individuo è in grado di essere creativo e di fare uso dell’intera personalità, ed è solo nell’essere creativo che l’individuo scopre il sé».
I primi incontri servono al trainer per impregnare di realtà il progetto che si era fatto, in modo da poterlo declinare a quella specifica realtà che ha davanti. La conoscenza è l’obiettivo di questa fase iniziale; conoscenza anche fra le persone e creazione di una dimensione di fiducia e libertà. Il conduttore qui si serve frequentemente di giochi poiché mentre da un lato sono una forma di scarico e di rigenerazione emotiva e psicofisica, dall’altro aiutano a far emergere naturalmente “abitudini” personali o di gruppo - senso cinestesico e posture, ma anche dinamiche interne. Questi elementi costitutivi orienteranno decisivamente i passi successivi del lavoro, cioè le proposte di esplorazione drammaturgica e creazione scenica.
Per accompagnare gli allievi in un’avventura reale, che permetta cioè di mettersi alla ricerca, il trainer può usare la tecnica del problem-solving, che consiste appunto nel dare problemi da risolvere. Il conduttore rimane aperto alle diverse possibilità risolutive della questione, cosa che libera i partecipanti dal cercare l’approvazione del trainer e ad allontanarsi dai soliti confini per aprirsi alle proprie risorse e proprio potenziale. In tal modo tutto il gruppo, sebbene sia formato da persone anche molto diverse, si ritrova insieme verso la strada comune nel provare a risolvere il problema dato.
Quest’ultimo dev’essere presentato nella sua struttura in modo sintetico poiché sarà la pratica che ne metterà in luce aspetti del suo fare. I partecipanti, ognuno con il proprio tempo, sperimenteranno e se troveranno qualche difficoltà cercheranno delle soluzioni. Il conduttore sta in mezzo al gruppo come colui che assiste in diretta e partecipando allo sforzo collettivo di risolvere il problema si trasforma in un compagno di gioco con un ruolo diverso da quello di regista.
In tutto ciò, conduzione è “dare attenzione”, a partire dallo spazio di lavoro e dai segni che porta, fino a soffermarsi sulle dinamiche personali e di gruppo che si manifestano durante il lavoro, per far mantenere la concentrazione e sostenere la ricerca personale. L’energia del conduttore, cioè «l’intensità dell’attenzione del regista a ciò che gli attori stanno facendo, più l’uso di ogni abilità a cui possa fare appello», sprona di conseguenza gli attori ad espandersi, a scendere più profondamente dentro se stessi. Il principio è quello di pensare che la persona, “il terreno è già seminato, il seme è già lì”. La sapienza del conduttore sta nel sapere e nell’intuire quanti stimoli dare e di che genere, quando e come.
Le lenti del conduttore devono essere, però, dotate di focali capace di comprendere la dimensione socio-affettiva del gruppo e quella teatrale, ricordando che, anche se la prima è molto importante, ai fine della performance assume una valenza fondamentale anche l’altra lente. Lo spettacolo, chiaramente non è né il fine né la fine del progetto, è semmai quella che viene chiamata fase comunicativa, quella in cui il gruppo sente di dover aprire la propria esperienza alla comunità - anche se spesso è l’istituzione, che sostiene finanziariamente il progetto, a spingere affinché questo momento pubblico avvenga comunque ed entro tempi che rispettano più le proprie esigenze. Le competenze artistiche sono perciò fondamentali, così che il processo di TS possa interrogare e supportare processi di empowerment veri e propri.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La Scrittura Collettiva nei Laboratori di Scrittura e Teatro

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Informazioni tesi

  Autore: Rosalba Scaturro
  Tipo: Tesi di Master
Master in Teatro nel Sociale e Drammaterapia
Anno: 2011
Docente/Relatore: Michele Cavallo
Istituito da: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 62

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Parole chiave

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