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Come gestire l'ansia nella prestazione sportiva

L'ansia da prestazione nel pugilato

Un modello che comprende tutte le caratteristiche della relazione tra ansia da prestazione e rendimento sportivo è quello proposto da Smith e Moll (1990), il quale asserisce che durante una competizione sportiva, l'atleta tende a effettuare una valutazione cognitiva dello squilibrio percepito tra le proprie risorse e le richieste dell'incontro, nonché delle sue conseguenze e del loro significato.

Questa valutazione cognitiva ha un effetto bidirezionale sull'arousal fisiologico, ovvero sul livello di eccitazione dell'organismo, poiché l'individuo trae indicazioni sul proprio stato di forma e di fiducia dall'organismo e, allo stesso tempo, invia all'organismo segnali di fiducia o di sfiducia in relazione alla possibilità di poter eseguire una buona performance.

Successivamente, Hanin (1997) ha proposto il Modello della Zona di Funzionamento Ottimale, che applica i principi della curva di Yerkes e Dodson alle competizioni sportive, sottolineando come ogni individuo presenti una propria zona di equilibrio tra eccitazione e ansia da prestazione sportiva, sul quale è possibile lavorare per gestire l'ansia in eccesso e per incrementare lo stato di eccitazione qualora esso non fosse sufficiente a stimolare l'arousal dell'organismo e predisporlo a disputare una buona gara.

Attualmente, dunque, il modello che descrive il rapporto tra ansia da prestazione e rendimento sportivo è multidimensionale e strettamente connesso alla percezione soggettiva della persona. Accanto ad essa, possono manifestarsi condizioni simili, come l'ansia competitiva, l'ansia somatica e l'ansia post-competizione, che influenzano anch'esse la performance e presentano una correlazione con un accresciuto rischio di infortuni, probabilmente a causa dei loro effetti sulla concentrazione e il tono muscolare dell'atleta (Ford et al., 2017).

D'altra parte, può essere difficile, in situazioni di ansia anche giustificata, modulare in modo corretto le emozioni. Questo può essere particolarmente vero nel caso del pugilato, che presenta molti degli aspetti in comune con gli sport individuali, tra cui la paura di fallire, la paura di essere giudicati e di deludere gli altri, la paura di non essere abbastanza concentrati e focalizzati sull'obiettivo, senza il fattore di protezione costituito dal far parte di una squadra.

Si configurano inoltre degli stressor peculiari, legati al contesto del ring, che possono incrementare il senso di ansia e influenzare la performance.

A sua volta, infatti, l'ansia da prestazione può determinare una maggiore difficoltà nell'applicare le strategie e le tecniche apprese. Come evidenziato da uno studio condotto su 756 atleti, tra cui alcuni pugili, l'ansia da prestazione è maggiore negli sport individuali e nelle competizioni durante le quali l'atleta è chiamato a vincere il singolo incontro, senza avere possibilità di recuperare dalla sconfitta, poiché aumentano le responsabilità legate alla vittoria e le ricadute negative della sconfitta (Pluhar, McCracken, Griffith, Christino, Sugimoto & Meehan, 2019).

L'ansia da prestazione in ambito sportivo ha un effetto circolare, poiché essa, cominciando prima della performance, può influenzarla fin da subito, determinando una “falsa partenza” per il pugile, il quale, cominciando male, tende a entrare in uno stato di stress e agitazione ulteriore, che lo porta a mettere in dubbio le proprie capacità e può rendere più difficoltoso il recupero della lucidità e della concentrazione, condizionando l'incontro. Nel caso del pugilato, a ciò si aggiungono anche i rischi per la salute connessi a una scarsa preparazione e concentrazione, che amplificano lo stato soggettivo di ansia, anche quando il pugile normalmente non ha paura di ricevere i colpi.

Inoltre, durante gli incontri di pugilato, è necessario saper gestire, oltre all'ansia e allo stress, anche l'adrenalina che investe inevitabilmente il pugile quando viene colpito, per effetto di meccanismi neurofisiologici automatici, difficili da modulare soprattutto quando l'incontro si protrae.

Una eccessiva adrenalina, alla cui produzione partecipa anche l'ansia da prestazione, può arrivare a influenzare a diversi livelli la performance del pugile, rendendo meno sciolti i suoi movimenti, meno reattiva la risposta agli input del cervello, incrementando eccessivamente la pressione sanguigna, producendo nausea ed eccessiva sudorazione.

Ancora, l'ansia e l'adrenalina influenzano la respirazione del pugile e, indirettamente, il funzionamento cardiovascolare, processi fondamentali durante la performance, tipicamente anaerobica, dello sportivo. A ciò possono associarsi pensieri negativi e auto-svalutanti, stimolati anche dallo stato in cui si trova il corpo.

L'adrenalina può infine innescare la risposta di attacco-o-fuga che, tuttavia, è automatica e non tiene conto delle strategie apprese dall'atleta, dunque anche quando egli sceglie di entrare nella modalità di attacco, può essere influenzato negativamente dal proprio stato mentale, risentendone sul piano dell'efficacia dei colpi portati all'avversario, del risparmio dell'energia e della tenuta della difesa (De Lira, Peixinho-Pena, Vancini, Fachina, Almeida, Andrade & da Silva, 2013).

Questo brano è tratto dalla tesi:

Come gestire l'ansia nella prestazione sportiva

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Informazioni tesi

  Autore: Marco Valdettaro
  Tipo: Tesi di Master
Master in Psicologia dello Sport
Anno: 2020
Docente/Relatore: Aldo Grauso
Istituito da: Università degli Studi Niccolò Cusano - Telematica Roma
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 54

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Parole chiave

sport
ansia
boxe
pugilato
prestazione
combattimento
mental training
ring

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