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Il corpo: segno identitario e universale nel lavoro di Ana Mendieta. Dalla mimetizzazione nella natura al corpo quale identità collettiva nell'opera di Regina Josè Galindo.

L'eredità di Mendieta negli anni '90

Dopo la morte di Mendieta, 1985, la sua influenza si rintraccia anche nelle successive generazioni di artisti, fuori e dentro l'isola. Fu di grande ispirazione per la collettiva di artisti cubani della Galleria DUPP che miravano alla creazione di un’arte sociale che riuscisse a integrare vita quotidiana e spazio vitale -nel 1977 realizzarono siluetas finte nei suoi luoghi di lavoro per evocare presenza e memoria dell’artista. Gli echi del suo approccio al femminile e il suo rapporto con natura e identità è rintracciato anche nelle opere di altri artisti emersi negli anni ’90, tra cui Janine Antoni (1964), che già nei primi lavori evolve un approccio alla scultura radicata nella performance, la quale presenta forte corrispondenza con i lavori di Mendieta. In Eureka (1993) l’interesse e l’attenzione di Antoni per l’assenza e presenza del corpo è parallelo alle siluetas; invece in Loving Care, sempre del 1993, reinterpreta i dipinti antropometrici di Yves Klein secondo quello che è stato l'approccio di Mendieta in Body Tracks.
Le fotografie degli anni '90 di Naomi Fisher Cibachrome, nella quale corpi si trovano a faccia in giù in un paesaggio tropicale, rivelano un'integrazione alla natura simile alle siluetas di Mendieta. In Flora Assy (1999) fiori rossi crescono
dal corpo e, a differenza della performance Imagen de Yagul (1973) di Mendieta, in cui si innestano significati molteplici legati a culture primitive e il corpo è nudo, i personaggi di Fisher indossano generalmente abiti contemporanei. Queste immagini trasmettono implicitamente l'idea di un corpo violato e, anche se si possono osservare analogie formali tra le opere delle due artiste, il carattere psicologico delle immagini di Fisher si discosta dalle narrazioni oggettive e universali di Mendieta. Anche Lorna Simpson (1960) si rivolge al tema identitario messo in discussione da Mendieta già nelle prime performance universitarie del 1972; infatti quest'artista si aggancia alle dinamiche legate alla globalizzazione e alla discriminazione sugli afro-americani e, nei lavori degli anni '80-'90, utilizza i corpi di modelli anonimi per riferirsi all'archetipo simbolico della donna afro-americana. In Guarded Conditions (1989) Simpson presenta l'immagine di una donna ripresa di spalle, ripetuta sei volta, con le braccia dietro la schiena, e sotto questa si ripetono due scritte: Sex Attacks e Skin Attacks.
Non sorprende quindi che l'arte Menideta sia stata al centro dell'arte e della critica culturale di autori come Jane Blocker, Gerardo Mosquera e Irit Rogoff, che dal 1990 si sono concentrati per rivelare gli stereotipi razziali e culturali, affrontando l'impatto del globalismo sulla produzione culturale e comprendendo l'importanza delle storie di diverse nazioni e culture sull'evoluzione della cultura contemporanea mondiale. Questi autori riconoscono Mendieta come l'esempio di un'artista impegnata socialmente, le cui opere del 1970 anticipano da quasi due decenni molti di questi discorsi teorici e il cui approccio continua ad avere rilevanza per chi si è interessato alle costruzioni identitarie di chi ha preservato aspetti di storie individuali e culturali.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il corpo: segno identitario e universale nel lavoro di Ana Mendieta. Dalla mimetizzazione nella natura al corpo quale identità collettiva nell'opera di Regina Josè Galindo.

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Informazioni tesi

  Autore: Antonia Ania Giorno
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2012-13
  Università: Accademia di Belle Arti di Brera
  Facoltà: Arti Visive
  Corso: Pittura
  Relatore: Romano Gasparotti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 105

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Parole chiave

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mimetizzazione
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