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Viaggio nell'uomo attraverso l'Espèce humaine: ''l'écriture par images'' di Robert Antelme

L'inumano di Robert Antelme, ovvero il ''non-umano''

"C’est du pain humain". Questa affermazione di Robert Antelme fa parte di uno degli innumerevoli episodi del suo racconto. Ma, qual è il limite? Cosa è umano e cosa no?
La frase si riferisce ad un gesto altruista, rarissimo nel campo, di una donna tedesca che, nella fabbrica dove detenuti e civili lavoravano insieme, regala a Robert un pezzo di pane bianco (è opportuno precisare che il pane destinato ai detenuti aveva l’aspetto di un cubetto spugnoso grigio che formava una specie di gomma da masticare una volta in bocca). Il gesto della donna scatena in Robert una serie di riflessioni e una decisione molto importante da prendere: lo mangio, o no? Questo dilemma scaturisce proprio dal significato che quel pezzo di pane umano acquisisce.
Anzitutto, perché umano? In un primo momento, il motivo principale può essere individuato nell’esteriorità dell’alimento: “Mie et croûte; c’est de l’or”.
Ma, il valore che Robert attribuisce a questo pane va molto oltre quello che per lui significa il pane “de l’usine de Buchenwald, du pain travail= schlague= sommeil”. Tale è il significato della parola pane per un detenuto: lavoropunizione (precisamente colpi di verga)- sonno; solo dopo tutto questo, arriva il pane. Ma non si tratta del pane bianco, mollica e crosta, è il pane dei prigionieri, grigiastro e spugnoso, che si trasforma in poltiglia quando lo si mastica. A maggior ragione, dunque, il pane che la donna regala a Robert è umano. Viene regalato, donato. Esso non implica alcuna punizione: per quel bel pezzo di pane, non si sono subiti interminabili colpi di verga sulla schiena, non si è sofferto il sonno, non si è lavorato duramente. Quel pane lo si è ricevuto e basta. Ecco l’inevitabile aggettivo di Robert: questo sì che è del pane, pane umano: “ça craque”.
Ma, cosa fare ora di questo pezzo di pane? Il semplice atto di mangiarlo diventa a questo punto un imperativo; è un dovere morale: “Il faut le manger”.
E’ un dovere morale per la sopravvivenza, un dovere nei confronti delle S.S. che non devono assolutamente scoprirlo. Questo dovere diventa infine ancora più forte nei confronti dei compagni: loro non hanno ricevuto niente. Sembra quasi che, attraverso questo pezzo di pane, Antelme abbia stabilito un contatto con ciò che è umano.
Il pezzo di pane viene perciò identificato con l’umanità stessa e mangiarlo diventa quindi un’imposizione benché egli voglia al contrario poterlo conservare.
Una volta compiuto questo atto, anche umano sparirà.
Significa allora che, per contrasto, l’altro pane, l’altro lavoro, l’altro sonno appartengano alla sfera dell’inumano? Questo può davvero voler dire che tutto l’ambiente vissuto dall’altra parte del barbelé sia da definire inumano? L’unica risposta possibile, per quanto paradossale possa sembrare, è no.
In questo racconto della sua esperienza a Gandresheim, Antelme cerca proprio di trasmettere al lettore tale messaggio: tutto ciò che è accaduto appartiene solo ed esclusivamente all’uomo. Leggendo il libro, ci si trova di fronte ad un chiaro tentativo di autodistruzione dell’uomo da parte di tutti gli uomini, sia da parte di quelli che hanno operato inconsapevolmente o consapevolmente a tale scopo, sia da parte di coloro che invece hanno fatto finta di non accorgersi, di non vedere, di non capire o che, magari, non hanno veramente capito. Tale affermazione si riferisce soprattutto all’esempio fornito da Claude Lanzmann attraverso le numerose testimonianze che hanno dato alla luce ad uno dei più realistici film sull’olocausto nazista: Shoah. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Viaggio nell'uomo attraverso l'Espèce humaine: ''l'écriture par images'' di Robert Antelme

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Informazioni tesi

  Autore: Elena Zampini
  Tipo: Tesi di Laurea
  Anno: 2002-03
  Università: Università degli Studi di Verona
  Facoltà: Lingue e Letterature Straniere
  Corso: Lingue e Letterature Straniere
  Relatore: Stefano Genetti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 123

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