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Per la città inclusiva: pianificazione urbana femminista del caso di Barcellona

La città della cura: pianificazione urbanistica di genere

L’urbanistica è la disciplina che studia gli insediamenti umani nel territorio e ha come obiettivo quello di intervenire nelle realtà urbane per trasformarle. Attraverso la pianificazione di tali trasformazioni l’impiego della pianificazione dev’essere volto a conseguire buone condizioni di vita per le persone che abitano gli spazi urbani.
Attraverso il disegno urbano degli spazi pubblici la città dev’essere in grado di garantire uguali opportunità a tutti i cittadini, nel compito di prevenire, ridurre ed eliminare le disuguaglianze, che possono avere ripercussioni sulla vita della popolazione, e in particolare su quei gruppi sociali ritenuti vulnerabili che purtroppo sperimentano quotidianamente una restrizione delle proprie opportunità e diritti nello spazio urbano.
Per quanto riguarda le donne, testimoni in prima persona di queste disuguaglianze, già da tempo si argomenta la loro sottomissione da parte del genere maschile, una disuguaglianza riscontrabile a livello simbolico e dispositivo anche nella pianificazione delle città.
Gruppi femministi nel tempo hanno trattato di rivendicare non solo la posizione delle donne nella società, ma anche all’interno dell’ambito urbano, postulando la necessità di incorporare la prospettiva di genere nella pianificazione al fine di costruire città più inclusive per tutte e tutti.

Gli studi femministi: i precedenti dell’urbanistica di genere
Negli ultimi decenni del XX secolo, intellettuali nel campo della geografia, dell'architettura e dell'urbanistica, a cavallo interdisciplinare tra sociologia e studi urbani e di genere, hanno iniziato a riflettere sul rapporto tra le donne e gli spazi urbani; le loro analisi e proposte costituiscono la base di quello che oggi chiamiamo urbanistica femminista. (Pérez Sanz, 2013).
A partire dagli anni ‘70 del Novecento in Europa l’ondata del movimento femminista si caratterizza come una rivendicazione all’uguaglianza fondata su alcune domande principali: quella della non oggettivizzazione, del rispetto e di una maggiore sicurezza per le donne, in una cornice più ampia di richiamo ad un diritto di decisione rispetto ai propri corpi, da sempre sessualizzati, oggettivizzati e violati (Col·lectiu Punt 6, 2019).
In quegli anni alcune studiose europee e statunitensi, principalmente provenienti dal contesto anglosassone, cominciarono a porre luce sul rapporto dialogico che lega le donne, il loro corpo e la dimensione spaziale, recuperando a partire dalla geografia la critica al pregiudizio di genere applicata all’organizzazione e all’uso dello spazio urbano.
“Negli anni ’70 la riemersione del movimento femminista in Europa tematizza la relazione tra città e donne: se l’infrastruttura della città è pensata solo per alcuni soggetti le donne hanno bisogno di imporre contro-geografie spaziali, ricostruendo – dove non c’è – il luogo per vivere, esistere, resistere.” (Bonu, 2020)
Nel 1973 si pubblicarono per la prima volta due articoli nella rivista geografica Antipode firmati per due geografe che riflettevano sulla vita delle donne nelle aree urbane (Ortiz Guitart A., 2007, p. 13): applicando una visione prettamente marxista, Pat Burnett e Irene Bruegel criticavano i modelli morfologici di crescita urbana, definendoli limitati, poiché realizzavano un’analisi inadeguata dei cambi sociali e della relazione della geografia con il genere.
Dopo cinque anni si pubblicò nella rivista International Journal of Urban and Regional Research il primo numero monografico rispetto all’esperienza delle donne in città: si componeva di un insieme di articoli redatti da sociologhe e geografe urbane che incentravano i loro lavori su diversi temi, tra i quali il lavoro domestico condotto dalle donne, la mobilità e il trasporto pubblico cittadino, il ruolo delle donne nei movimenti sociali… Ma si dovrà attendere fino agli anni ’80 del secolo scorso per veder fiorire una letteratura che riflette sui temi urbani con una prospettiva di genere a partire dalle analisi di architette, urbanistiche e attiviste femministe, tra le quali Dolores Hayden, Linda McDowell e Jane Jacobs, autrici che a partire dell’analisi delle condizioni urbane proposero idee che si sarebbero affermate in maniera molto influente: come la necessità di costruire città policentriche, potenziare le reti di cooperazione nei quartieri o la creazione di meccanismi per frenare la speculazione urbanistica (Pérez Sans P., 2013, p.96).
Questa fase della teoria femminista non si limitava a “visibilizzare le donne” urbane (Ortiz Guitart A., 2007, p. 13), piuttosto si fondò sul riesame delle categorie sociali da un punto di vista di genere costituendo un vero e proprio attacco all’androcentrismo, fondatore dei modelli urbani dominanti: partendo dall’analisi delle differenze della quotidianità della vita dei diversi attori urbani, la critica femminista apportava – e continua ad apportare - un contributo essenziale poiché sfida fortemente la visione per la quale si è imposto il ruolo di
genere maschile come universale, uno “standard”, che ha costruito socialmente gli spazi a partire da un’omogeneizzazione delle esperienze di vita e della società.
Partendo dalla geografia, estendendosi poi agli ambiti dell’architettura, dell’urbanistica e della sociologia, numerose femministe hanno dimostrato, a partire dalle loro esperienze di vita, come la pianificazione urbana non è neutra: il modello di città in cui viviamo, infatti, si è sviluppato sulla base dei ruoli di genere imposti e sulla della divisione sessuale del lavoro, che ha prodotto uno schema dicotomico tra spazio pubblico e privato, separando queste due sfere, quella produttiva e la riproduttiva, rendendole indipendenti e impenetrabili.
In questo modo le attività riproduttive e di cura sono state rese invisibili perché assegnate allo spazio privato e non retribuito, lontano dalla sfera pubblica: attraverso la lente femminista è possibile vedere come il disegno di questi spazi urbani possa generare disuguaglianze tra le persone quando i bisogni relativi ai compiti di cura non sono presi in considerazione.
L'esclusione delle donne dallo spazio collettivo ha quindi origine da questa divisione duale, caratteristica occidentale, e si riflette in spazi che privilegiano le esigenze e le esperienze maschili. Oltre a smontare il patrimonio di saperi conosciuti e posizionati fino a quel momento, quello delle studiose femministe degli anni ’70 è stato un lavoro volto a porre i riflettori sull’esclusione delle conoscenze delle donne dall’epistemologia legata alle scienze sociali del diciannovesimo secolo: gli studi hanno argomentato come la storia è stata scritta da un punto di vista degli uomini, la classe dominante, escludendo le donne nel loro ruolo di “conoscitrici”.

Gli studi femministi contribuiscono con le loro critiche a rendere visibile l'importanza della vita quotidiana come dato essenziale da includere nella progettazione degli spazi urbani, ponendo le persone al centro e rendendo visibili le attività di riproduzione della vita. Pertanto, a partire dalle diverse discipline in campo urbano, si propone un cambiamento di metodologia per incorporare i dati della vita quotidiana attraverso le esperienze e la partecipazione delle donne, che sono state storicamente ignorate.
In questo senso, le femministe propongono una nuova forma di analisi volta a:
⁃ includere l’esperienza di vita quotidiana delle persone, applicando metodi partecipativi che incorporano la prospettiva di genere;
⁃ utilizzare metodi qualitativi per integrare i dati quantitativi;
⁃ donare valore all’esperienza personale e includere le esperienze delle donne come esperte del loro ambiente quotidiano;
⁃ applicare una prospettiva intersezionale che permetta conoscere i bisogni e le aspirazioni di tutta la popolazione.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Per la città inclusiva: pianificazione urbana femminista del caso di Barcellona

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Informazioni tesi

  Autore: Martina Botton
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2021-22
  Università: Università IUAV di Venezia
  Facoltà: Pianificazione del Territorio
  Corso: Culture del progetto
  Relatore: Elena Ostanel
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 153

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Parole chiave

pianificazione urbana
barcellona
inclusione
prospettiva di genere
intersezionalità
urbanistica femminista

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