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Roberto Benigni: analisi della comicità cinematografica. "La vita è bella" e "La tigre e la neve", uno sguardo critico all'attore-regista

La comicità di Benigni: analisi delle rappresentazioni

Improvvisazione e spettacolo
L’improvvisazione è un’arte che porta il comico toscano alla gloria. Rappresenta una capacità che a Roberto vien naturale, lui che fin dalla prima adolescenza era solito seguire i cosiddetti “contrasti” dei canti in ottave. L’apprendistato di Benigni è proprio questo, il canto “curioso”, o canto “a braccio”, ovvero una forma di poesia estemporanea di natura folklorica, scaturita dall’incontro di una tradizione orale trecentesca (cantari orali) con la letteratura cavalleresca cinquecentesca. In che cosa consiste? In “contrasti” poetici, ovvero sfide di poesie improvvisate tra contadini, ex contadini, operai e braccianti in luoghi informali come osterie di paese o in piazza (col tempo spostati in circoli semi-privati), solitamente durante le festività e le cerimonie di paese (l’identità della poesia a braccio è proprio la sua modalità festiva e carnevalesca come performance, il contrasto tra poeti, più che la sua parte discorsiva e degli enunciati). È una tradizione che viene quindi mantenuta da persone con un basso livello di scolarizzazione, ma con una notevole conoscenza della poesia italiana classica. Non sono tutti analfabeti: spesso leggono modelli classici e scrivono i loro poemi, accanto all’improvvisazione. Si chiama “canto in ottave”, in quanto la forma poetica è quella di otto endecasillabi (ABABABCC) cantati, ripresa appunto dalla forma poetica maggiore dell’epica cavalleresca (si pensi a Tasso ed Ariosto) e si dice “poesia estemporanea” perché è improvvisata: lo “scontro” consiste nel canto dell’ottava da parte di un contendente, seguito a ruota dall’altro, che deve iniziare l’ottava riprendendo la parola di chiusura del primo per fare la sua prima rima. Il tutto continua in genere per 6 ottave a testa, per poi passare ad un botta-risposta finale, dove si prosegue con delle rime alternate. Entrambe le prime ottave vengono definite “di saluto” mentre le finali “di congedo”; esse non seguono temi particolari, sono libere da vincoli rimaici stabiliti, mentre le altre seguono temi stabiliti dalla giuria (pubblico), spesso lirici, classici, politici e satirici (le tradizionali tematiche mitologiche emergevano solo ai limitati raduni dei poeti), con contrasti del tipo “il mare e la montagna”, “la donna grassa e la donna magra”, “la suocera e il marito”, “comunisti e democristiani”. La bravura della persona sta quindi nel “non far cadere la rima”, allacciandosi nel miglior modo a quella finale del compagno. È considerato scorretto mettere in difficoltà il compagno con un finale (rima) difficile, in modo tale da non permettergli la creazione di una nuova ottava; vince l’esecuzione, e quindi la fluidità, la vicinanza ai temi stabiliti, la qualità della voce, lo stile ed il lessico (su modello dell’epica cavalleresca). Benigni parte ad improvvisare proprio da questo, parte come improvvisatore in ottava rima, quando a soli sedici anni (il più giovane tra settantenni e ottantenni) diviene parte dei “Bernescanti”, i cantori “a braccio” chiamati così in onore del poeta Berni, loro maestro. Dice Roberto:

Quella è stata la prima forma di spettacolo. […] Le sfide tra poeti si facevano la sera, non in pubblico. Anche in privato si continuava, in macchina, al caffè, era come una droga. Negli spettacoli, accanto ai temi collaudati, io introdussi quelli della vita quotidiana. E i miei compagni me ne furono grati, perché la gente rideva.

Da lì la strada è in salita, si passa dalla recitazione teatrale a quella televisiva e poi cinematografica. Si può dire infatti che l’apprendistato di Benigni continua con il suo trasferimento a Roma. Dalle campagne toscane alla città. Ed è qui che emerge la recitazione non convenzionale di Benigni, soprattutto a partire dal Cioni Mario.
Risulta interessante il contributo teatrale sulla figura di Benigni attore, fondamentale per le sue rappresentazioni. Riprendendo la tematica principale di inizio capitolo, è consono fare riferimento alle tecniche di improvvisazione provenienti dal teatro. L’esempio incisivo lo si nota nelle rappresentazioni messe in atto da Benigni nel film Roberto Benigni: Tuttobenigni di Giuseppe Bertolucci, realizzato montando spezzoni delle performance del comico toscano durante una tournée dell’estate del 1983. Da cosa deriva la sua comicità? Sostiene Roberto:

Veramente io d’essere un comico non l’ho mai capito. Mi accorsi invece che quando la gente rideva io godevo parecchio.
E se la notte pensavo delle ottave, nel letto, era solo pregustandomi le risate del pubblico. C’era qualcosa, in queste risate, che mi faceva tentennare le scatole, muoveva le foglie. Gli occhi delle donne che brillano nel riso, lo sgangheramento del corpo, era come un avviluppamento.


I punti cardine della comicità degli show di Roberto balzano subito all’occhio dello spettatore. L’ironia è la chiave del suo spettacolo, con cui tinge canzoni, monologhi e dibattiti, caratterizzati da un linguaggio grottesco, trasgressivo, accostamenti inconsueti e frasi senza senso, e da uno storpiamento dei vocaboli; fattori che, nella maggior parte, vengono ripresi dalla poesia estemporanea. In realtà, più che di poesia “a braccio”, nelle performance del comico si può parlare, come afferma Andrea Cosentino, di “meta-discorsività poetica.” La sua produzione verbale è un parlato semplice, manca di fluidità, e le sue canzonette in rima, seppur improvvisate, presentano versi sciolti, liberi, trascurando l’endecasillabo, i temi e lo schema rimaico dell’ottava cavalleresca, che viene vista più come un gioco con il linguaggio per Benigni. Come dice Cosentino, quella di Roberto è una “meta-discorsività comica”: da un lato c’è la comicità parodica, satirica, e dall’altro la comicità clownesca, ovvero l’inadeguatezza del comico, come un vero e proprio clown, ad assumere su di sé un ruolo proposto. Nelle sue performance, quindi, lo spiazzamento è continuo e la sua maschera risulta indefinibile (se non, nei primi anni di recitazione, per l’identità fittizia del Cioni Mario). Si può dire che Benigni mette in scena il proprio sé quotidiano e questo, secondo Cosentino, “nasce innanzi tutto da un ragionevole ostinarsi del comico toscano a considerare ogni occasione pubblica come momento performativo, sia pure la finta informalità di una intervista televisiva.”
Oltre all’improvvisazione poetica e quella musicale, dove il pubblico fornisce proposte tematiche e titoli su richiesta del comico, un altro tipo di performance legata all’estemporaneità dell’esecuzione in cui si cimenta Benigni è quella della narrazione fabulatoria. Anche in questo caso, i temi, o meglio frasi-tema, vengono scelti dagli spettatori “a casaccio” e così facendo il comico, con la sua esperienza di poeta “a braccio”, instaura una sfida con il suo pubblico senza regole (di testo). Dichiara Benigni a tal proposito in un’intervista: “L’improvvisazione finale, quando mi dà il tema il pubblico, veniva dai cantori in ottave, solo che invece di farla in poesia io la facevo in prosa. A volte durava anche delle ore.” La costante di queste rappresentazioni non è altro che la cosiddetta “caduta della quarta parete”, ovvero il crollo della convenzione teatrale che instaura un muro fittizio tra la scena (dove l’azione viene rappresentata) e la platea (dove l’azione viene guardata). L’improvvisazione in versi, rime, ed in prosa segue quindi una medesima strategia, che è quella della preparazione della performance tramite la partecipazione del pubblico, a cui Benigni delega la scelta di più temi e parole chiave irrelati tra loro. Il pubblico diviene creatore di contenuto, interagendo con l’attore Benigni, che è continuamente pronto ad invocarlo e cercarne l’approvazione con degli “Eh” a fine enunciati, come se non fosse mai sazio. Dice “Di fronte alla risata violenta io mi sento spinto a fare di più, fino a strapparmi le radici delle melanzane dal corpo.” Il comico tiene spesso una posizione protesa in avanti, sul limite del palcoscenico, nel voler relazionarsi dialogando con il pubblico, oppure si dimena per tutto lo spazio scenico con lunghi passi e movimenti frenetici: l’intento è proprio quello di fare entrare sulla scena gli spettatori, virtualmente, più che uscire lui dalla “gabbia” del palco. Spiega: “Il teatro è la mia passionaccia. È sul palcoscenico che rendo di più. Mi viene meglio tutto, ci dò dentro, c’è caldo, si suda, si fa fatica, ma se uno ce la fa vien fuori l’anima.”
La comicità di Benigni nasce dal suo sfruttare delle convenzioni narrative per romperle, dal suo scombussolare la forma-narrazione, giocando a rovesciare il meccanismo di suspence e la connessione causale della narrazione. Vengono qui riportati due passaggi, esempi di quanto detto sopra, riguardo una narrazione fabulatoria improvvisata dal comico nel Tuttobenigni del 1983:

... passa uno che non avevano mai visto... infatti non lo salutano neanche;
... era preso nel discorso, attraversa la strada... non passano macchine...


Benigni nega il fatto che ogni enunciato debba possedere una densità informativa tale da far proseguire la narrazione; descrive eventi che, narrativamente parlando, non sono eventi. Come dice Cosentino, quella di Benigni è “una sorta di negazione-sviamento costante delle enunciazioni-attese messe in campo” (date certe informazioni, il pubblico si aspetta determinate conseguenze, ed è lì che Benigni va a parare, deviando e contraddicendo la conclusione, sconvolgendo l’enunciato).
Un altro aspetto che sancisce la nascita della comicità di Benigni è il cosiddetto comizio, ovvero una rappresentazione di un finto incontro pubblico, dove il comico tiene un discorso politico del tutto senza senso, accostando termini ricercati a tematiche volgari. Dichiara Roberto in una discussione all’Università “La Sapienza” di Roma del 18 gennaio 1985:

Parlando seriamente, le origini del mio humus comico tutto così in sé accattivante sono nate da una predicazione che facevo nei paeselli toscani dell’inizio degli anni sessanta-settanta. Organizzavo dei finti comizi per le città e facevo delle prediche così... senza partito in questi baldacchini di legno, mi mettevo a dire delle cose, si fermava qualcuno, e così via via sono arrivato qui all’Università di Roma.

Si può dire che quella di Benigni è una comicità grottesca, che deriva dal suo irrompere con scompostezza in luoghi caratterizzati dalla compostezza. Quindi la contraddizione della sua presenza “bassa” in luoghi alti. In realtà, la performance di Benigni è, come dice Cosentino, un “procedere dall’ordine verso al disordine.” Il comico dichiara infatti, in un incontro dell’Università “La Sapienza” del 18 gennaio 1985 che la sua non è una mera improvvisazione:

Recito su un canovaccio, o una cosa del genere. Come i cantori latini che avevano un verso che ripetevano per prendere tempo, ho dei brani che recito a memoria per poter improvvisare il seguito. […] Ho un intento preciso nel recitarli: riuscire a essere bravo - se ci riesco - a farli sembrare improvvisati come tutto il resto dello spettacolo.

Un ordine iniziale che viene quindi rotto proseguendo gradualmente con l’improvvisazione/disordine della performance, puntando anche sulla presenza fisica:

Mi preparo una traccia scritta, un breve canovaccio, ma poi ogni volta mi trovo a seguire nient’altro che l’umore della serata. Quanto alle battute, se non fossero sorrette dalla mia presenza fisica... Insomma io ci sono sempre e tutto: la battuta in sé è deleteria per la comicità. Non è per le parole che dici che fai ridere ma per come le dici.

Indipendentemente dalle produzioni cinematografiche e televisive, il parere di Benigni sul teatro rimane quello di punto cardine di espressività:

... non esiste altro mezzo di comunicazione che il teatro. Non esiste né la televisione né il cinema. […] In qualsiasi momento in cui ho fatto qualcosa c’è sempre stato uno che era vivo davanti a me e anche se c’è un corpo solo è teatro. Quando si recita al cinema e alla televisione c’è la troupe. Non si pensa, e nessuno avrà mai la potenza fisica e la potenza divina e la potenza umana di pensare che uno recita per il pubblico seduto in platea. No, recita per quello che lo guarda, lì davanti. […] Lo spettacolo è solo il teatro, nel mondo.

Questo brano è tratto dalla tesi:

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Informazioni tesi

  Autore: Francesco Bassanelli
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Bergamo
  Facoltà: Scienze della Comunicazione
  Corso: L-20 - Scienze della comunicazione
  Relatore: Stefano Ghislotti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 63

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