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Il potere salvifico della letteratura: autore, personaggio, lettore

La figura del lettore

Lettore è definito chi legge. Libri, saggi, articoli l’esperienza della lettura si può declinare nei più diversi modi, anche solo quando restringiamo il campo alla lettura di testi letterari - si può definire un lettore chi ascolta audiolibri? Eppure, appare quasi denigratorio ridurre la figura del lettore a colui o colei che compie l’atto di aprire un libro - o qualsiasi altro supporto - e inizia a far scorrere gli occhi sulle pagine.
Antonio Moresco scrive Lo Sbrego perché gli viene chiesto di comporre un’opera sulla lettura, opera in cui l’autore dichiara sin dall’inizio «io non ho mai letto niente […] io non conosco, non ho mai conosciuto l’esperienza della lettura»87 e continua, parlando dei libri: «A questi abbiamo attribuito il significato di idee, di emozioni, decifrandoli con i nostri occhi emersi. […] cosa penseranno gli animali quando vedono altri animali bipedi stare incomprensibilmente immobili per ore col muso collocato di fronte a un oggetto inanimato e stratificato, senza fare assolutamente niente?»88.
Il libro poi procede come un inarrestabile racconto della vita dell’autore, di volta in volta interrotto dallo squillo del telefono, che vede all’altro capo della cornetta prima un autore e poi un altro, si passa da Dante, a Sartre, Simone de Beauvoir, Emily Bronte, Erodoto di Turi e tanti altri. Tutti quegli autori che hanno accompagnato Moresco nell’arco della sua vita. In realtà in svarianti momenti lungo l’arco della narrazione, Moresco ha dichiarato di aver «divorato» i libri, di notte, in ogni momento, a volte per strada sulle panchine, leggeva in continuazione; egli decostruisce man mano i vari autori definendoli con termini a tratti anche troppo cinici89, ma quello che arriva a evidenziare è che i libri lui effettivamente non li ha letti, ma li ha vissuti, imprimendoli in ogni attimo della sua vita, arrivando a scandire il tempo proprio attraverso le varie e numerosissime letture che egli portava a termine.
Come sottolinea Vincenzo Crupi in La relazione in letteratura: autore - testo - lettore «La letteratura, è ovvio, non esiste senza i testi letterari, e questi, ed è altrettanto ovvio, non possono esistere senza gli autori che li hanno scritti. Ma gli uni e gli altri prendono vita solo quando un lettore si accosta ad un testo e, attraverso di essi, all’autore che lo ha prodotto».90
Proprio per tale paradigma, chiaramente esplicitato da Crupi, anche la critica letteraria dagli ultimi decenni del Novecento non ha potuto esimersi dall’evidenziare l’importanza della figura del lettore, aprendo un nuovo paradigma interpretativo, grazie soprattutto al contributo, in merito, della Scuola di Costanza e della Teoria della ricezione. Capostipiti di tale linea critica sono stati in particolare Hans Robert Jauss e Wolfgang Iser. Alberto Cadioli ci aiuta però a guardare a quella che sarà poi la teoria della ricezione novecentesca anche da un punto di vista diacronico, notando come già Tommaso D’Aquino (1221-1274) nel Medioevo, diffuse la famosa frase “ quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur” (ogni cosa è ricevuta secondo il modo di ricevere del ricevente): «Adattando l’espressione […] si potrebbe dire che la ricezione di un testo letterario – e, attraverso di essa, la sua interpretazione – dipende in prima istanza dalle possibilità, dalla capacità, dalle condizioni di chi lo riceve; e, naturalmente, dalle sue intenzioni»91.
L’autore, passando prima per Walter Benjamin e Erich Auerbach (che sottolineano come già nell’Ottocento si iniziasse a parlare di pubblico e di comunità di appassionati della letteratura), e poi per gli studiosi del circolo di Praga, Jan Murařovskyʹ e Felix Vodička ( che affermano rispettivamente che un «Testo letterario diventa oggetto estetico solo con la lettura»92 e «solo con l’esser letta un opera diventa esteticamente reale»93), arriva poi a parlare della Sociologia della lettura, che però si preoccupava in particolare dell’aspetto quantitativo dei lettori, rispondendo alla domanda “quanti sono i lettori?”. Tali studi sociologici erano principalmente sottolineati da Robert Escarpit, che in Sociologia della letteratura, prendeva in esame «sia gli aspetti produttivi e distributivi del libro letterario (cioè il processo editoriale) sia il momento della ricezione in termini economico-sociologici, cioè dal punto di vista del pubblico considerato come insieme di “consumatori”»94.
Sarà poi Vittorio Spinazzola, con Il pubblico nella letteratura, che si concentrerà non più solo sull’aspetto consumistico della letteratura, ma soprattutto affermava:

L’importanza di esaminare il pubblico in rapporto al progetto dell’autore, poiché “l’opera si costituisce in quanto tale nel suo socializzarsi” e cioè “nel passaggio da fatto privato a fenomeno pubblico e per conseguenza nell’incontro con un sistema di attese estetiche regolato dalle convenzioni di gusto di una società culturalmente diversificata e socialmente stratificata”[…] ogni testo […] è pienamente compiuto quando realizza la funzione per cui è stato pensato, e raggiunge il pubblico cui è stato indirizzato […] la ricezione, dunque, è un desiderio di lettura che può volgersi in direzioni diverse.95

Nel 1967 Harald Weinrich con Per una storia letteraria del lettore, muove ancora dei passi in avanti, andando ad inserire la figura del lettore nell’attività critica. In particolare, Weinrich voleva andare ad «esaminare le tipiche esperienze di lettura di un determinato gruppo di lettori o di un lettore che sia rappresentativo di un determinato gruppo»96 e per far ciò egli muove dal principio che «ogni opera letteraria contiene l’immagine del suo lettore (“il lettore è, si potrebbe dire, un personaggio di quest’opera”)»97 introducendo in questo modo l’idea di lettore inscritto nell’opera.
Nello stesso anno, in particolare il 13 aprile, Hans Robert Jauss tenne una conferenza intitolata Che significa e a che scopo si studia la storia della letteratura? : egli partiva condannando tutte le tradizioni critiche – positivista, idealista, formalista e infine marxista – per poi proporre di «trasformare la tradizionale estetica della produzione e della rappresentazione in un’estetica della ricezione e dell’efficacia»98. Questo non sarebbe stato possibile se non introducendo il concetto, nuovo, di “orizzonte d’attesa”:

L’opera appena pubblicata non si presenta come un’assoluta novità in uno spazio vuoto, bensì predispone il suo pubblico ad una forma ben precisa di ricezione mediante annunci, segnali palesi e occulti, caratteristiche familiari o indicazioni implicite. Essa risveglia ricordi di cose già lette, già all’inizio alimenta attese per ciò che segue e per la conclusione, suggerisce al lettore un preciso atteggiamento emozionale, ed in questo modo fornisce preliminarmente un orizzonte generale per la sua comprensione, il quale è l’unico punto di riferimento possibile per il problema del soggettivismo dell’interpretazione e del gusto di diversi lettori o classi di lettori.99

Introduce poi un altro passaggio, ovvero l’oggettivizzazione dell’orizzonte d’attesa, utile sia per superare il soggettivismo della lettura, sia per riconoscere le modalità di ricezione100.
All’orizzonte d’attesa possiamo anche attribuire la funzione di strumento atto a riconoscere il concetto precedentemente introdotto da Robert Escarpit riguardo la distinzione tra circuito letterario e circuito popolare: Escarpit parlava in questo senso di opere che si rivolgevano a lettori che «hanno ricevuto una formazione intellettuale e un’educazione estetica tanto potente da avere la possibilità di esercitare un giudizio letterario personale»101 e dall’altro lato invece quei lettori «ai quali la loro formazione permetta un gusto letterario intuitivo, ma non un giudizio esplicito e ragionato»102. In questo modo semplificava e rendeva esplicite alcune differenze riguardo le scelte di lettura, che portarono all’idea da una parte di “letteratura alta” dall’altra invece di “letteratura di consumo”. Con l’orizzonte d’attesa di Jauss, tali concezioni venivano confermate, ma attraverso diverse modalità:

Un’opera letteraria, infatti, può mantenere o deludere le aspettative del pubblico cui è destinata, può cioè essere pienamente inserita nell’orizzonte d’attesa del pubblico che l’accoglie o viceversa esserne distante, in modo più o meno considerevole: più la distanza è ampia, più l’opera è innovativa, più è corta – “e alla coscienza del ricettore non viene chiesto nessuno spostamento sull’orizzonte di un’esperienza ancora ignota”- più l’opera si “avvicina all’ambito dell’arte dozzinale o di intrattenimento103.

Dalle considerazioni di Jauss, Wolfgang Iser inizia ad elaborare una risposta alla concezione di ricezione come modalità di costituzione del senso al fine di comprendere l’oggetto estetico. Iser in L’atto della lettura. Una teoria della risposta estetica pone sotto la lente d’ingrandimento quello che accade durante l’atto della lettura. Egli parte da una concezione di “testo” molto vicina a quella proposta da Russel Ingarden, cioè di testo come «risultato del processo di integrazione tra testo […] e lettore»104.
Iser giunge, sin da subito, all’idea che: «la realtà del testo letterario è prodotta dal completamento, da parte del lettore, delle indeterminatezze che il testo letterario porta con sé. La lettura si svolge a contatto con questa indeterminatezza, e, nell’atto del leggere, “la forma oscillante del testo si fissa a significati che normalmente vengono prodotti nel processo di lettura stesso”»105. Iser inoltre immaginava la presenza, per ogni testo letterario, di un “lettore implicito”, ovvero un lettore ideale grazie al quale vengono a crearsi tutte le differenti modalità di lettura presupposte dal testo stesso.
Non stupisce quindi che negli anni Novanta del secolo scorso, sia stato scritto un libro come Se una notte d’inverno un viaggiatore, testo in cui Italo Calvino rovescia il tradizionale paradigma del personaggio-protagonista e rende protagonista il Lettore, e in alcuni tratti la Lettrice, mettendo in moto una macchina di intrecci di storie: dieci incipit di romanzi diversi, che non si svilupperanno mai, e che dai titoli degli stessi si ottiene l’inizio di un altro romanzo: «Se una notte d’inverno un viaggiatore, fuori dell’abitato di Malbork, sporgendosi dalla costa scoscesa senza temere il vento e la vertigine, guarda in basso dove l’ombra s’addensa in una rete di linee che s’allacciano, in una rete di linee che s’intersecano sul tappeto di foglie illuminate dalla luna intorno a una fossa vuota, – Quale storia laggiù attende la fine? – chiede, ansioso d’ascoltare il racconto»106. Il protagonista non è quindi solo il lettore e la lettrice – che alla fine della narrazione si sposeranno – ma, tramite l’idea di scrivere costantemente alla seconda persona singolare, ognuno di noi, chiunque apre il libro, non può non sentirsi immediatamente coinvolto, irrimediabilmente personificato con il lettore e la lettrice, diventando prima l’uno e poi l’altro. Calvino, con il suo arci-famoso incipit107, pone il lettore in una posizione di rilevanza, il solo fatto che l’autore si rivolga direttamente al lettore, mette ciascuno di noi in una nuova posizione, in cui all’inizio ci si trova anche un po’ a disagio.



87 Antonio Moresco, Lo sbrego, SEM, Milano 2019, pag. 3.
88 Ibidem.
89 Di Emily Bronte dirà «una ragazza in abito lungo e con la faccia da cagna» Emily Dickinson «una donnina isolata e reclusa», Walt Whitman «un pederasta vagabondo», Herman Melville «un ex mozzo», Edgar Allan Poe «un povero alcoolizzato morto durante una crisi di delirium tremens», Fedor Dostoevskij «un povero nevrotico epilettico», Marcel Proust «un effeminato buono a nulla», Anton Cechov «un medico russo malato di tubercolosi e senza palle», Franz Kafka «un assicuratore di Praga con le orecchie a sventola», James Joyce «un irlandese sradicato, alcoolizzato e un po' debosciato», T.S. Eliot «un impiegato di banca molto, molto imbrillantinato», Louis-Ferdinand Céline «un medico figlio di puttana», Italo Svevo «un ex impiegato delle ferrovie», Carlo Emilio Gadda «un ingegnere nevrotico e scoreggione» (Ibidem, pagg. 64- 65).
90 Vincenzo Crupi, La relazione in letteratura: autore-testo-lettore, pag.1, in www.unistrada.it.
91 Alberto Cadioli, La ricezione (1998), Laterza, Roma-Bari 2015, pag. 5.
92 Ibidem, pag. 6.
93 Ibidem.
94 Ibidem, pag. 7.
95 Ibidem, pagg. 9-10.
96 Ibidem, pag. 11.
97 Ibidem.
98 Ibidem, pagg. 13.
99 Ibidem.
100 Ibidem: «La possibilità di oggettivare tali sistemi relazionali storico- letterari raggiunge l’optimum in opere che evocano l’orizzonte d’attesa del loro lettore quale è determinato dalle convenzioni di genere, stile o forma, solo per distruggerlo subito dopo pezzo per pezzo, il che non solo può essere utilizzato ad un fine critico ma anche determinare per se stesso effetti poetici. Così Cervantes lascia sorgere dalla lettura del Don Chiscotte l’orizzonte d’attesa dei vecchi ed amati libri di cavalleria, che poi l’avventura del suo ultimo cavaliere parodia fino in fondo».
101 Ibidem, pag. 19.
102 Ibidem.
103 Ibidem, pag. 21.
104 Ibidem, pag. 13.
105 Ibidem.
106 Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore (1994), Mondadori, Milano 2002, pag. 293.
107 «Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero…». Ibidem, pag. 54.

Questo brano è tratto dalla tesi:

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Informazioni tesi

  Autore: Roberta Borzillo
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
  Facoltà: Lettere
  Corso: Lettere
  Relatore: Elisabetta Abignente
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 56

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