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Giornalismo d'inchiesta: strumenti digitali e nuovi modelli economici

La filantropia del magnate americano: amore disinteressato?

Le organizzazioni no profit vivono dunque del supporto finanziario dei grandi filantropi. Noi italiani che tendiamo a vedere il marcio in tutto, stentiamo a credere alla possibilità che qualcuno possa investire delle cifre così importanti, (vedi i 10 milioni di dollari dei Sandler a ProPublica), senza avere un tornaconto personale. A Paul Steiger è stato chiesto più volte se questi filantropi, con le loro considerevoli donazioni, potessero influire in qualche modo sulla linea editoriale e sulle inchieste proposte dalla testata. Chiaramente l’ex managing director del Wall Street Journal, ha risposto che: “No, i donatori non hanno mai potuto esercitare alcuna influenza su ciò che scriviamo. Del resto non sanno prima degli altri di che decideremo di occuparci. Lo stesso sarà per gli sponsor.” Del suo stesso avviso quelli dell’ Huffington Post Investigative Fund che lo ribadiscono anche nel loro sito internet dichiarando: “The Investigative Fund's donors do not have a role in its editorial decisions.” (ovvero i donatori non hanno nessun ruolo nelle decisioni editoriali).
A partire dal 2005 le Fondazioni hanno donato non meno di 134 milioni di dollari in progetti editoriali, la metà dei quali è andata a imprese che si occupano di giornalismo investigativo. Tuttavia è alquanto improbabile che queste fondazioni possano sostenere in eterno l’attività delle start-up no profit, che quindi, come nel caso di ProPublica, cercano di pensare a nuovi modelli di sostenibilità.
Lev Tolstoy diceva a proposito della filantropia: “il diavolo della filantropia inculca agli uomini che se rapinano e danno le briciole ai rapinati fanno opera benefica e non devono più voler essere migliori.” Parole dure che possono valere per le fondazioni di filantropi come Rockfeller e Bill Gates, tanto per fare un esempio. Certo il sostegno alla stampa è cosa ben diversa dalle donazioni agli ospedali, l’assistenza ai poveri, o il sostegno a scuole e università. Rimane il fatto che la filantropia, fa parte di una cultura, di una mentalità quella americana, che non ha attecchito, non solo in Italia, ma in tutta Europa. Le motivazioni sono da ricercarsi nel fatto che negli Stati Uniti, si pagano meno tasse e i magnati che hanno accumulato grandi ricchezze, decidono a un certo punto della loro vita di “sdebitarsi”. Per loro la beneficenza è un dovere civico, mentre nel nostro continente in cui vige un altro modello di rapporto tra pubblico e privato e delle tradizioni culturali diverse, ha un ruolo molto meno significativo.
Ci sono stati comunque dei casi in cui non tutto è andato per il verso giusto. Il magnate Samuel Zell, che all’inizio si era presentato al Los Angeles Times e al Chicago Tribune come benefattore, ha poi comprato la società editrice di questi e altri quotidiani, la Tribune Company, investendo poco e in compenso indebitando parecchio il gruppo. Con la crisi la situazione della società si è fatta disperata e Zell l’ha mandata in bancarotta, scaricando le colpe sui giornalisti. Ora per le due testate è tempo di amministrazione controllata. Esistono tuttavia casi di filantropia autentica, uno su tutti quello del miliardario californiano Warren Hellman (pronipote dei fondatori della Well Fargo, la banca delle diligenze del West), che ha deciso di finanziare la creazione di nuovi strumenti d’informazione a San Francisco e in tutta la Bay Area, un’area che si sta affermando come un laboratorio di grande interesse, dove la cultura digitale si è sviluppata molto velocemente. Sulla scia di iniziative come Voice of San Diego, Hellman ha deciso di finanziare un’analoga organizzazione di giornalismo investigativo. Laddove testate storiche come Il Chronichle, a causa dei tagli drastici nel corpo redazionale, faticano a coprire adeguatamente una delle aree urbane più vaste, ricche e tecnologicamente avanzate del mondo, Hellman tenta di rimediare con Bay Citizen. Il New York Times che ha deciso di sbarcare a San Francisco, con una sua edizione, potrebbe adottare l’organizzazione di Hellman, come sua piattaforma informativa sulla West Coast.
Dunque se per alcuni filantropi investire nell’editoria e finanziare queste start-up del giornalismo no profit, è un atto di amore disinteressato, occorre diffidare dai sedicenti tali. Non si può in ogni caso pensare che queste fondazioni possano indefinitamente perorare la causa del buon giornalismo e non sarebbe auspicabile la prospettiva di grandi magnati che elargiscano cospicue somme per più di una testata; il rischio concentrazioni è alto, così come la dipendenza economica che in alcuni casi rischia sempre di minare lo status pienamente libero delle imprese.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Giornalismo d'inchiesta: strumenti digitali e nuovi modelli economici

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Informazioni tesi

  Autore: Emilia Secci
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Urbino
  Facoltà: Sociologia
  Corso: Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo
  Relatore: Massimo Russo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 124

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