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La formazione continua e gli Enti Bilaterali nelle relazioni industriali

La filiera della conoscenza e la formazione continua

Premesso che la filiera della conoscenza ha un senso se coinvolge l’individuo dall’asilo fino ed oltre l’età della pensione, è grazie a queste caratteristiche che la formazione cessa di essere una delle tante tappe per diventare una costante che accompagna la persona in occupazioni, interessi e percorsi durante tutta la vita.
La filiera pone il sapere e la persona al centro, come facce speculari della stessa medaglia e mai come oggi tanto necessarie: consapevoli come siamo del fatto che la competitività si è spostata dal costo delle merci alle persone, la filiera della conoscenza e dell’apprendimento è un’area vasta in cui si muovono e convivono soggetti con aspettative e priorità specifiche e diversificate.
Il quadro normativo di riferimento italiano è stato elaborato avendo come sfondo le competenze chiave per l’apprendimento permanente predisposte in seno all’Unione Europea, ma l’impostazione italiana si differenzia, e lo fa là dove tende ad attribuire una eccessiva rilevanza alla dimensione disciplinare.
Insieme all’evoluzione normativa della materia nel tempo, anche il ruolo degli Enti di formazione è andato modificandosi sia nel merito come nei contenuti.
Fino allo scorso decennio questi Istituti concentravano la loro attenzione sulla creazione di pacchetti formativi standardizzati, vi era una sorta di appiattimento dei prodotti relativi alla formazione, non si riusciva più a distinguere un progetto da un altro in una sorta di livellamento generalizzato. Oggi invece, il modo di ‘pensare’ e di proporre la formazione ai diversi interlocutori-attori dello sviluppo muta in funzione dei nuovi bisogni di conoscenza, di competenza e di abilità.
Si richiede maggiore personalizzazione dell’offerta formativa, attenzione ai costi e capacità di reperire fonti di finanziamento, inoltre il tema dell’internazionalizzazione dei mercati necessita di rigore nei comportamenti ed accentua il valore dell’interculturalità come fattore di sviluppo nelle organizzazioni. In questo scenario assumono minore rilevanza tutte le attività formative volte allo sviluppo di competenze tecniche rispetto a quelle manageriali, si potenzia il fabbisogno di competenze di tipo soft: la capacità di comunicare con le altre persone, di governare situazioni complesse e critiche come possono essere licenziamenti o la decisione di mettere molte persone in mobilità.
Seppur in apparente contraddizione al quadro generale si aggiunge, la “programmazione multilivello” che richiede una offerta di formazione qualificata e orientata in direzione del potenziamento delle esigenze del mercato locale, sia pubblico che privato. Si deve tener contro dei contesti territoriali di inferenza di ciascun Ente, e questi a loro volta dipendono dall’evoluzione dei sistemi territoriali sia in chiave programmatoria che socioeconomica.
Quindi la formazione si stà muovendo verso un’azione integrata e molto attenta all’investimento, si predilige la formazione auto sostenibile, quella che stimola ad acquisire quegli strumenti capaci di innescare un meccanismo virtuoso di autosviluppo. Le aziende più strutturate cercano alle società una consulenza che sia a 360 gradi, forte sulla diagnosi e in grado di intervenire su più aree, con un piano di intervento chiaro; in quelle meno dimensionate l'imprenditore è interessato ad una formazione pragmatica, vuole qualcuno che lo aiuti a risolvere innanzitutto i suoi problemi e dopo, semmai, risalire alle chiavi del sapere.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La formazione continua e gli Enti Bilaterali nelle relazioni industriali

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Informazioni tesi

  Autore: Rosetta Oliva
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2008-09
  Università: Università degli Studi di Teramo
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze dell'economia
  Relatore: Giuseppina Bizzarri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 181

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