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Narrare il disordine: una rappresentazione della follia attraverso i racconti di una mente perduta

La follia nella Sociologia: una prospettiva storica

Al fine di tracciare uno scenario dei contributi apportati dalla prospettiva sociologica alla speculazione teorica sulla follia, abbozzeremo di seguito una cornice storica che ci permetterà di mettere in rilievo i maggiori cambiamenti avvenuti nel rapporto tra la follia e la società. Per costruire questa parte adotteremo la prospettiva teorica seguita da Michela Foucault in Storia della follia nell'età classica.

Nel Medioevo la follia era intesa come una parte indissolubile dell'umana tragicità, ed il folle era considerato una parte costitutiva della società. Infatti il suo isolamento non gli precludeva un ruolo sociale e simbolico nell'ambito della cultura (arte, filosofia e religione) dell'epoca. Per questo motivo, il folle era un personaggio oggetto di rappresentazione artistica e allegorica come stereotipo dell'insensatezza della condizione umana e delle sue paure. Al contrario, nell'Età Classica si realizza appieno l'esperienza dell'isolamento della follia e dell'internamento.

Tuttavia, i primi germi di questa predisposizione si rilevano in concomitanza con la scomparsa della lebbra in Europa verso la fine XV secolo. Gli ospedali e i lazzaretti, destinati ad ospitare i malati di lebbra, si sono rivelati i luoghi più adatti per esperire la logica correttiva e di isolamento che contraddistinguerà la follia nel XVII secolo. Con l’avvento dell’Età Classica e con le riflessioni di Carteggio e di Montagne l’orizzonte medioevale della follia comincia a restringersi, e l’autorità del pensiero prevale sull’interpretazione allegorica della follia.

La follia comincia ad allontanarsi dalla comunità, e ben presto i privilegi culturali ed il potere di suggestione del folle lasceranno spazio alla sua visione come minaccia, o semplicemente come individuo superfluo, da allontanare e rimuovere dalla coscienza sociale. Si sviluppa così l'emarginazione del folle, concretamente rappresentata dalla nascita di nuove strutture dedicate all’isolamento come l’Hôpital Général di Parigi.

Fondato nel 1656, è appunto di uno dei primi ospedali destinati ad accogliere e correggere i folli e gli alienati, ma in realtà non è che l’emanazione di un’autorità assoluta che il re crea ai limiti della legge tra la polizia e la giustizia. Infatti la struttura non rappresenta un'istituzione medica, ma una specie di entità amministrativa dotata di poteri autonomi, che ha il diritto di giudicare senza appello e di applicare le sue leggi all'interno dei propri confini.

La giustificazione sottesa alla creazione delle case d'internamento si basa su un riconoscimento dell'ozio e della pigrizia come emblemi del male e dell'eresia, dai quali l'uomo può redimersi attraverso l'etica del lavoro. Nella concezione cristiana, il lavoro è un’espiazione che l’uomo è costretto a pagare in seguito al peccato originale, ed ha quindi valore di penitenza e riscatto. Il povero, il folle e tutti coloro che nella società del XVII secolo erano refrattari alla logica del lavoro «tentavano oltremisura la potenza di Dio»: dal momento che la grazia è concessa quotidianamente all’uomo in virtù del suo lavoro, non lavorare era come forzare in un certo senso la grazia divina.

La follia diventa vittima di questa logica e viene associata alla povertà, all’incapacità di svolgere un'attività lavorativa e all’impossibilità di integrarsi al gruppo. Si traccia così una linea di demarcazione tra lo spazio sociale e la follia, che entra a far parte dei problemi dell’ordinamento civile. In quest'ottica, ogni forma sociale che si scontrava con la lucida razionalità seicentesca veniva imprigionata. Anche certe stravaganze «libertine» come quelle di de Sade sono state associate alla problematica della follia e del delirio, insieme alla magia, all’alchimia e alle pratiche profanatrici.

Pure certe forme di sessualità sono state apparentate con la sragione, l’omosessualità e la sodomia erano punite come sintomi di follia20. Le strutture adibite all'isolamento dei folli costituivano un pot-pourri di casi sui quali si applicava un modello di ragione medica che procurava il bene attraverso la sofferenza, rinsaldando l'atavica parentela fra la medicina e la morale ammessa fin dal mondo greco; tutto questo però, attraverso la repressione, la coercizione e l’obbligo di meritare la salvezza.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Narrare il disordine: una rappresentazione della follia attraverso i racconti di una mente perduta

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Informazioni tesi

  Autore: Francesca Landro
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Trento
  Facoltà: Sociologia
  Corso: Sociologia e Ricerca Sociale
  Relatore: Ada Neiger
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 307

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