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L'evoluzione del concetto di "momento decisivo" nella Street Photography contemporanea

La pittura come complemento al momento decisivo della fotografia

Nel 1968, Henri Cartier-Bresson inizia gradualmente a ridurre la sua attività fotografica per dedicarsi al suo primo amore artistico, la pittura, dichiarando: «In realtà la fotografia di per sé non mi interessa proprio; l’unica cosa che voglio è fissare una frazione di secondo di realtà».

Quell’approccio apparentemente disinteressato alla fotografia, volto a raccontare con le immagini cogliendo l’attimo in un’istantanea congelata nel tempo, gli aveva permesso di trasformare l’attualità in arte. Ma ben presto Cartier-Bresson si rende conto che a completamento della propria riflessione sulla realtà si può affiancare al medium fotografico quello pittorico, al fine di godere di una contemplazione più prolungata e meno istantanea.

Sente che la fotografia da sola è insufficiente; pur avendo il grandissimo pregio di rivelare l’attimo, che può essere per noi una rivelazione, con maggiore difficoltà, una volta dischiuso, si lascia aprire a più significati. La fotografia rimane come imbrigliata necessariamente in quel momento soltanto.

A poco a poco, decide di abbandonare il reportage per approdare ad un tipo di fotografia più meditativa e si allontana anche dalla Magnum Photos.
Mentre nel 1973 esce un cortometraggio intitolato proprio Henri Cartier-Bresson: the decisive moment, contenente una retrospettiva con i suoi scatti più celebri che lo consacrerà a livello mondiale, appena un anno dopo decide di abbandonare ufficialmente la fotografia per dedicarsi esclusivamente al disegno. Anche se poi si contraddirà dicendo che non l’aveva mai abbandonata perché in ogni caso lui fotografava ancora, ma solo con la mente, senza l’apparecchio.

Cartier-Bresson nelle sue note ci rivela che nel 1975 aveva ricevuto anche un consiglio per questo improvviso e nuovo cambio di rotta dato dal suo amico regista Jean Renoir; il quale, prima di morire, gli aveva scritto una lettera spiegandogli le ragioni per cui gli suggeriva di continuare nel disegno e non nella fotografia. Fu dunque una decisione meditata e condivisa.

Intanto nel 1979 veniva organizzata per lui a New York un’ennesima mostra tributo al genio del fotogiornalismo e del reportage.
Negli anni Ottanta e Novanta, Cartier-Bresson ritorna a quella che aveva da sempre definito come la sua prima passione, ossia la pittura,ispirandosi dal vivo. Dopo l’esperienza con la camera oscura, dopo la conoscenza della “bellezza convulsiva” dei Surrealisti di Breton da un lato, gli oggetti umanizzati di Picasso, le linee geometriche monumentali di Cezanne ora ci appare più vicino a Henri Matisse e ad Alberto Giacometti. Rispetto al primo, possiamo vedere un punto di tangenza a livello concettuale.

Così come le silhouette ottenute dai cut-out di Matisse sottraggono il volume, il chiaroscuro, i dettagli, la profondità, restando solo un’ombra, una macchia scura che conserva la forma esterna e che ci chiede uno sforzo di riconoscimento, analogamente la fotografia inbianco e nero di Cartier-Bresson senza il colore equivaleva ad enfatizzare ritmi, contrasti e forme.

Togliere anche la figura e lasciarne la sagoma riesce a valorizzare l’eleganza dei gesti, la delicatezza del contorno. Rispetto a Giacometti (da lui ritenuto un genio) ha poi un’analoga suggestione: le sue forme scultoree assottigliate nella forma, fragili e sempre più essenziali sono prive della grazia classica, ma nella loro imperfezione lasciano lo spazio per una rappresentazione della realtà in modo diverso.

Questo brano è tratto dalla tesi:

L'evoluzione del concetto di "momento decisivo" nella Street Photography contemporanea

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Informazioni tesi

  Autore: Paolo Grandi
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2017-18
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Beni culturali
  Corso: Storia dell'arte
  Relatore: Claudio Marra
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 124

FAQ

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