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Dalla ripartizione alla capitalizzazione: quali insegnamenti per l'Italia dalla riforma previdenziale cilena del 1981?

La previdenza complementare in Italia

L'eccessiva generosità del primo pilastro pubblico a capitalizzazione ha da sempre contrastato la crescita e lo sviluppo di un significativo secondo pilastro di previdenza complementare contrattuale e di un terzo pilastro complementare individuale, i quali necessiterebbero di una riduzione del peso della componente pubblica. Infatti, come si nota dai dati forniti dal Rapporto del nucleo di valutazione della Spesa Previdenziale (2012), la spesa previdenziale lorda in rapporto al PIL nel 1989, e dunque prima delle riforme degli anni Novanta, era dell'11,2%, mentre ha raggiunto un picco del 13,5% tra il 1996 e il 1997 e si è mantenuta pressocchè costante nel periodo 1999-2007, per poi incrementarsi fortemente fino a raggiungere il 15% del PIL nell'anno 2010.

Fatto sta che, comunque, il sistema italiano è in transizione verso una impostazione multipilastro, seppur i tassi di adesione alle forme complementari sono molto differenti a seconda delle categorie di lavoratori, della dimensione delle imprese, della natura del comparto e del tipo di contratto (Ferrera, 2020).

Le forme complementari presenti in Italia sono il TFR per i dipendenti, fondi chiusi e fondi aperti ad adesione collettiva per quanto riguarda il secondo pilastro, mentre il terzo pilastro si compone di fondi aperti e PIP (piani individuali pensionistici), questi ultimi introdotti nel 2001 per stimolare il risparmio previdenziale e l'adesione ai fondi (Bonasia, 2013).

È chiaro ed evidente come la previdenza complementare sia molto debole laddove, invece, ce n'è forte bisogno, ovvero per coloro i quali presentano carriere frammentate e poco remunerate che rischiano di ricevere solo una pensione pubblica e anche di basso importo (Raitano, 2017). L'adesione alle forme di previdenza complementare si concentra in particolare al Centro-Nord, in settori economici centrali, i quali garantiscono carriere migliori, dove la Ragioneria Generale dello Stato (2016) stima si potrà produrre tassi di sostituzione di circa il 90%. Se non ci saranno interventi importanti, dunque, la previdenza complementare non potrà svolgere la sua funzione, integrativa delle pensioni pubbliche.

Come osserva Jappelli (2016), per un maggiore sviluppo della previdenza complementare è importante diffondere informazioni su costi, rendimenti e rischi di quest'ultima, che è un'opportunità ma deve lottare contro la scarsa conoscenza finanziaria diffusa. Per evitare un conflitto di interessi, la funzione di consulenza circa i prodotti finanziari, assicurativi e previdenziali non può essere svolta da chi vende questi prodotti, bensì sarebbe ideale diffondere strumenti standardizzati a livello europeo, che presentino investimenti semplici e di facile comparabilità, favorendo anche la concorrenza tra gli operatori.
Si osservino di seguito i rendimenti delle forme pensionistiche complementari nel corso dell'ultimo ventennio, al netto dei costi di gestione e dell'imposta sostitutiva.

Attualizzando l'analisi al 2021, il Covip (2021) ci mostra come a settembre del 2021 le posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari erano 9,571 milioni, in crescita di 2 punti percentuali e mezzo rispetto a dicembre 2020. In particolare, i fondi negoziali si sono incrementati del 2,8%, nelle forme pensionistiche di mercato, si rileva un incremento di posizioni nei fondi aperti del 4,3%.
Per quanto riguarda i rendimenti, da gennaio a settembre 2021 i risultati delle forme complementari sono stati positivi. I rendimenti sono stati, rispettivamente, del 3,1% e al 4,1% per fondi negoziali e fondi aperti.

Alle difficoltà di implementazione di un forte pilastro complementare, vanno aggiunti tutti gli effetti negativi della pandemia di Covid-19, con il rischio di fuoriuscita dal sistema di coloro che, pur avendo dato adesione precedentemente, versano in condizioni di difficoltà economica e, soprattutto, occupazionale.
In questo capitolo è stata effettuata un'analisi del sistema previdenziale italiano e di come si sia modificato nel corso degli anni, non raggiugendo, però, un significativo sviluppo della previdenza complementare. Nel seguente capitolo si metteranno in luce le caratteristiche della riforma che, nel 1981, ha reso il Cile un esempio di sistema a capitalizzazione e si cercherà di carpire quali insegnamenti può trarre l'Italia da un intervento di tale portata. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

Dalla ripartizione alla capitalizzazione: quali insegnamenti per l'Italia dalla riforma previdenziale cilena del 1981?

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Informazioni tesi

  Autore: Giuseppe Salsano
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli studi di Napoli "Parthenope"
  Facoltà: Economia
  Corso: Economia e Commercio
  Relatore: Mariangela Bonasia
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 101

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Parole chiave

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afp
pensioni
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ripartizione
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