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I rapporti del Tibet con la Cina Popolare

La questione tibetana oggi

Il processo di integrazione economica del Tibet in Cina, inevitabile anche viste le spinte della globalizzazione, aggrava sempre più la situazione, visto che complessivamente i tibetani in Cina sono circa sei milioni e gli han sono il 95% dei quasi 1,4 miliardi di popolazione cinese complessiva. Comincia a esserci un significativo scarto di età tra tibetani e han. I primi sono più giovani, con un’età media intorno ai ventun anni, mentre i secondi hanno invece un’età di quasi trent’anni. All’origine dello scarto vi è la politica di pianificazione familiare, più severa con gli han, che possono avere un figlio solo, più rilassata con i tibetani che di figli possono averne due o tre. Inoltre c’è l’eredità della storia recente. Pechino ha distrutto il vecchio sistema feudale e negli anni Sessanta, durante la rivoluzione culturale, ha scatenato gli ex servi della gleba tibetani contro i monumenti del vecchio regime. Così Mao pensava di cementare la fedeltà di questi «nuovi» tibetani nei confronti della sua Cina. Ma la tattica ha funzionato solo per poco tempo. Con la morte di Mao, la fine del maoismo e il crollo dell’ideologia totalitaria in Cina, molti degli ex servi liberati sono tornati a sentire il fascino della loro religione tradizionale. Forse con passione ancora maggiore, motivata dai sensi di colpa. Su questa base la Cina è intervenuta per acquisire nuovo consenso tra la popolazione tibetana con la stessa politica economica applicata al resto del Paese. Ma i soldi e il loro fascino non funzionano allo stesso modo in tutte le culture. Per la cultura pratica degli han i soldi, il miglioramento delle condizioni di vita, il potere che danno, sono una moneta incontrovertibile, altamente convincente della bontà di una scelta politica generale. Nella realtà i soldi in Tibet, hanno significato più elemosine per i monaci e per i templi che sono diventati molto più ricchi mentre la gente è rimasta relativamente povera. I tibetani comunque negli ultimi anni hanno avuto un altro tipo di ritorno dalla Cina. I ricchi cinesi buddhisti, con qualche peccato da farsi perdonare, hanno elargito massicci contributi e donazioni ai templi tibetani. I templi sono pieni di monaci, con molti più soldi che vengono da elemosine piccole e grandi, ma per il colmo dell’ironia spesso sono anche centri di resistenza al governo di Pechino. Nel 2011 il Dalai Lama annuncia il ritiro dalla vita politica e il passaggio dei poteri di governo ai leader eletti dal popolo tibetano con i nuovi sistemi adottati dal governo in esilio; dichiara di considerarsi per il futuro un semplice “consulente” governativo. Si riserva di continuare nel suo proselitismo e nella sua attività con esponenti politici e capi di Stato per illustrare la situazione tibetana. Questa decisione sembra spezzare la tradizionale unità fra il potere spirituale e quello temporale e avvicinare la sua posizione a quella spirituale del Panchen che al momento è rappresentato da due esponenti.

Questo brano è tratto dalla tesi:

I rapporti del Tibet con la Cina Popolare

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Informazioni tesi

  Autore: Mauro Boaretto
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2019-20
  Università: Università degli Studi Niccolò Cusano - Telematica Roma
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Giuliano Caroli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 86

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Parole chiave

cina
tibet
dalai lama
questione tibetana
mao tse-tung
1959

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