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Potenziale effetto fotoprotettivo di alcuni polifenoli su cellule endoteliali umane

La rivelazione del danno al DNA

Esistono molte strategie per rilevare in laboratorio il danno al DNA: si possono evidenziare le SSBs, i CPDs e altre lesioni mediante una serie di metodi.
* Molti metodi sono basati sulla tecnica della PCR, per rilevare SINE (Short Interspersed DNA Elements), la RAPD (Random Amplified Polymorphic DNA).
* Comet assay (gel elettroforesi su singola cellula) per il danno ossidativo e SSBs o DSBs. Recentemente è stata sviluppata anche una versione del saggio che permette di differenziare le cellule vitali, apoptotiche e necrotiche.
* Halo assay /AHA (Alkaline Halo Assay) / FHA per verificare la fragilità della cromatina e SSBs a livello di singola cellula.
* TUNEL assay per SSBs, DSBs e apoptosi, ma non distingue i vari tipi di morte cellulare.
* HPLC-MS/MS per CPDs, 6-4PPs e basi modificate
* FISH (Fluorescent In Situ Hybridization) per rilevare aberrazioni cromosomiche
* Marcatura dell’annessina V-FITC per rilevare la frammentazione del DNA e l’apoptosi indotta da radiazioni, marcandola con fluorocromi.
* GC-MS per rotture di filamenti, siti abasici, legami crociati fra DNA e proteine e altri danni ossidativi.
* Spettroscopia NMR per distorsioni della doppia elica del DNA indotte da lesioni [16].
* Proteine precocemente coinvolte nei meccanismi di riparazione e che possono essere pertanto considerate marcatori di danno (ad esempio l’istone H2AX).

L’istone H2AX
L’istone H2AX è un fattore chiave nel processo di riparazione del DNA danneggiato, infatti una volta reclutato nel sito di danno la sua fosforilazione rappresenta un fattore precoce di attivazione dei meccanismi di riparazione. Il DNA è normalmente avvolto intorno ad un core di istoni, a formare il nucleosoma. All’interno del core sono presenti diversi istoni (H2A, H2B, H3 e H4) e la famiglia degli H2A è la più numerosa, e circa il 10% di questa è costituita dall’istone H2AX, unico a causa della sua coda carbossilica, ed è incorporato casualmente nei nucleosomi in tutta la cromatina.
In presenza di danno al DNA, esso viene fosforilato sulla serina 139; in forma fosforilata è chiamato γ-H2AX. Per ogni DSB, vengono fosforilati centinaia di istoni H2AX, in quanto sono coinvolte proteine entro una megabase da sito di danno, e questa fosforilazione avviene entro alcuni secondi, sia per le SSB, che per le DSB, ma prevalentemente per queste ultime. In seguito, i foci di γ-H2AX possono essere visualizzati con diverse tecniche; una di quelle più utilizzate è l’immunoflorescenza. Per rilevare l’istone fosforilato può essere usato un anticorpo che riconosce gli ultimi 9 residui, che includono la serina fosforilata. Se questo anticorpo viene marcato con fluorescenza, permette la visualizzazione dell’γ-H2AX. Il saggio è molto sensibile. Poiché i foci di γ-H2AX sono inizialmente piccoli e difficili da visualizzare, si attendono 15-30 minuti prima dell’analisi. Ogni focus rappresenta una singola DSB. Il limite di questa tecnica è la formazione di γ-H2AX non associato a DSB ma a regioni a singolo filamento in corrispondenza delle forche replicative. Molte proteine di riparazione co-localizzano con l’istone. Al termine della riparazione, la proteina viene defosforilata dalla fosfatasi PP2A (proteina fosfatasi 2A), che regola i livelli di γ-H2AX nelle cellule umane [23] [24].

Il comet assay
Il comet assay è una delle tecniche oggi più utilizzate per misurare il danno al DNA. Una sospensione cellulare viene miscelata con agarosio e posizionata sotto forma di gel su un vetrino portaoggetti. Le cellule vengono lisate rimuovendo le membrane e gli elementi citoplasmatici solubili ottenendo i cosiddetti nucleoidi, i cui superavvolgimenti vengono rilasciati mediante pH alcalino. Segue la corsa elettroforetica. Il DNA danneggiato e quindi frammentato migra a partire dal nucleoide formando la “coda” della cometa. La “testa” è composta da quello che rimane del DNA intatto nel nucleoide. È possibile visualizzare le comete marcandole con un colorante fluorescente ed utilizzando un microscopio a fluorescenza. Mediante un pretrattamento con appositi enzimi che idrolizzano il filamento di DNA in corrispondenza di specifiche lesioni prima della corsa elettroforetica, è possibile analizzare non solo le rotture al filamento ma anche siti apurinici o apirimidinici e basi ossidate [25].

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Potenziale effetto fotoprotettivo di alcuni polifenoli su cellule endoteliali umane

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Informazioni tesi

  Autore: Sara Maffia
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2015-16
  Università: Università degli Studi di Pavia
  Facoltà: Scienze Biotecnologiche
  Corso: Biotecnologie mediche, veterinarie e farmaceutiche
  Relatore: Monica Savio
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 99

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Parole chiave

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radiazioni
colture cellulari
polifenoli
cellule endoteliali
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