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Il consenso dell'imputato nel giudizio abbreviato

La sottrazione volontaria del teste

Quale sia il rapporto che avvince il consenso dell’imputato al principio del contraddittorio si è diffusamente detto nelle pagine precedenti; il primo rappresenta una causa di esclusione della garanzia de qua, limitatamente, tuttavia, al processo di formazione della prova, sicché la sua manifestazione eleva gli atti dell’inchiesta preliminare – fisiologicamente destinati ad orientare le determinazioni del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale (art. 326 c.p.p.) – a valido surrogato dei risultati della contesa dibattimentale.
Ciò posto, come si è avuto modo di evidenziare, la volontà dell’imputato, pur sterilizzando il contraddittorio, non pregiudica quel corollario ad esso strettamente correlato: la rinuncia, infatti, risulta in tanto ammissibile in quanto non comprometta il principio costituzionale che assicura in ogni stato e grado del processo il rapporto paritetico delle parti.
Ai fini che ci occupano, è ora inevitabile domandarsi se la richiesta di giudizio abbreviato, nel determinare la consapevole dismissione del contraddittorio, inteso come metodo epistemico, valga, altresì, a disattivarlo, nella sua accezione di garanzia che si realizza attraverso il confronto tra l’accusato ed il suo accusatore. Infatti, dopo aver stabilito che «il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova» (art. 111, 4° co. Cost.), il legislatore costituzionale del 1999, nella «seconda parte dell’art. 111, 4° co. Cost. [ha sanzionato] in termini legali il rifiuto del confronto, vietando di trarre la prova della colpevolezza dalle precedenti dichiarazioni, anche da quelle ottenute dall’esame diretto».
La questione, estranea all’originaria disciplina del rito, ha assunto rilevanza in seguito alle interpolazione della legge Carotti, che, ferma l’utilizzabilità degli atti unilateralmente raccolti nelle indagini preliminari, ha offerto la possibilità di sollecitare, ex art. 438, 5° co. c.p.p., ovvero di disporre ufficiosamente, ai sensi dell’art. 441, 5° co. c.p.p., un supplemento istruttorio. Preso, in particolare, atto che l’integrazione probatoria, tanto nell’uno quanto nell’altro caso, può consistere nell’escussione di soggetti che abbiano in precedenza reso sommarie informazioni, occorre evidentemente chiedersi quale sia la sorte processuale delle dichiarazioni unilateralmente raccolte – rispetto alle quali già si è manifestato il consenso ex art. 111, 5° co. Cost. – là dove il teste, per libera scelta, si sottragga volontariamente all’esame dell’imputato o del suo difensore.
Richiesto sul punto, il Giudice delle leggi ha rilevato, in via preliminare, che «la norma impugnata parla di “integrazione probatoria”, rimarcando così, anche sul piano terminologico, il carattere aggiuntivo (“integrazione”) – e non già sostitutivo, rispetto agli atti del predetto fascicolo – della prova che l’imputato intende far assumere nell’udienza preliminare», e, quindi, concluso, sottolineando che «a fronte di tale inequivoco dato normativo (…) nel momento in cui formula richiesta di giudizio abbreviato, sia pure “condizionata”, l’imputato – come “contropartita” ad una riduzione di pena nel caso di condanna – accetta l’utilizzabilità, ai fini della decisione di merito, dell’intero materiale probatorio raccolto nelle indagini preliminari fuori del contraddittorio tra le parti, senza alcuna eccezione».
Censurato, in particolare, l’assunto fondante dell’ordinanza di rimessione, il giudice costituzionale rivendica opportunamente l’utilizzabilità a fini di prova degli atti delle indagini preliminari, e, quindi, anche dei verbali di sommarie informazioni rese da chi successivamente si sottragga all’“interrogatorio”.
L’istanza di rito abbreviato attribuisce, infatti, dignità di prova a tali risultanze, atteso che, ai sensi dell’art. 111, 5° co. Cost., la deroga al contraddittorio nella formazione della prova è ammessa per consenso dell’imputato, che chiede di essere giudicato allo stato degli atti “senza se e senza ma”: non appare, dunque, condivisibile il rilievo del giudice rimettente che vede nella richiesta complessa un consenso parziale all’uso degli atti di indagine, ostativo, cioè, alla spendita dei verbali provenienti dalla fonte di prova nell’ipotesi in cui se ne è chiesto l’esame.

Questo brano è tratto dalla tesi:

Il consenso dell'imputato nel giudizio abbreviato

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Informazioni tesi

  Autore: Alessio Matarazzi
  Tipo: Tesi di Dottorato
Dottorato in Diritto e processo penale
Anno: 2010
Docente/Relatore: Claudia Cesari
Istituito da: Università degli Studi di Macerata
Dipartimento: Istituto di diritto e procedura penale
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 153

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