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La tassazione duale del reddito d'impresa

Le conseguenze della scomparsa della grande impresa

La scomparsa di grandi aziende da importanti settori dell’economia come la chimica, l’informatica (ne è un esempio l’Olivetti spazzata via dal mercato mondiale), l’aeronautica civile, la siderurgia, ha creato una provincializzazione dell’economia italiana ed una diminuzione della ricerca di solito realizzata nelle medie imprese ed applicata in quelle grandi con conseguente riduzione dei brevetti registrati. La mancanza di connessione tra le varie dimensioni aziendali ha impoverito il sistema economico in cui il declino dell’industria, non più principale produttrice della ricchezza nazionale, è stato sostituito con la finanza e il settore dei servizi. La geografia dell’industria italiana è cambiata: nel sistema economico ormai sorretto da piccole e medie imprese, spesso organizzate in distretti industriali messi comunque in difficoltà dalla concorrenza estera, hanno trovato spazio altri settori e nuovi imprenditori in alcuni casi spuntati dal nulla. I nuovi protagonisti hanno ottenuto come risultato comune lo sviluppo di aree e regioni prima periferiche, pur muovendosi in differenti direzioni:

- valorizzando il “Made in Italy” nei mercati esteri;
- colmando il vuoto lasciato dalla inefficiente presenza pubblica nei settori tradizionali e dal fallimento della stagione delle privatizzazioni (aperta per risanare il debito pubblico);
- rilanciando marchi dell’industria alimentare o di altri settori unendo tradizioni artigianali secolari ad una nuova rete di relazioni sociali;
- in qualche caso il successo è stato agevolato dall’elezione dei protagonisti alla Presidenza della Confindustria o dalla presenza delle banche fra gli azionisti della loro impresa.

Spesso il successo dei nuovi protagonisti è stato facilitato dalla costruzione di una fitta rete di relazioni sociali, territoriali, politiche, e dalla dimestichezza con i giochi finanziari lasciando poco spazio agli aspetti puramente industriali e di mercato.

E quelle imprese che non sono riuscite a creare le necessarie reti di relazioni o che avevano poca dimestichezza con giochi finanziari e speculativi che cosa hanno fatto? In alcuni casi sono scomparse dal mercato, in altri - pur di sostenere i profitti- hanno optato per l’evasione, il non rispetto di norme ambientali e di sicurezza sul lavoro, e per l’abbattimento del costo del lavoro decentrando, delocalizzando ed esternalizzando, con effetti negativi su crescita di salari, performance e dimensioni aziendali, competitività del paese.

In questo modo le imprese hanno imparato a sopravvivere più che a vivere, soprattutto in un periodo coinciso con il processo di unificazione monetaria europea e con la necessità di ridurre il debito pubblico nel rispetto dei parametri posti dal trattato di Maastricht. Ma per quanto tempo molte di esse riusciranno a sopravvivere? Siamo in una fase di congiuntura economica mondiale sfavorevole e di forte instabilità dell’intero sistema italiano; in questo scenario chi era gia debole prima della recessione potrebbe pagare pesanti conseguenze.

Attualmente il sistema imprenditoriale italiano conta più di quattro milioni di imprese il cui 95% è rappresentato da micro imprese (con un numero di addetti compreso tra 1 e 9) spesso impegnate in settori tradizionali; in termini di occupazione impiegata, di fatturato e di valore aggiunto prodotto rappresentano la maggiore componente della ricchezza nazionale. Il numero medio degli addetti per impresa è di 3,8, se si considera la sola impresa manifatturiera è di 8,9; tale numero è pari solo ad un terzo della media europea. La piccola dimensione limita la realizzazione delle economie di scala, degli investimenti in ricerca e sviluppo, delle collaborazioni con centri di ricerca, e subordina la gestione al solo titolare spesso poco propenso al ricambio generazionale. Nonostante tutto, l’Italia è l’ottava potenza economica mondiale e primo produttore in particolari settori di nicchia; i punti di debolezza del suo sistema industriale e finanziario potrebbero essere migliorati, ma occorrono dei rapidi radicali cambiamenti culturali, istituzionali e legislativi.

Tra le cause esterne considerate responsabili della limitata crescita delle imprese si è fatto riferimento alla Istituzioni ed in particolare alla legislazione eccessiva e non sempre ispirata ai principi base dell’ordinamento giuridico.

I principi in questione da tempo invocati per migliorare struttura e performance delle imprese sono l’equità e l’efficienza; un sistema di tassazione con scarsa ispirazione a tali principi crea una serie di conseguenze negative: sottocapitalizzazione delle imprese, inefficiente sistema banca-impresa, evasione.

L’inefficienza delle imposte attiva uno strano meccanismo nelle scelte di investimento/finanziamento degli attori economici legato soprattutto:
* alle differenti caratteristiche del capitale di rischio e del capitale di debito;
* alla valutazione della Roc e del Roe.
Nel prossimo capitolo si analizzano gli aspetti della mancanza di neutralità dell’imposizione che unita al problema della sottocapitalizzazione delle imprese ha sollevato la necessità di intervenire a livello legislativo ed ottenuto l’introduzione della DIT.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La tassazione duale del reddito d'impresa

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Informazioni tesi

  Autore: Maddalena Antonietta Di Prenda
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli studi di Napoli "Parthenope"
  Facoltà: Economia
  Corso: Scienze economico-aziendali
  Relatore: Loredana Carpentieri
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 134

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