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La Spagna ed il Mediterraneo: da politica nazionale a politica europea

Le nuove iniziative: Politica Europea di Vicinato e Unione per il Mediterraneo

Durante il secondo governo Aznar, già a partire dal 2002, quando i negoziati con i paesi dell’Est erano ormai prossimi alla conclusione, la Gran Bretagna dell’alleato Blair lanciò l’idea di stabilire relazioni più forti e lineari con i paesi che, in seguito al grande allargamento, sarebbero diventati i nuovi vicini dell’Europa. L’anno successivo, con la Comunicazione 104, la Commissione propose l’iniziativa Wider Europe, venendo quindi incontro alle richieste degli stati membri. All’interno del documento, si può apprezzare come fosse presente anche il Mediterraneo meridionale, grazie alla pressione congiunta di Spagna, Italia e Francia sul Presidente Prodi, poiché questi ultimi – come successo negli anni successivi la caduta del muro di Berlino – temevano che l’Unione si sarebbe concentrata nuovamente sulla parte orientale del continente, vanificando l’intero processo di Barcellona.

Di conseguenza, il programma venne rivisto, cambiando anche il nome in Politica Europea di Vicinato (PEV). La ratio dell’iniziativa era dare una risposta comunitaria di fronte ai cambiamenti che stavano avvenendo nei due margini continentali, vale a dire est e sud. Come sottolinea Albinyana, “più che una politica con i vicini, [fu] una politica per i vicini, seguendo una logica centro-periferia”. In effetti, nell’Europa post 11 settembre, la sicurezza aveva assunto un’importanza crescente e divenne internazionali. Con la PEV sarebbe iniziata una stretta collaborazione con i (nuovi) vicini che verosimilmente non avrebbero aderito in futuro all’Unione Europea, generando di fatto un vero e proprio cuscinetto attorno al Vecchio continente – come del resto stava facendo anche la NATO – attraverso un ragionamento geopolitico paragonabile quasi al concetto di Rimland di Spykman ma alla rovescia, con l’Europa a fare da area pivot.
Oltre alla componente securitaria, la PEV si contraddistinse per due novità, la prima fu l’eterogeneità dei partecipanti poiché, oltre a Mediterraneo e (nuovo) est europeo vide la presenza dei Balcani Occidentali. In secondo luogo, reintrodusse l’approccio bilaterale, a causa dell’evidente fallimento del Partenariato e della convinzione che in Medio Oriente il dialogo a due avrebbe generato molti più progressi. Questo modus operandi fu la constatazione del comportamento che gli stati ormai avevano adottato già dai primi anni 2000, quando a risposte europee condivise avevano preferito l’azione individuale poiché considerata più efficace.

Il Mediterraneo quindi, come fa notare Wulzer, si trovò ad essere gestito attraverso un doppio binario. Da una parte ciò che rimaneva del Partenariato basato sul multilateralismo e dall’altra la visione bilaterale della PEV. In questo modo, vi fu anche una differenziazione dei risultati attesi dai paesi beneficiari delle politiche europee, generando di conseguenza vicini di serie A e di serie B, in base ai progressi e PEM si sarebbero sovrapposti e rivaleggiati ma, col passare del tempo, questa sensazione scemò e prese piede la convinzione che avrebbero potuto coesistere, diventando complementari, almeno fino al 2008 quando il Processo di Barcellona subì un’alterazione considerevole.
In questo contesto, la Spagna assunse una posizione altalenante che, con l’avanzare degli anni ed il cambiamento del governo, mutò in direzione di un’accettazione della realtà dei fatti. Durante gli ultimi due anni di Presidenza Aznar, come visto, Madrid si impegnò, assieme agli alleati, affinché il Mediterraneo venisse incluso nella PEV. Al contrario, con l’arrivo di Zapatero, crebbe lo scetticismo a causa dello sviluppo della politica in una direzione contraria alle prerogative spagnole. Infatti, il governo temeva che la PEV potesse diventare uno strumento di “preadesione nascosta” dei paesi orientali, il che avrebbe inevitabilmente reso il sud molto meno importante a causa del criterio geografico che non avrebbe mai permesso ai paesi ribeños di aderire all’Unione. Il fatto però che al Marocco la PEV interessasse portò la Spagna ad essere meno scettica, fino ad abbracciare un certo attivismo durante la seconda metà della legislatura 2004-2008 poiché ormai l’iniziativa era partita e non avrebbe avuto senso contrastarla, arrivando infatti nel 2007 a spingere per uno status avanzato delle relazioni UE-Rabat.

Proprio in quell’anno, durante il quale l’Unione si allargò a Bulgaria e Romania, diventando l’Europa a Ventisette pensata a Nizza, il candidato alle Presidenziali francesi Nicolas Sarkozy, in un intervento nella città di Tolone il 7 febbraio, annunciò il progetto di scuotere la politica regionale attraverso l’istituzione di una vera e propria Unione Mediterranea. Nella mente del futuro Presidente, il Mare Nostrum avrebbe dovuto riacquisire la centralità persa nel corso degli anni attraverso un’impostazione molto più ristretta e realistica, basata sulla cooperazione economica e culturale. Non partecipare, per ragioni geografiche e storiche, con la Francia alla guida dell’iniziativa. Di conseguenza, l’Unione Mediterranea si sarebbe discostata sia dal Partenariato che dalla PEV a causa dell’assenza della componente comunitaria. Il progetto francese si basava su un discorso già presente da tempo in Europa, ovvero l’eccessivo focus comunitario ad est e la perdita di importanza del mare a causa dell’imposizione delle prerogative del Nord, difese in primo luogo dalla Germania.

In un secondo discorso a Tangeri nell’ottobre del 2007, Sarkozy enfatizzò la necessità di una vera unione politica, economica, culturale basata sull’uguaglianza e la solidarietà che riprendesse addirittura il funzionalismo iniziale del processo d’integrazione, rappresentato dalla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Un discorso molto distante dalle politiche mediterranee comunitarie sviluppate fino a quel momento e che, non a caso, ricevette subito delle critiche.
La proposta venne tuttavia estesa a Spagna ed Italia e poi agli altri rivieraschi del nord, compresa la Turchia che, per Sarkozy, non avrebbe potuto far parte dell’Unione Europea perché collocata in un altro continente. L’iniziativa venne plasmata nel dicembre successivo, quando il Presidente francese, Zapatero e Prodi, in quel momento Presidente del Consiglio italiano, si incontrarono a Roma, da dove lanciarono l’appello alla “cooperazione, non all’integrazione […] che in nessun caso [avrebbe sostituito] il Processo di Barcellona”. La differenza principale tra il Partenariato e l’Unione è il modo attraverso il quale si può notare la presenza degli interessi nazionali dei proponenti. Mentre nel caso spagnolo il PEM fu una trasposizione delle prerogative madrilene in Europa, nel caso dell’iniziativa francese si notano tentativi di rinazionalizzare gli impegni nel Mediterraneo, con Parigi desiderosa di recuperare il proprio prestigio in una regione che aveva sempre considerato di sua competenza, dopo aver perso influenza a causa della presenza spagnola e, in misura minore nella parte orientale, americana. Ratka descrive bene quale fu il grande obiettivo di Sarkozy:

“[…] restaurer la fierté des Français et la grandeur de la France, rompre avec le doute, la paralysie, la pusillanimité des années précédentes. En dessinant un grand projet international, dans lequel la France émerge comme un leader quasiment naturel […]”.

La cancelliera Merkel intervenne immediatamente poiché, se la proposta fosse divenuta realtà ricevendo l’endorsement della Commissione, la Francia si sarebbe inevitabilmente rafforzata vis-à-vis la Germania. Inoltre, si sarebbero creati due grandi blocchi gestiti da Parigi e Berlino, il primo mediterraneo ed il secondo centro-orientale, che avrebbero scalfito notevolmente la componente comunitaria. Per questo motivo Sarkozy, dopo un bilaterale con Merkel nella città tedesca di Hannover, accettò di ridimensionare la sua proposta, che divenne nel novembre 2008 Unione per il Mediterraneo, includendo quindi tutti i paesi UE, in modo tale da rafforzare il debole Partenariato che, tecnicamente, esisteva ancora.
Zapatero, fresco di rinnovo del mandato governativo, accolse con entusiasmo il soccorso della Germania poiché il suo desiderio era quello di preservare il Partenariato. Non a caso, quando nel luglio 2008 l’Unione venne lanciata, la Spagna riuscì ad ottenere l’inclusione della dicitura “Processo di Barcellona” nel nome e la sede del segretariato nella capitale catalana. Tuttavia, come sottolinea Grau i Segú, l’ampliamento del bacino di paesi partecipanti, la denominazione e la collocazione degli uffici furono “las ultimas victorias diplomáticas señaladas de España en el ámbito mediterráneo […] juntamente a la diplomacia italiana”. Questo perché Parigi assunse di fatto la leadership nello sviluppo del progetto che essa stessa aveva lanciato e, in generale, della politica mediterranea all’interno dell’Unione. Sarkozy ebbe molta più forza di Zapatero, sicuramente per questioni di carisma e personalità, soprattutto perché il suo paese non venne colpito, nello stesso modo della Spagna, dalla crisi economica che scoppiò nel 2008.

Dopo aver toccato il cielo con un dito, al punto che si iniziò addirittura a parlare di “asse Parigi-Madrid-Washington”, in virtù della riconciliazione con gli Stati Uniti dopo anni di freddezza, la crisi divenne tangibile e Madrid, debole dal punto di vista economico-finanziario, perse di credibilità. A partire da quel momento, la Spagna si dedicò alle proprie questioni interne, prioritarie rispetto a quelle esterne, concedendosi di fatto una pausa di riflessione dal punto di vista internazionale. Così facendo però, Madrid vide vanificare gli sforzi fatti per plasmare a propria immagine e somiglianza la politica mediterranea europea, lasciando nelle mani dei propri competitor regionali Francia e Italia l’onore e l’onere.

Questo brano è tratto dalla tesi:

La Spagna ed il Mediterraneo: da politica nazionale a politica europea

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Informazioni tesi

  Autore: Lorenzo Molin
  Tipo: Tesi di Laurea Magistrale
  Anno: 2018-19
  Università: Università degli Studi di Bologna
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze Internazionali e Diplomatiche
  Relatore: Giuliana Laschi
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 152

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