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La nozione di appercezione nella filosofia di Arthur Schopenhauer

Le osservazioni di Schopenhauer sul concetto kantiano di appercezione

Com'è stato detto all'inizio di questo capitolo, nell'opera di Schopenhauer non è possibile trovare una spiegazione concisa del perché non accetta la nozione kantiana di appercezione. Al contrario, in Il mondo come volontà e rappresentazione le sue critiche a questa nozione si presentano in modo disperso a seconda dell'argomento che egli stia affrontando. Non esiste, quindi, un contrasto sistematico tra la sua nozione di appercezione e quella kantiana, come invece sì accadeva con le concezioni della metafisica e della sua metodologia, o con le definizioni delle facoltà dell'intelletto e la ragione. In questo contesto, a partire dalle poche affermazioni che egli ne fornisce, mostrerò le presunte ragioni che hanno portato Schopenhauer a non adottare il carattere formale di appercezione. Inoltre, delineerò in modo parziale tanto la sua propria nozione quanto l'interpretazione che egli ha di essa.

Dunque, per quanto riguarda i motivi che hanno comportato che Schopenhauer rifiuti la formulazione kantiana di appercezione, essi possono essere condotti alla divergenza tra il metodo trascendentale e il suo metodo fenomenologico. Come visto nel primo capitolo, sembrerebbe che il metodo trascendentale è presente maggiormente nella sezione dell'Analitica Trascendentale e non nell'Estetica Trascendentale. Questa almeno è la conclusione che si può trarre quando Schopenhauer segnala che le argomentazioni presenti nell'Estetica Trascendentale hanno una forza persuasiva così piena, a tal punto che egli le considera come le verità inconfutabili e tra quelle più ricche di conseguenze (cfr. Schopenhauer, 1819, p. 557).

Il filosofo di Danzica fa un contrasto tra quelle sezioni e segnala che nell'Estetica si trova chiarezza e sicurezza espositiva, mentre nell'Analitica l'andamento espositivo è timoroso, oscuro, confuso e impreciso. A detta sua, questa esposizione è un indizio dell'infondatezza della dottrina delle categorie. Egli, riferendosi a Kant, segnala che«nell'estetica trascendentale le sue tesi risultano effettivamente dimostrate come fatti innegabili della coscienza; nell'analitica trascendentale, al contrario […] troviamo semplici affermazioni che così è e così deve essere» (ivi, pp. 570-571).

In più, considerando anche la polemica vista nel primo capitolo che consisteva nelle differenze significative tra la prima e la seconda edizione della Critica, il filosofo segnala che la seconda e terza sezione della Deduzione dei concetti puri dell'intelletto sono diventate del tutto diverse rispetto alla prima sezione però non sono diventate più chiare (ivi, p. 570).
Tutto questo significa che il giudizio negativo di Schopenhauer nei confronti del metodo kantiano si estende anche ai risultati teorici presenti nell'esposizione dell'Analitica. Il seguente brano conferma questa idea:

Kant si dà da fare per mostrare come, dopo l'intuizione, che è data nella sensibilità, l'intelletto, pensando per mezzo delle categorie, costituisca l'esperienza. Di conseguenza espressioni come ricognizione, riproduzione, associazione, apprensione, unità trascendentale dell'appercezione, vengono ripetute fino alla nausea, senza che però si raggiunga alcuna chiarezza. È assai degno di nota, tuttavia, che in questa esposizione egli non tocchi neanche una volta ciò che dovrebbe venire in mente per primo a chiunque, ossia il riferirsi della percezione sensibile alla sua causa esterna.
SCHOPENHAUER, 1819, p. 571

Qui è nuovamente presente la critica sull'origine dell'esperienza, ossia la domanda sulla causa esterna della percezione sensibile, una critica che Schopenhauer spesso ribadisce nei confronti dell'esposizione kantiana. Quando il filosofo segnala che per Kant l'intelletto costituisce l'esperienza pensando per mezzo delle categorie, sta enfatizzando che la parte astratta del mentale rende possibile l'esperienza. Ma, come visto in precedenza, il filosofo di Danzica non può ammettere che le categorie siano parte della conformazione dell'esperienza, perché anche se sono concetti a priori essi restano comunque un tipo di concetti, e quindi astratti. Per lui la parte astratta del pensiero non può rendere possibile l'esperienza, perché sono i concetti a prendere il loro contenuto da essa. Di conseguenza, tutte le altre espressioni, tra le quali è menzionata l'unità sintetica dell'appercezione, hanno in comune questo errore. [...]

Questo brano è tratto dalla tesi:

La nozione di appercezione nella filosofia di Arthur Schopenhauer

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Informazioni tesi

  Autore: Giancarlo Anselmo Rivera
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi Roma Tre
  Facoltà: Lettere e Filosofia
  Corso: Filosofia teoretica, morale, politica ed estetica
  Relatore: Massimo Marraffa
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 158

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