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I meccanismi molecolari di resistenza agli insetticidi: conoscenze attuali e casi studio

Le prospettive per il superamento delle resistenze

Sin dalla nascita dell’agricoltura circa 8.000 anni fa, l’uomo ha dovuto proteggere le colture da agenti biotici, tra cui gli insetti. Nei primi decenni del ventesimo secolo, l’agricoltura divenne intensiva e, per la salvaguardia delle produzioni, si è ricorso a insetticidi inorganici ma soprattutto alle prime sostanze organiche di sintesi. Queste innovazioni furono accolte con grande favore. Si creò un momento magico detto “Golden Age”, tanto da far pensare che il problema della difesa fosse risolto definitivamente mediante interventi a calendario. A interrompere questo contesto fiabesco fu Rachel Carson con il suo libro “Silent Spring”, in cui si mettevano in evidenza fenomeni quali l’inquinamento, i residui nei prodotti agricoli, l’ingresso di insetti esotici, la resistenza agli insetticidi.

Nel corso del tempo, la selezione genetica ha favorito dei fenotipi naturali decisamente vantaggiosi per quanto riguarda la sfera produttiva o qualitativa. Spesso, una distinzione di questo genere tende a favorire delle proprietà non sempre efficaci nei confronti dell’adattabilità ad avversità biotiche e abiotiche. Le piante coltivate sono diventate sempre di più dipendenti verso l’intervento antropico (fertilizzazione, difesa, diserbo). Si è ridotta sempre di più la capacità di sopravvivenza nell’ambiente naturale. L’uomo, a sua volta, ha basato la propria economia agraria su queste piante molto performanti, ma delicate. È vero che la produzione agricola è aumentata, specialmente dopo la “rivoluzione verde”, ma non è mai stata così fragile e instabile. La caratteristica di instabilità è legata anche al ricorso smisurato alla meccanizzazione basata, sostanzialmente, sull’utilizzo dei combustibili fossili. Le conseguenti emissioni di CO2 (diossido di carbonio o anidride carbonica) sono una delle possibili cause dei cambiamenti climatici dai quali si esplicano eventi meteorologici estremi sempre più frequenti. Questi, a loro volta, si ripercuotono sulle piante, che essendo fragili, richiedono un incremento degli interventi di mitigazione.

Solo nell’ultima metà del XX e nel XXI secolo, si è assistito a una lenta inversione di tendenza che mira a una maggiore consapevolezza. Ebbe inizio l’era della lotta guidata basata sull’utilizzo razionale degli insetticidi, solo se necessario, sulla base di azioni di monitoraggio e la definizione di soglie d’intervento. L’evoluzione della lotta guidata costituì la difesa integrata (IPM), che si realizza mediante l’impiego, congiunto e razionale, di più mezzi agronomici, meccanici, biologici, microbiologici, biotecnologici e infine di sostanze chimiche solo se i precedenti metodi non si rivelano sufficienti. I tre aspetti chiave che caratterizzano la difesa integrata sono: la verifica dell’effettiva necessità di eseguire l’intervento attraverso il monitoraggio e la definizione delle soglie di infestazione, l’individuazione dell’epoca più idonea per i trattamenti e la scelta della tecnica di somministrazione adeguata. Nell’ambito del legame tra il monitoraggio e la determinazione di soglie, risultano essere di fondamentale importanza le conoscenze sulla biologia ed ecologia dei fitofagi in senso lato. Le soglie devono essere definite a livello sperimentale.
Solo la collaborazione interdisciplinare degli studiosi è in grado di realizzare modelli previsionali a più incognite che incrociano dati economici, ambientali e agronomici. Spesso tali modelli sono soggetti a errori risolvibili ricorrendo a un costante monitoraggio. Il criterio di campionamento deve essere eseguito secondo un approccio il più oggettivo possibile. Sotto questo aspetto, è opportuno fare riferimento a protocolli standard. L’universo campionario sarebbe così omogenizzato per poter confrontare dati e giungere a delle conclusioni compatibili anche con altri ambienti. In questo modo, si arriva difficilmente a un risultato non rappresentativo. Se, per esempio, un insetto allo stadio adulto viene ricercato sulla chioma ma non trovato in quanto si trova in quel momento in uno stadio preimaginale a livello del suolo, si potrebbe arrivare a delle conclusioni errate. Un trattamento scorretto comporterebbe delle questioni non solo ambientali ma anche economiche. Inoltre, rilasciando un certo p.a. nell’ambiente, il conseguente incremento della pressione selettiva favorirebbe la comparsa di individui resistenti.

Le popolazioni, inserite in un dato ecosistema, tendono a costituire delle comunità “climax” stabili e in equilibrio grazie alla resistenza biotica e abiotica dell’ambiente. Il fenomeno della globalizzazione caratterizzata da pochi controlli, o da controlli non efficaci, consente la diffusione di specie in ambienti diversi rispetto a dove sono in equilibrio. Mentre gli organismi sovranazionali come l’EPPO sono deputati a limitare la diffusione di specie esotiche, a livello nazionale la gestione di fitofagi ormai introdotti può essere regolata tramite l’emanazione di Decreti di Lotta Obbligatoria. Nel lungo periodo è possibile ricorrere all’impiego di agenti biotici (come virus, batteri, funghi, nematodi, artropodi) per contenere popolazioni al di sotto di certe soglie. Questa pratica prende il nome di lotta biologica. Può essere di tipo propagativo, aumentativo e conservativo. La lotta biologica propagativa cerca di contrastare organismi esotici andando a ricercare, nell’ambiente originario, il limitatore naturale da introdurre laddove non sia presente. La lotta biologica di tipo aumentativo si suddivide nei metodi inondativi (se si distribuiscono agenti biologici in maniera analoga ai trattamenti insetticidi) o inoculativi (tramite il rafforzamento periodico delle popolazioni di specie già presenti). Infine, la lotta biologica conservativa mira a favorire gli insetti utili già presenti tramite la gestione dell’ecosistema (habitat management).
Oltre all’utilizzo di agenti di lotta biologica, nel breve periodo è spesso necessario ricorrere a molecole, naturali o di sintesi, ad azione insetticida. La ricerca (pubblica e privata) è in continuo studio per sviluppare l’insetticida ideale. Deve agire sui fitofagi ma essere innocuo per insetti utili, deve svolgere la sua attività rapidamente e a basso dosaggio, non deve persistere nell’ambiente, non si deve accumulare delle falde e nei prodotti alimentari, non deve avere nessun effetto tossico né acuto e né cronico nei confronti dei mammiferi (Civolani, 2021). Al momento, la necessità e la richiesta di nuovi mezzi di lotta sono in crescita. Negli ultimi anni l’affacciarsi di nuove potenziali biotecnologie, come l’RNAi, ha aperto le basi per lo sviluppo di tecniche che potrebbero offrire nuove prospettive in futuro.

A premere fortemente vi è anche l’aumento della richiesta alimentare in quanto la popolazione mondiale sta aumentando. Quanto detto è rilevante soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Tuttavia, l’andamento della richiesta alimentare, rispetto ai recenti squilibri causati dalla pandemia da Covid-19 e legati alla Guerra in Ucraina, potrebbe comportare degli ulteriori effetti misurabili solo nel lungo periodo. A questo si sommano le difficoltà nella registrazione dei nuovi insetticidi per norme sempre più restrittive da parte del Legislatore.
Lo sviluppo di un nuovo insetticida può derivare dalla conoscenza di sostanze già note, sostanze naturali oppure può essere dettata dalla casualità. A seguito, lo screening può essere in vivo, in silico oppure in vitro. Pertanto, la ricerca e lo sviluppo, prima di giungere alla registrazione finale sul mercato, hanno dei costi superiori ai duecento milioni di euro. Effettivamente, solo le imprese che hanno una buona dotazione di capitali e risorse sono in grado di permanere sul mercato a queste condizioni. Ecco spiegata la concentrazione delle imprese in società multinazionali che potrebbero portare a forme di mercato monopolistico o oligopolistico. Le imprese che detengono l’offerta sarebbero in grado di condizionare il prezzo a loro vantaggio ma a danno del consumatore, sempre più dipendente da queste poche realtà. Queste considerazioni valgono sia per la difesa fitosanitaria sia per la sfera veterinaria e medicale.
L’avvento di nuove tecnologie consente di sequenziare facilmente il genoma degli insetti. Una volta raccolti i dati in database è possibile eseguire l’analisi bioinformatica a vari scopi. Uno di questi è l’identificazione dei geni responsabili della resistenza. La possibilità di ricavare le informazioni conservate negli acidi nucleici ha permesso lo sviluppo di altre tecnologie applicabili allo sviluppo di strategie utili nell’ambito della lotta ai fitofagi, come l’RNAi e la CRISPR/Cas9 (Clustered Regularly Interspaced Short Palimdromic Repeats) (Hyder et al., 2021).

Questo brano è tratto dalla tesi:

I meccanismi molecolari di resistenza agli insetticidi: conoscenze attuali e casi studio

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Informazioni tesi

  Autore: Marco Manta
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2021-22
  Università: Università degli Studi di Torino
  Corso: Scienze e tecnologie agrarie, agroalimentari e forestali
  Relatore: Alberto Alma
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 56

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Parole chiave

resistenza
insetticidi
myzus persicae
spodoptera littoralis

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