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Un multilateralismo convinto: l'Italia nell'Onu

Le varie assemblee che si susseguirono alla XX Assemblea

Nel 1966 l’Italia si mosse nel senso auspicato da Fanfani e il 21 novembre, nel corso della XXI Assemblea, presentò la proposta, di istituire una “Commissione ad hoc”, incaricata di studiare in maniera approfondita i vari aspetti del problema cinese e di presentare alla XXII Assemblea una relazione contenente proposte concrete per una soluzione equa e realistica del problema stesso. L’iniziativa, indubbiamente originale, suscitò grande interesse ma il 29 novembre venne respinta dall’Assemblea con 57 voti contrari, 46 favorevoli e 17 astenuti. Gli Stati Uniti, anche se apparentemente favorevoli, erano sostanzialmente contrari alla stessa, in quanto non erano intenzionati allora a mutare la loro politica verso la Cina comunista. Erano tuttavia contrari anche la stessa Cina e i paesi ad essa legati; a loro volta quelli legati a Formosa vedevano nell’iniziativa il tentativo di introdurre la “teoria delle due Cine”, che prevedeva la contemporanea presenza di Formosa e della Cina popolare all’Onu. Inoltre in Assemblea non era ben visto il tentativo di adoperare una procedura anomala di ammissione nel caso della Cina. L’iniziativa italiana, tuttavia, sebbene non riuscita, proiettò, forse per la prima volta, la politica estera del paese sulla scena della “grande” politica e ne mise in luce il tentativo di cercare un proprio margine di autonomia, senza venir meno alla lealtà verso l’alleato maggiore.
La proposta venne di nuovo presentata e bocciata nel 1967 e nel 1968, mentre l’Italia continuò a votare in accordo con gli Stati Uniti, fortemente sollecita da quest’ultimi al riguardo. Nel 1969 con il nuovo ministro degli Esteri, Nenni, già critico della condotta tenuta sul problema cinese dai precedenti governi, la volontà italiana di ammettere all’Onu il governo di Pechino si manifestò con maggior vigore. Per il leader socialista, “l’universalità delle Nazioni Unite corrispondeva sia alla sua aspirazione al superamento del sistema bipolare, sia alla convinzione che per una media potenza come l’Italia il pluralismo della società internazionale costituisse la tutela più efficace dei suoi interessi nazionali”. Lo stesso indirizzo fu seguito anche d Moro, successore di Nenni alla guida della Farnesina con il Governo monocolore Rumor II, in carica dall’agosto dello stesso anno.
Egli si mosse però con la sua ben nota prudenza. Alla XXIV Assemblea Generale l’Italia, oltre a ritirare la proposta della “Commissione ad hoc”, votò, come sempre, a favore della risoluzione americana concernente l’“importanza” della questione cinese, ma, a differenza del passato, non votò contro la mozione albanese, che chiedeva la sostituzione di Formosa con la Cina di Mao, ma si astenne.
L’Italia aveva allora in corso negoziati per il riconoscimento diplomatico di quest’ultima, che avvenne l’anno successivo, il 6 novembre 1970. qualche giorno dopo, all’Onu di fronte al riproporsi della questione del seggio cinese, Roma nonostante l’avvenuto riconoscimento, continuò a esitare tra il favore per l’ammissione e le pressioni americane in senso contrario. I due maggiori partiti della coalizione, la Dc e il Psi, erano alquanto divisi in merito: si doveva tenere conto delle critiche dell’opposizione, dell’atteggiamento americano e dell’aspirazione a una maggiore autonomia in politica estera, verso cui spingevano anche gli interessi economici e commerciali del paese. Così l’Italia votò a favore sia della mozione americana sia di quella albanese. La Cina ancora una volta rimase fuori dal Palazzo di Vetro. Solo l’anno successivo, grazie ai mutamenti in atto sulla scena internazionale, in seguito alla crisi dei rapporti cino-sovietici e al riavvicinamento fra Cina e Stati Uniti, l’Italia, pur sottoposta ancora alle pressioni americane e sempre divisa al suo interno tra fedeltà atlantica ed esigenze di autonomia, nel corso dei lavori della XXVI Assemblea prese una posizione più decisa. Moro, nel suo intervento, constatò che lo scenario internazionale si stava ormai avviando verso un “tripolarismo”, a seguito dell’emergenza del continente asiatico accanto alle tradizionali superpotenze, era pertanto necessario, per favorire il passaggio dal vecchio al nuovo equilibrio mondiale, effettuare alcuni cambiamenti in seno all’Onu. Auspicò quindi l’immediata ammissione nella stessa della Repubblica Popolare Cinese e si astenne sulla mozione statunitense della “questione importante”, che fu sconfitta.
A seguito di ciò gli Stati Uniti rinunciarono a presentare la mozione basata sulla “teoria delle due Cine”. Successivamente l’Italia votò a favore della mozione albanese che fu accolta dall’Assemblea, sancendo l’ingresso della Cina popolare nell’organizzazione.
La vicenda, oltre alla lenta evoluzione della posizione dell’Italia, a causa dei condizionamenti interni ed internazionali, evidenziò anche un altro aspetto caratteristico della sua politica nell’ambito delle Nazioni Unite. L’Italia era pronta a cogliere gli spazi concessi da una relativa incipiente distensione, sino a farsi più disinvolta verso l’alleato maggiore, nel tentativo di partecipare con maggiore incisività alla vita internazionale. Stretta, tuttavia, fra le sue esigenze economiche e politiche e i condizionamenti derivanti dalla sua collocazione occidentale, nonché dalle vicende della politica interna, il paese non sempre riusciva a mantenere una coerente linea di condotta nell’ambito dell’Onu. Cercava comunque di costruire e mantenere aperti spazi di dialogo che, per quanto esegui, erano utili alla comunità internazionale e rispondenti agli interessi del paese.

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Un multilateralismo convinto: l'Italia nell'Onu

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Informazioni tesi

  Autore: Simona Partigiani
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2008-09
  Università: Libera Univ. degli Studi Maria SS.Assunta-(LUMSA) di Roma
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Relazioni internazionali
  Relatore: Matteo Pizzigallo
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 152

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