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Luigi Albertini, Il Corriere Della Sera e la crisi dello Stato Liberale 1919-1922

Libertà di stampa e censura

La missione del Corriere della Sera negli anni di Albertini è quella di creare una classe liberale evoluta e consapevole che sia la spina dorsale del Paese e di favorire una educazione civica che porti ordine, libertà, stabilità e trasparenza nell'attività parlamentare.

Un dibattito che non deve più sottostare a sotterfugi e vecchie pratiche trasformiste, tenendo conto che le forze socialiste e cattoliche sono decisamente più compatte di quelle liberali nel guidare le classi operaie e piccolo borghesi, minacciando la stabilità e lo sviluppo nazionale. Fra stampa e potere politico si crea un legame che farà discutere a lungo e che comincia a essere evidente già in occasione del caso Dreyfus in Francia. In Italia iniziano forme di controllo più o meno dirette sulla stampa dopo lo scandalo della Banca Romana nel 1893.

Negli anni dei suoi governi Giolitti ha un peso determinante nel manipolare l'opinione pubblica utilizzando fondi neri del Ministero dell'Interno per portare a sé direttori di giornali e giornalisti, ma anche concedendo favori e privilegi a certe testate giornalistiche a discapito di altre che ne vengono penalizzate. Dal 1913 il corpo elettorale si estende a tutti i maschi che abbiano compiuto 30 anni e che abbiano prestato servizio militare.

Di conseguenza non sono più sufficienti le pratiche consuete di corruzione, intimidazione e minacce a sindaci e consigli comunali e il coinvolgimento della stampa si rivela quanto mai indispensabile. Il Corriere della Sera può contare sulla propria solidità finanziaria e sulla fedeltà dei lettori per contrastare i singoli politici che fanno pressioni sui vari quotidiani e che non hanno la compattezza del quotidiano milanese.

D'altronde, la classe liberale non riesce a unirsi in un partito politico moderno e questo rappresenta il suo grande limite soprattutto dopo il 1919, quando subisce l'avvento dei grandi partiti di massa. Fino a quel momento, i singoli politici sfruttavano le amicizie per farsi propaganda e i giornali finivano per diventare la loro voce. Albertini riesce a fare l'opposto e cioè creare un proprio "giornale-partito" che si impone sul Governo e sulle decisioni politiche.

L'indipendenza tanto reclamata e l'informazione neutra e imparziale è indirizzata a tutelare gli interessi della classe liberale che si riconosce nel suo giornale e a garantirne la stabilità. Da un lato, quindi, l'esigenza di creare una classe liberale moderna e evoluta, stimolando il dibattito e la consapevolezza di essere la forza trainante del Paese, dall'altro, l'esigenza di contenere le forze avversarie. Tutto sempre tutelando l'interesse economico: quello di aumentare la tiratura del giornale.

Quanto possa agire sull'opinione pubblica la pressione della stampa è evidente in occasione dei conflitti, a partire dalla guerra di Libia. I primi a sostenere l'impresa giolittiana furono l'Idea nazionale (dell'associazione nazionalista italiana) e successivamente i quotidiani filo giolittiani La Stampa e La Tribuna. Il Corriere della Sera vi aderisce il 10 settembre 1911, in seguito all'intervento del Ministro degli Esteri Antonino di San Giuliano che, attraverso Andrea Torre, convince Albertini a schierarsi a favore dell'intervento. Quando Albertini afferma che: "è la vasta e impetuosa opinione pubblica a guidare il Governo in questa impresa", nasconde che questa opinione è stata creata dalla stampa che ha tanto decantato l'intervento.

Al tempo stesso Albertini, come tutti gli altri direttori, deve contrastare la censura imposta dal Governo, che pone il divieto di seguire le operazioni belliche agli inviati dei giornali. in base a una vecchia concezione che attribuisce alla segretezza il successo delle operazioni militari. L'informazione avrebbe così dovuto limitarsi a uno scarno resoconto fornito dall'Ufficio stampa.

Il Corriere della Sera del 1° ottobre 1911 conferma la volontà di non divulgare segreti militari e non contesta la censura in quanto tale, ma i modi. Sostiene la necessità di avere accesso a notizie attendibili in modo da esercitare il diritto/dovere di informare i lettori in quanto solo chi è del mestiere ha la professionalità e sensibilità a stabilire cosa e come scrivere. Quello che emerge dai comandi militari e dal mondo politico in generale, è che non viene compresa l'importanza della informazione nella nuova società di massa esclusa ancora dalle vicende che la riguardano.

Come sostiene Simona Colarizi, Albertini avrebbe seguito la guerra seguendo due direttrici: l'autocensura, e la propaganda. Tutto ciò è in contrasto con la sua volontà di rappresentare la verità. Una volontà che deve sottomettersi agli "interessi nazionali". Così mentre corrispondenti come Barzini si spendono per dare un quadro realistico dell'azione in Libia, a Milano viene deciso di pubblicare una realtà edulcorata e rassicurante per l'opinione pubblica.

Ad aggravare il compito della stampa nazionale è il fuoco incrociato di quella estera (soprattutto inglese) che invece è libera di commentare e mettere in cattiva luce le forze italiane, senza il timore di essere smentita. Il ruolo del giornale di Albertini, più degli altri, contribuisce a far nascere l'unione nazionale e l'amor di Patria, ma al tempo stesso, con la sua autocensura, viene meno uno dei fondamenti alla base del pensiero albertiniano, quello dell'informazione libera e neutrale.

In occasione del primo conflitto mondiale Albertini diviene, senza indugi, un vero organo di propaganda a favore dell'intervento, opponendosi all'idea giolittiana che "tanto si sarebbe potuto ottenere dalla neutralità". Riesce a convincere l'opinione pubblica, in gran parte neutrale, spingendo per il raggiungimento degli obiettivi risorgimentali e va oltre dando alla guerra la valenza morale della lotta del bene contro il male, della causa alta e suprema, dello sviluppo delle civiltà, perché è consapevole che l'impegno richiesto alla nazione è enorme e deve essere adeguatamente motivato.

Nel fare questo Albertini si lega indissolubilmente alle forze di Governo a favore della guerra, animando la "splendida minoranza" interventista. Verso la fine del 1914 inizia a fare pressione sul Governo Salandra e quando diventa senatore contribuisce in prima persona a risolvere i problemi militari (come le forniture dei fucili e munizioni) scrivendo e sollecitando i comandi militari, il Presidente del Consiglio e i vari Ministri. Inoltre, sfruttando i rapporti con Salandra e il generale Cadorna, gode rispetto agli avversari della possibilità di piazzare suoi inviati presso il Comando supremo a partire dal novembre 1915. [...]

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Luigi Albertini, Il Corriere Della Sera e la crisi dello Stato Liberale 1919-1922

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Informazioni tesi

  Autore: Sandra Lascialfari
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2020-21
  Università: Università degli Studi Guglielmo Marconi
  Facoltà: Scienze Politiche
  Corso: Scienze politiche e delle relazioni internazionali
  Relatore: Andrea Ungari
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 84

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