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Credo la vita eterna. Immortalità digitale v/s immortalità dell'anima

LifeNaut, Eter9, Eterni.me, cimiteri hi-tech: tra eternità informazionale e spirituale

Si esamineranno ora alcune invenzioni digitali che propongono un’eternità informazionale. Tale istanza avanza un’implicita prerogativa di dissocimento tra la vita biologica e quella virtuale, la stessa che si prefigge anche l’ideologia transumanista. Quest’ultima parola venne utilizzata da Fereidoun M. Esfandiary, che ipotizzava la transizione dell’umanità verso la condizione post-umana. L’attitudine postumanista mira a un cambiamento radicale, superando la condizione di mortalità e limitatezza umana. Il termine postumano indica un movimento filosofico - culturale eterogeneo, che viene impiegato per la prima volta da I. Hassan, negli anni Settanta, alludendo a un orientamento che si presentava di essere più di una tendenza del momento, ossia a quel tentativo concesso dagli sviluppi della tecnica, di dare una conformazione decisamente nuova all’essere umano.
Successivamente l’espressione viene utilizzata nella corrente letteraria ed artistica del cyberpunk e di altre avanguardie, ma solo negli anni Novanta tale lemma riscuote ampio credito, anche grazie a un evento artistico tenutosi al Fae Musée d’Art Contemporain in Losanna ad opera di Jeffrey Deitch. Nelle rappresentazioni artistiche postumane il corpo è ridotto a un oggetto di manipolazione tecnica, avulso da qualsiasi vincolo prescrittivo. In tale considerazione, il superamento del limite (biologico, cognitivo, ontologico) diventa ciò che contrassegna l’espressione artistica postumana.

Imprese come LifeNaut affermano di essere in grado di creare una somiglianza digitale di una persona con cui è possibile interagire. LifeNaut è un’ideazione della Terasem Movement Foundation, per l’azienda progettatrice in questione il suddetto prodotto è concepito come una creazione in grado di offrire esperienze di vita paragonabili a quelle di un individuo dotato di personalità. LifeNaut si prefigge di creare cloni digitali degli esseri umani: avatar animati elettronicamente resi abili a narrare dei fatti importanti della propria biografia. Per la creazione di un avatar ci si deve collegare al sito, e procedere all’immissione delle foto, di alcuni video e documenti personali, prima di rispondere a un test di ben cinquecento quesiti riguardanti l’ identità della persona che si vuole configurare. L’avatar generato è capace di rispondere alle domande digitali come avrebbe fatto la persona defunta se questa fosse stata ancora in vita. Le implicazioni in questo caso sono prettamente negative: difatti, la teoria dei «legami continui» non è applicabile nell’interazione con gli avatar, perché il griever interagisce con un morto in uno spazio dove non tutti lo riconoscono come tale. Gli avatar digitali possono effettivamente inibire o prolungare il lutto negando di fatto la morte. Per onestà intellettuale va comunque sottolineato che alla luce del fatto che gli avatar sono delle nuove creazioni, i cui effetti sulla psiche dell’uomo non sono ancora stati esaminati, si deve verificare se queste formulazioni teoriche siano o meno fondate.
Eter9 è un social network che mira ad eludere la morte biologica in virtù di quella virtuale. È stato ideato dal programmatore portoghese Henrique Jorge ed è l’unione dei lemmi Eternity e Cloud9 che indicherebbero nel linguaggio anglosassone «il settimo cielo», alludendo così allo stato dell’Eden che il prodotto si presterebbe a configurare. Si basa sull’Intelligenza Artificiale come elemento centrale o principio cardine. Un elemento centrale si contraddistingue per le sue controparti, in cui l’io virtuale è predisposto per trattenersi nel sistema e interagire col mondo, quasi fosse ancora inserito nella coordinata spazio temporale. L’aspetto interessante e curioso è che maggiore è l’interazione e maggiormente la controparte digitale è programmata ad acquisire conoscenze. Quest’ultima permette al fruitore del servizio di poter creare un avatar biografico capace di comunicare verbalmente. Tuttavia, le opzioni per creare il proprio avatar sono limitate: solo un modello maschile e femminile di voce inglese. Eter9, similmente a LifeNaut, consente alle persone di realizzare mindfile tramite l’inserimento e l’immissione di immagini, documenti e video in un archivio, il processo è più implicito rispetto a LifeNaut. Eter9 si prefigge di elaborare i dati e le risorse immesse in Rete tramite il già citato data mining; di modo che l’automatismo continui ad elaborare i dati anche quando il loro proprietario non è connesso alla Rete: di fatto la morte non preclude la possibilità che il software, rappresentante la personalità dell’individuo, continui a essere presente online nella vita reale di altri individui.
Eterni.me è una start-up ideata dal programmatore rumeno Marius Ursache, che assieme a due colleghi canadesi, Nicola Lee e Rida Benjelloun, ha concettualizzato ed elaborato un software affinché le persone una volta morte possano continuare a «esistere» sotto forma di chatbot. Il suo progetto è stato accolto dal Mit di Boston (Mit Entrepreneurship Development Program) che ha fatto sì che un database raccogliesse i dati degli individui che vogliono aderire a tale progetto. Una volta effettuata l’iscrizione, il database inizia ad immagazzinare i diversi dati provenienti dal web di molteplice natura circa: professione, stati, passioni, hobby, ecc. Il software genera un processo tramite il quale ricavare i dati, elaborare informazioni, ricercare nuove relazioni tra pattern, con lo scopo di dar vita a un’identità virtuale che sia credibile e che abbia una struttura coerente. Nasce in questo modo uno spettro digitale che esemplifica l’identità passata, tramite l’ausilio di chatbot, ossia programmi di comunicazione che ricalcano comportamenti umani.

I due software citati, Eterni.me ed Eter9 sono inediti nelle loro fattezze e fisionomia, implicitamente o esplicitamente, quello che i loro ideatori si prefiggono tramite il loro utilizzo, è di bypassare la fine della vita fisica tramite un continuum in quella digitale.
Le invenzioni Eterni.me o Eter9 invece non toccano la questione della vita fisica, essi infatti cercano di raggiungere l’immortalità senza preoccuparsi di possedere un corpo. In pratica, questi giocano sull’ambiguità che distingue e divide l’individuo, il mondo reale da quello virtuale e alle ambiguità che questa produce nella vita delle persone a partire dall’inedito modo con cui il mondo digitale concepisce il concetto di presenza. Le tecnologie paiono muoversi sul piano della corrispondenza biunivoca tra vivi e morti, inserendo i morti nella facoltà di rispondere senza intermediari dinanzi alle richieste dei primi. L’uso massiccio della Rete ha permesso che le persone acconsentissero implicitamente o meno ad un proliferarsi di dati, che tramite degli algoritmi sono in grado di riprodurre degli spettri digitali, ologrammi o strutture presenti in diverse piattaforme e interfacce. La convergenza tra i sistemi algoritmici e gli appetiti di autorealizzazione non cessano di essere vigenti ed esecutivi al termine della fine biologica della persona algoritmica. Far vivere una persona deceduta in un dispositivo digitale significa renderla sempre presente, legarla a queste questioni; pensiamo alla bizzarra, ormai non più irreale storia di Eugenia Kuyda, ideatrice della start-up Luka. La giovane imprenditrice, al momento della morte del suo migliore amico, cerca di ricostruirne l’identità digitale, grazie alle sue abilità e competenze in materia di Intelligenza Artificiale. Così nasce il primo spettro digitale o griefbot che, grazie a dei programmi automatici, è capace di accedere alla Rete mediante dei canali (bot) così da incarnare l’archetipo virtuale del defunto, di cui si sforzano di imitare le fattezze e le peculiarità. Uno degli obiettivi che i loro ideatori si sforzano di perseguire è di elargire sollievo a chi è abbattuto a causa del mourning. Sempre Kuyda ha inventato similmente per mobile device un emobot, la cui nomenclatura è Replika, che è ciò a cui l’ego anela: una presenza sempre reperibile, che sprona e consiglia come una persona fidata. Replika può essere costruita a proprio piacere, affinché possa relazionarsi quanto meglio con la propria personalità, anche la sua immagine può essere scelta, e in tale possibilità è contemplata l’opzione gender friendly. A seconda dei soldi che uno è disposto a spendere per «lei» è possibile stabilire un certo tipo di relazione che esca dalla semplice amicizia. Una cosa curiosa, una tra le tante che ne fanno da sfondo, è che quando si effettua la registrazione alla suddetta Intelligenza Artificiale all’iscrivente viene inviata una mail, con cui si ringrazia di far parte dei quattro milioni di persone che hanno usato Replika ai fini di migliorare la propria salute mentale179. L’invenzione è similare all’Intelligenza Artificiale OS One (rappresentata nel film di Spike Jonze: Her), che incarnerebbe la Samantha interpretata dal timbro vocale dell’attrice Scarlett Johansson. Un altro caso emblematico, solitamente associato a questo, da parte degli studiosi di Digital Death, è quello raccontato nella puntata Be come back della serie futuristica britannica trasmessa da Netflix di Black Mirror. Nella serie citata la protagonista Martha comunica allo spettro digitale, che rappresenta il suo fidanzato defunto, di essere incinta e la chatbot le replica dicendole di essere contento di diventare padre. Si assiste a una condivisione di informazioni, ma mancano i corpi che le veicolano, le incarnano, le vivono; queste innovazioni tecnologiche spesso confondono il ricordo con l’illusorietà di una presenza continua e possono causare notevoli problematiche sul piano psicologico ed emotivo perchè non permettono l’integrazione del lutto e la sua elaborazione; in seconda battuta il digitale imita un’approssimazione dell’originale che, per quanto similare possa essere, non lo è.

La sopracitata Kuyda, dopo l’invenzione di Replika, ha creato insieme a Phil Dudchuk l’Intelligenza Artificiale: Friend to all. L’ideazione segue la scia di Black Mirror ma le funzioni sono più vicine a quelle di un Tamagotchi; lo scopo di questa invenzione sarebbe quello di ausilio dinanzi a disturbi d’ansia, insonnia o differenti problematiche psicologiche. Woebot è un’altra chatbot, ideata dalla psicologa Alison Darcy che si serve di princìpi standard della terapia cognitivo-comportamentale personalizzati in grado di aiutare i pazienti a pensare positivamente.
Le invenzioni di questi programmi digitali sono diverse, si sono configurati anche i Dadbot: chatbot di padri mancati che interagiscono con i loro figli e numerevoli ologrammi di vips, come quello di Ronnie James Dio. Quello che emerge, è che questi griefbot non facilitano l’elaborazione del lutto, quando paradossalmente tra i loro obiettivi si prefiggono proprio questo. Lasciamo alla psicologia indagare come l’aumento esponenziale di tecnologia sia associato a un aumento di disturbi psichici, ma possiamo affermare che il sapere religioso offre una pedagogia nella gestione del tempo, che porta a riconoscere gli avvenimenti umani inserendoli in una matrice di senso più ampia. Così la prospettiva della fine della vita fisica permette l’aprirsi alla vita eterna, il χρόνος, può essere καιρός, quando capiamo che lasciare andare, è il compito a cui tutti siamo chiamati nell’esercizio pedagogico della vita.

Le innovazioni tecnologiche stanno modificando anche modi commemorativi piuttosto tradizionali come i cimiteri, che grazie a innovazioni hi-tech, prevedono l’inserimento di un Qr Code sulla lapide, attraverso il quale, tramite un’apparecchiatura portatile, si possono visionare i contenuti digitali appartenenti alla biografia del defunto. Esistono anche delle lapidi digitalizzate che se associate a un computer consentono l’accesso alla biografia di chi è venuto a mancare, un cimitero dotato di questi artefatti è sito a Tokyo e si chiama Ruriden. Esistono anche delle applicazioni mobili che consentono di evocare nel proprio telefonino i ricordi di defunti in tutto il mondo collegandosi ai singoli cimiteri, si pensi a FindAGrave. L’esistenza di lapidi interattive consente l’incorporamento di un codice a barre decifrabile tramite smartphone, che consente di interagire con il defunto attraverso un clip audio registrato in maniera previa, oppure tramite la selezione di citazioni o racconti, esaminati dal defunto o dai suoi parenti, in previsione della morte. I codici a barre segnano la frontiera tra la realtà fisica e quella virtuale. Considerando il fatto che oggi giorno la tecnologia è sempre più alla portata di tutti, nonché di semplice fruizione, tramite il suo utilizzo, per C. K. Cann si permette di arricchire l’esperienza che si farebbe alla tradizionale visita alla tomba. Ma siamo davvero sicuri che sia così? Che tutte le cose, come l’intimità di una visita al cimitero, la riservatezza dell’incontro di una persona amata, debba essere mediata dalla tecnologia? Abbiamo davvero bisogno di ricevere informazioni anche quando ci rechiamo al cimitero, più che di esprimere una parola o una preghiera silenziosa all’anima del defunto? Questo dipende da come intendiamo la morte, se la intendiamo semplicemente come la fine biologica di un corpo, a cui sopravvivono dati e informazioni, o se crediamo che vi sia un’eccedenza, qualitativamente determinante, che ci porta a ritenere che col fine vita non finisce tutto.

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Informazioni tesi

  Autore: Sara Giorgini
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2020-21
  Università: Pontificia Università Gregoriana
  Facoltà: Teologia
  Corso: Bioetica
  Relatore: Paolo Benanti
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 121

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Parole chiave

bioetica
trascendenza
immortalità dell'anima
lifenaut
immortalità digitale
morte digitale
eternità informazionale
espressione postumana
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