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La Liquidità e la determinazione dei prezzi degli averi finanziari

Liquidità e prezzi degli averi finanziari: il punto di partenza

L'esistenza di una qualche forma di illiquidità all'interno dei mercati contrasta con il principio di assenza di frizioni ipotizzato dalla teoria standard di pricing degli averi finanziari, scardinandone, in un certo senso, le fondamenta. In primo luogo perché ciò implica che non sia necessariamente possibile l'aggregazione delle funzioni di utilità individuali in quella di un investitore rappresentativo, secondo, perché la scelta ottimale dell'investitore che agisce in modo efficiente e razionale può non comportare che la (2.1) sia soddisfatta con mt = u't (ct) in ogni istante e per ogni security. Questo in quanto l'investitore non necessita di essere "marginale" relativamente ad una security se le frizioni presenti nel mercato (che quindi incidono sulla sua negoziazione) rendono sub-ottimale lo scambio di essa. Luttmer (1996, 1999) dimostra proprio come l'esistenza dei costi di transazione possa contribuire a spiegare la disconnessione, che si rileva empiricamente, tra consumo e rendimento degli asset.

Una volta che si consideri la presenza di illiquidità all'interno dei mercati, quindi, è difficile (nonché di dubbia utilità) riuscire a derivare il fattore stocastico di sconto dal consumo, ed ancor di più dal consumo aggregato. Nonostante si possa argomentare che la teoria standard preveda la mera esistenza di un unico fattore stocastico di sconto e non necessariamente la sua relazione col consumo, è importante riconoscere quanto siano centrali le ipotesi di assenza di frizioni e di arbitraggio.

Si consideri il principio di base della teoria standard: asset, portafogli e strategie di investimento che producono gli stessi flussi di cassa devono avere lo stesso prezzo. Tale semplice principio è basato sulla constatazione che se vi fossero due security con i medesimi cash flow, ma con prezzi differenti, allora un investitore potrebbe comprare, senza alcun costo di transazione, la security più economica e vendere, sempre senza costi di transazione, quella che invece presenta il prezzo più elevato, realizzando così un immediato profitto privo di rischio. È evidente come l'assenza dei costi di transazione sia incompatibile con la mancanza di opportunità di arbitraggio quando, in equilibrio, è soddisfatta la (2.1) e gli agenti agiscono razionalmente per massimizzare il loro rendimento. Di fatto, tali opportunità verrebbero subito sfruttate dai partecipanti al mercato facendo convergere i prezzi delle security a un nuovo livello di equilibrio, tale che la (2.1) sia verificata, eliminando quindi, in un tempo più o meno breve, ogni altra possibilità di arbitraggio.
Iterando la (2.1) è facile mostrare quanto implicato dalla teoria standard, e cioè che investimenti con i medesimi flussi di cassa debbano avere lo stesso prezzo: [...]

La (2.2) mostra come il prezzo di una security dipenda esclusivamente da due fattori: l'insieme dei flussi di cassa futuri generati dall'investimento e il fattore stocastico di sconto (detto anche pricing kernel).

Se, a questo punto, si considera invece la presenza di costi di transazione che incidono sulle negoziazioni (e che possono variare da security a security) si comprende come averi finanziari che prevedano gli stessi flussi di cassa possano avere prezzi differenti, senza che ciò comporti l'esistenza di opportunità di arbitraggio. È plausibile, infatti, una situazione in cui due asset esibiscano prezzi differenti, nonostante i cash flow attesi siano gli stessi, in quanto i ricavi che si otterrebbero dall'operazione congiunta di vendita dell'asset con prezzo maggiore e acquisto di quello con prezzo minore, sono inferiori rispetto ai costi di negoziazione che l'esecuzione di tale strategia comporta, col risultato che gli operatori rinunciano a porre in essere siffatta operazione.

A conferma di quanto detto, è facile verificare come vi siano molte situazioni, nei mercati finanziari, in cui asset con gli stessi cash flow attesi hanno prezzi tra loro diversi. Amihud e Mendelson (1991), ad esempio rilevano come i titoli governativi statunitensi di emissione più recente siano scambiati a un prezzo normalmente più alto rispetto ai titoli, con stesso piano cedolare e stessa durata, ma di più vecchia emissione e, quindi, con frequenza di trading più bassa4. Silber (1991) nota invece che che le azioni gravate da restrizioni sulla loro negoziazione mostrano uno sconto medio di scambio del 30% rispetto alle azioni emesse dalla stessa società e con uguali diritti patrimoniali (dividendi), ma liberamente negoziabili. Brenner et al. (2001) mostrano come le opzioni di cui non è costantemente possibile la negoziazione durante l'intero arco della loro vita, siano scambiate con uno sconto significativo rispetto a quelle che invece non presentano nessun limitazione nello scambio. Infine Ofek et al. (2004), osservano come la put-call parity5 sia talvolta violata quando vi è difficoltà nel mercato di vendere allo scoperto (short selling) un certo titolo, con l'implicazione che tale titolo presenta un prezzo più alto rispetto allo stesso titolo riprodotto sinteticamente nel mercato dei derivati.
 
Come i riscontri empirici ora elencati dimostrano, la contestuale presenza di security con identici (o molto simili) cash flow ma con prezzi di mercato differenti, implica che non esista un unico fattore di sconto stocastico m che determini il prezzo di tutti gli strumenti negoziati, come quello mostrato nella (2.2). Ciò scuote profondamente la validità il modello standard di asset pricing, mettendone in discussione non solo l'adeguatezza teorica, ma anche la capacità previsionale. [...]


4 La differenza è tra off-the-run e on-the-run Treasuries Bonds, Bills e Notes. Un titolo di debito governativo diventa off-the-run (letteralmente "fuori corso") quando viene emesso, successivamente, un titolo analogo e con la stessa maturity. Quest'ultimo viene indicato come on-the-run ("in corso"). I titoli off-the-run usualmente presentano volumi di scambio inferiori rispetto a quelli "in corso" e prezzi più bassi, comportando un rendimento maggiore per chi li acquista. Si veda in particolare, per una rassegna sulle analisi empiriche relative agli strumenti di debito, il par. 5.5 del Cap. 5.
5 Tale relazione stabilisce che la differenza tra il prezzo di una opzione call ed il prezzo di una opzione put è uguale alla differenza tra il prezzo attuale del sottostante ed il valore attuale dello strike price delle opzioni. In formula:
C (t)− P (t )=S (t)− KV (t , T) dove:
C (t) è il costo dell'opzione call al tempo t
P (t) è il costo dell'opzione put al tempo t
S (t) è il prezzo del sottostante al tempo t
K è il prezzo di esercizio delle opzioni (strike price)
V (t , T) =e−r(T −t) è il valore al tempo t di un'unità di valuta scadente al tempo T, usando una capitalizzazione istantanea

Questo brano è tratto dalla tesi:

La Liquidità e la determinazione dei prezzi degli averi finanziari

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Informazioni tesi

  Autore: Filippo Recami
  Tipo: Laurea II ciclo (magistrale o specialistica)
  Anno: 2010-11
  Università: Università degli Studi di Firenze
  Facoltà: Economia
  Corso: Scienze dell'economia
  Relatore: Giulio Cifarelli
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 151

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